IL PROBLEMA DELLA SEMPLIFICAZIONE DEL DIRITTO DEL LAVORO

Se vogliamo combattere in modo efficace la battaglia per la semplificazione e vincerla, occorre che ci accordiamo con precisione su che cosa intendiamo per complicazione dannosa, sul piano della formulazione del testo legislativo come su quello del suo contenuto – Su questo terreno qualche passo avanti nell’ultimo triennio è stato compiuto

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Intervento in un dibattito aperto dal professor Antonio Vallebona, in corso di pubblicazione sulla rivista telematica
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Il disegno di legge originario per il Codice semplificato del lavoro, n. 1873/2009

Il disegno di legge originario per il Codice semplificato del lavoro, n. 1873/2009

Al tema della semplificazione della legislazione in materia di diritto del lavoro ho dedicato la maggior parte del mio tempo e delle mie energie nell’ultimo decennio, elaborando un progetto di Codice semplificato del lavoro che è stato anche presentato in Senato (disegni di legge n. 1872 e 1873 nella XVI legislatura; disegni di legge n. 986 e 1006 nella XVII), con l’intendimento di mostrare come un forte snellimento testuale della nostra disciplina legislativa del rapporto di lavoro sia non soltanto possibile, ma anche conciliabile con la sostanziale conservazione delle linee essenziali del suo attuale contenuto dispositivo. In gran parte di quel progetto di Codice semplificato, infatti, l’operazione di riscrittura era mirata esclusivamente a una codificazione ordinata del diritto vigente, senza mutamento rilevante della disciplina della materia. Nella relazione introduttiva a quel progetto osservavo come la legislazione in materia di lavoro attualmente in vigore fosse caratterizzata dal sovrapporsi di norme sulla stessa materia emanate in tempi diversi senza che il legislatore avesse avuto cura di abrogare quelle più vecchie o di operare il necessario riordino testuale; e come in generale lo stile con cui sono redatti i nostri testi legislativi sia ridondante e ripetitivo, col risultato di renderne la lettura più difficile. Negli uffici legislativi dei ministeri chi scrive le leggi per lo più non tiene in alcun conto la difficoltà di lettura delle stesse per il grande pubblico e per gli stessi “addetti ai lavori”

Quella mia battaglia ha prodotto qualche risultato nel corso dell’ultima legislatura, in particolare nella riforma del 2015: per esempio, il decreto legislativo n. 81 è stato redatto con un criterio di riscrittura ordinata delle discipline di ciascuna materia trattata accumulatesi nel tempo e abrogazione esplicita delle fonti precedenti. Lo stesso giudizio molto positivo, dal punto di vista della semplicità e leggibilità della scrittura, do del decreto legislativo n. 23 in materia di licenziamenti; ma su questo tornerò fra breve. Osservo invece che altri decreti legislativi attuativi della stessa legge delega n. 183/2014, la cui redazione è avvenuta nel corso dello stesso anno, sono stati scritti ancora alla vecchia maniera, risultando in larga parte illeggibili per i non addetti ai lavori: tra questi spicca, per questo aspetto negativo, il n. 151/2015 soprattutto nella parte relativa al collocamento obbligatorio dei disabili.

Vedo un difetto di ridondanza del testo legislativo anche negli articoli 18 e seguenti della legge n. 81/2017, dedicati al cosiddetto “lavoro agile”: lì sarebbero state sufficienti tre righe che dicessero “alla parte della prestazione lavorativa svolta al di fuori del perimetro aziendale e senza vincoli circa la sua collocazione temporale, nonché ai corrispondenti obblighi del datore, si applica per intero la disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato”, per eliminare almeno quattro degli articoli contenuti nel nuovo testo legislativo, i quali non fanno altro che dire la stessa cosa. Quanto invece alle disposizioni contenute in quella legge che hanno effettivamente aggiunto una disciplina speciale della fattispecie, in materia di forma della pattuizione, di protezione della sicurezza del lavoro e di assicurazione infortuni, esse a mio avviso hanno complicato inutilmente la vita al datore di lavoro, oltre ad aprire uno spazio di facile frode ai danni dell’Inail; ma questo attiene alle complicazioni sostanziali contenute nella disciplina legislativa e non alla complessità della sua scrittura.

La semplicità del contenuto dispositivo, che è cosa diversa dalla semplicità della formulazione del testo legislativo, è certo essa pure un obiettivo che il legislatore deve proporsi (con l’avvertenza che occorre evitare il rischio di trasferire nei regolamenti ministeriali le complicazioni che si eliminano nella norma primaria: si cadrebbe altrimenti dalla padella nella brace).

Se il discorso si sposta sul piano della semplicità del contenuto dispositivo della norma, non concordo con la formulazione del quesito che ci viene posto, dove esso indica come esempio di una complicazione indebita la nuova disciplina dei licenziamenti, contenuta nel decreto legislativo n. 23/2015. Si legge nel quesito che ne deriverebbero “quattro regimi a seconda della data di intimazione”; a me sembra che i regimi siano soltanto due: quello applicabile ai rapporti costituiti prima del 7 marzo 2015, e quello applicabile ai rapporti costituiti da allora in poi. Alla prima categoria appartengono anche i rapporti costituiti prima della legge n. 92/2012. D’altra parte, la differenza di disciplina applicabile in ragione del tempo in cui il rapporto si è costituito è cosa normale in tutti i casi nei quali la nuova disciplina di un rapporto di durata si applica soltanto ai nuovi rapporti e non ai vecchi: in ciò non vedo una indebita complicazione. E anche se vogliamo considerarla come tale, si tratta di una “complicazione” destinata a estinguersi gradualmente nel tempo, via via che i vecchi rapporti di lavoro verranno sostituiti dai nuovi. Viceversa, la nuova legge ha fortemente armonizzato tra loro le discipline applicabili alle imprese di piccole dimensioni, rispetto a quella applicabile alle imprese maggiori: si può dire, dunque, che si va gradualmente verso una disciplina unica della materia, nel settore privato.

Quanto, invece, alla scelta compiuta con il decreto n. 75/2017 di istituire per l’impiego pubblico un apparato sanzionatorio speciale per il licenziamento illegittimo, diverso da quello applicabile al rapporto di lavoro privatistico, considero questo un errore sostanziale e ne ho spiegato altrove i motivi; ma non annovererei questo errore tra le “complicazioni” della legislazione del lavoro.

Viceversa, considero la nuova disciplina generale dei licenziamenti risultante dalla riforma progressiva, incominciata nel 2012 con la legge Fornero e portata a compimento nel 2015, come un modello di semplificazione sia dal punto di vista della formulazione della disposizione legislativa, sia dal punto di vista del suo contenuto sostanziale. E ravviso una conferma di questa valutazione nel dato sul contenzioso giudiziale in materia di licenziamenti, che dal 2012 ha fatto registrare una clamorosa riduzione di due terzi. Questa riduzione del contenzioso contribuisce a superare una anomalia che ha lungamente caratterizzato, certo non positivamente, il nostro Paese rispetto ai suoi maggiori partner europei. Si può dissentire dal contenuto della disciplina vigente; ma se il numero delle liti giudiziali diminuisce, ciò significa che il contenuto di quella disciplina è più chiaro e univoco di quanto fosse in precedenza.

Tutto bene, dunque? No di certo. La battaglia per la semplificazione è soltanto agli inizi. Però se vogliamo combatterla in modo efficace e vincerla occorre che ci accordiamo con precisione su che cosa intendiamo per complicazione dannosa, sul piano della formulazione del testo legislativo come su quello del suo contenuto.

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