A-LEX: COME ACCELERARE LA GIUSTIZIA A PARITÀ DI RISORSE E DI TEMPO

Oggi è disponibile un’agenda elettronica, si chiama A-Lex, che permetterebbe ai giudici civili di fissare il calendario di ciascun process0, in modo concentrato e sequenziale (cioè non “in parallelo”) –  Le prime sperimentazioni hanno dato esiti molto positivi: perché il ministero la rifiuta?

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Articolo di Bruno Tinti, ex magistrato, giornalista ed editore, pubblicato sul quotidiano
la Verità il 27 ottobre 2017 – In argomento v. anche l’articolo di Gianantonio Stella sul Corriere della Sera del 1° novembre, Giustizia lenta: perché nessuna risposta?      .
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Bruno Tinti

Bruno Tinti

Immaginate di dover montare le ruote su 400 automobili. Sono tutte lì, una in fila all’altra. Vicino ad ognuna ci sono le 4 ruote che dovete montare. Come fareste? Credo che partireste dalla prima della fila, quella che è arrivata per prima, montereste le 4 ruote e poi passereste alla seconda e così via. Oppure, se qualcuna, per qualsiasi motivo, deve essere pronta prima delle altre, comincereste da quella, poi andreste sulla seconda in ordine di importanza, poi alla terza … Quello che certamente non fareste sarebbe montare una ruota su un automobile, poi passare a un’altra automobile e montare un’altra ruota, poi un’altra e un’altra ancora. Insomma, non montereste una ruota su ogni automobile; poi, finite tutte e 400, non ricomincereste con la seconda ruota, poi con la terza e alla fine con la quarta; passando dunque 4 volte su ogni automobile per un totale di 1.600 passaggi. Ebbene -per quanto ridicolo possa sembrare- i processi, sia civili che penali, si fanno così.

Spiego meglio. Ogni giudice ha un ruolo; che significa che ha X processi da definire: si arriva anche a 2.000, 3.000 fascicoli per ogni giudice ma la media è sui 1000. I processi si trattano nelle cosiddette udienze: le parti, l’imputato, i testimoni, i periti, gli avvocati, sono sentiti; e poi il giudice emette la sentenza. Alcuni processi sono semplici e si definiscono in un’ora, altri sono complessi e serve un giorno intero; per altri ancora occorre qualche giorno; per quelli più complessi qualche mese. Per meglio dire, servirebbero un’ora, un giorno, una settimana, qualche mese. In realtà durano anni. Perché? Perché i giudici li trattano come farebbe quell’operaio che montasse una ruota alla volta su ognuna delle sue 400 automobili. Fissano 10/15 processi per ogni udienza, ne fanno un pezzetto di ognuno e rinviano per un altro pezzetto a …, e chi lo sa: 3 mesi, 4, 5, anche più. Oggi sentiamo un testimone o due, la prossima volta un altro, la prossima ancora nominiamo un perito, poi sentiremo l’imputato, poi parlerà il Pubblico Ministero, in un’altra udienza gli avvocati … Naturalmente questo modo di procedere significa che, ogni volta, il giudice si deve ristudiare il processo: a distanza di mesi –ovviamente- non si ricorda niente. Così si deve rileggere l’atto di citazione, la denuncia, le memorie degli avvocati, quello che hanno detto i testimoni, la perizia … Insomma lo studio dell’intero fascicolo moltiplicato N volte, tante quante sono le udienze. Non vi pare un sistema demenziale?

La domanda naturalmente è: ma perché fanno così? Per paura. Tutti i giudici hanno una terribile paura che, se fissano un solo processo per udienza e poi qualcosa va male (una notifica non fatta e l’imputato non si presenta; un certificato medico; un testimone che se ne frega e non viene in udienza), la giornata è persa tempo sprecato. Ma non c’è ragione di avere paura. Gli errori di notifica possono essere scoperti prima dell’udienza: si controlla il fascicolo e, se c’è una notifica andata a male la si ripete utilizzando i Carabinieri, i Vigili Urbani, la Polizia etc. I certificati medici, quelli che non arrivano il giorno stesso dell’udienza, possono essere controllati: se è un mal di testa si disattendono; se è cosa seria si fa una visita fiscale immediata e, se il “malato” non è a casa sua a letto, lo si incrimina per falso in atto pubblico e, con lui, si incrimina il medico che gli ha redatto il certificato falso. Dopo un po’ questo scherzetto non lo fanno più. Il testimone che non si presenta va condannato subito a una multa (salata) e si ordina ai Carabinieri di accompagnarlo alla prossima udienza: anche qui, dopo un po’, la smettono. Naturalmente non sempre le cose sono così semplici e può capitare, soprattutto prima che la severità (giusta, in realtà si dovrebbe dire serietà) del giudice sia nota, che alcune udienze vadano deserte. Poco male, anzi nessuno. Ogni giudice ha una tale quantità di sentenze da scrivere e fascicoli da studiare che una giornata senza udienza è una manna: si torna in ufficio e si lavora.

Allora perché? Abitudine, pigrizia, conformismo, quieto vivere. Ai giudici questo rinviare lo studio approfondito e definitivo di un fascicolo non dispiace: ci sono tante cose da fare oggi, meno male che per studiare questo processo c’è ancora tempo. Certo, si gestisce il processo un po’ superficialmente, senza conoscerlo bene: però, prima della sentenza, lo si studierà; intanto raccogliamo memorie e documenti e sentiamo i testimoni. E poi: questa “camurria” (meno male che c’è Montalbano) di controlli del fascicolo prima dell’udienza, di visite mediche fiscali, di notifiche da rifare con urgenza, di Carabinieri & C da mandare di qua e di là (loro non sono contenti), di cancelleria sottoposta a adempimenti urgenti in continuazione; ecco, meglio evitare.

Ma i capi? E il Ministero? Non potrebbero organizzare, ordinare, rimproverare? Si che potrebbero. Ma non lo fanno. Ci sarebbe una rivolta. I giudici sono convinti che l’autonomia e l’indipendenza che la Costituzione garantisce alla magistratura non riguarda solo la decisione ma anche il modo di arrivarci. In altri termini non capiscono che nessuno può dirgli come devono decidere; però l’organizzazione del lavoro che li porta alla decisione, questa non è affar loro. E così ogni tentativo di introdurre sistemi organizzativi (e dunque procedure informatizzate) che razionalizzino la gestione dei processi viene frustrato. Io ne avevo costruito uno, per le Procure. Si chiamava Beagle, come il cane, un segugio da caccia. Era fantastico. Ma aveva un inconveniente: bisognava formare il fascicolo informatico; ogni atto andava memorizzato, ogni documento scannerizzato. Non un grande lavoro; ma un lavoro in più. E poi bisognava cambiare metodo di lavoro: niente blocco di appunti e penna ma video e tastiera. Lo usammo in due, ed era costato due anni di lavoro.

Oggi alcuni bravi colleghi hanno realizzato un’agenda elettronica che permette (permetterebbe) ai giudici civili di fissare in maniera intelligente (in senso informatico, si tratta di un applicativo di A.I. -Artificial Intelligence) i processi, sfruttando le udienze per concluderli uno dopo l’altro. In serie e non in parallelo; come per le ruote da montare sull’automobile. Si chiama A-Lex, uno dei risultati del Progetto THEMIS, promosso dalla Fondazione Giuseppe Pera e seguito dal parlamentare e giurista Pietro Ichino. Permette rinvii intelligenti alle prossime udienze (le propone direttamente lei a seconda del tipo di rinvio) e ponderati. Interagisce con i registri generali, e dunque alleggerisce il lavoro di cancelleria: i calendari di udienza si formano automaticamente. Accorcia i tempi di definizione dei processi: alla fine si produce di più con la stessa quantità di lavoro; il che in realtà avviene in ogni assetto produttivo ben organizzato. C’è un solo problema: tutto quanto detto deve essere volto al condizionale. Permetterebbe, interagirebbe, alleggerirebbe, accorcerebbe. Perché il Ministero non se ne interessa, non l’autorizza e non consente il collegamento di A-Lex con i Registri Generali. Chi vuole (la piccola élite di magistrati che si fanno la punta al cervello per organizzare in modo innovativo il loro lavoro) la utilizza così com’è. Gli altri continuano a gestire le loro udienze come una bancarella al mercato. Chiunque volesse rendersi conto del souk che sono le udienze di un grande Tribunale può farsi un giro di un paio d’ore in una qualsiasi mattina: varrà assai di più di questo migliaio di parole.

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