Il risultato del referendum sull’accordo aziendale alla Gd di Bologna, con poco meno della metà dei voti per il “no”, probabilmente non dipende tanto dal contenuto dell’intesa (nel complesso eccellente) quanto da un intendimento di protesta contro l’establishment sindacale, analogo a quello dei lavoratori
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Intervista a cura di Enrico Miele per il quotidiano la Repubblica, ed. bolognese, 19 ottobre 2017 – Segue la lettera di un dipendente della Gd, con una mia breve risposta – In argomento v. anche Facciamo un occhio nero a Cameron .
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Un accordo innovativo sugli orari di lavoro alla Gd si è trasformato in un referendum contro i sindacati confederali, com’è possibile?
La vicenda è sorprendente se si considera che la Gd è un’impresa leader nel suo settore, molto vicina a una posizione di monopolio nel mercato dei suoi prodotti, nella quale per quel che ne so non è stata mai attivata neppure un’ora di Cassa integrazione e gli standard di trattamento dei dipendenti sono tra i migliori del settore.
L’accordo prevede un aumento fino al 25% del premio di risultato collettivo cui si aggiungerà un 15% legato alle performance individuali; e l’inizio di una sperimentazione di 8 mesi che, su base volontaria, prevede forti innovazioni sugli orari. Per lei è un buon accordo?
Se confrontato con la generalità degli accordi che si stipulano oggi nelle aziende manifatturiere, mi sembra che questo della GD si collochi nella fascia alta: che sia di gran lunga tra gli accordi migliori, sia sul piano economico sia su quello normativo. Se è così, la chiave per la spiegazione di quello che sta accadendo non va cercata nel contenuto dell’accordo
Nel metodo, allora?
Neanche in quello: mi risulta che la negoziazione sia stata correttamente accompagnata da molte assemblee e discussioni a tutti i livelli.
Perché allora, secondo lei?
Vedo in questa vicenda una manifestazione dello stesso fenomeno che ha portato, per esempio, due terzi dei lavoratori della Nissan di Sunderland a votare per la Brexit. Il fatto che quel grande stabilimento del Nord-Inghilterra sia nato e sempre vissuto per il mercato europeo non è bastato perché i suoi dipendenti votassero per rimanere nella UE. E la loro risposta ai giornalisti che l’anno scorso li interrogavano su questa scelta, fu: “Abbiamo voluto fare un occhio nero a Cameron. E ci siamo riusciti”.
Un voto anti-establishment, dunque?
Sì. Con la sola differenza che, nel caso della Gd di Bologna, l’establishment viene individuato nel sindacato confederale. L’impressione è che il comportamento di metà dei dipendenti della Gd possa spiegarsi non sulla base dei contenuti dell’accordo, ma solo nella chiave “facciamo un occhio nero al sindacato”.
Nel mirino di molti lavoratori che si sono sfogati ai cancelli c’è soprattutto la Fiom, da sempre molto forte in azienda. Nel voto dei dipendenti Gd vede una motivazione specificamente anti-Fiom?
Non conosco abbastanza quel sistema di relazioni sindacali aziendali per poterle rispondere. Ma mi sembra plausibile che la Fiom in questo caso stia solo pagando il prezzo dell’essere stata il sindacato di gran lunga maggioritario in azienda per decenni.
Questo, secondo lei, è solo un incidente di percorso oppure questa vicenda è spia di una crisi più generale della rappresentanza sindacale anche in fabbriche di lunga tradizione sindacale come la Gd?
Se di questo si tratta, è lo stesso vento che, mutatis mutandis, da qualche tempo soffia anche a Sunderland come a Barcellona, o a Vienna. Si scaricano sugli establishment sindacali come su quelli politici ansie suscitate dalla caduta di vecchie certezze conseguente ai mutamenti radicali di contesto, talvolta veri e propri terremoti, causati dalla globalizzazione.
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LA LETTERA DI UN DIPENDENTE DELLA GD
Caro senatore Ichino, in riferimento alla sua intervista a Repubblica sul referendum sindacale in GD, le fornisco un dato che forse può spiegare l’accaduto in modo più preciso. In Gd i settimi livelli e i quadri sono 481. Poi ci sono 274 tecnici trasfertisti che – da subito e pubblicamente – hanno espresso parere negativo all’accordo per motivi economici e di qualità del lavoro. La somma di questi due gruppi di lavoratori, ai quali il nuovo accordo impone un sacrificio in termini di flessibilità e autogestione dell’orario non compensata a sufficienza dall’aumento del premio, a mio avviso è più che sufficiente per spiegare i 708 “no” al referendum, senza bisogno di pensare né a una manifestazione di ribellismo irrazionale contro l’establishment sindacale tradizionale, né a un aumento di consensi per il sindacalismo di base.
(lettera firmata)
Prendo atto con grande interesse dell’informazione contenuta in questa lettera e la metto doverosamente a disposizione di tutti gli altri frequentatori del sito. Se questa è la spiegazione – almeno parziale – dell’esito del referendum alla Gd, se cioè davvero al voto hanno partecipato quattro quadri e tecnici su cinque, tutti contrari all’accordo, ciò significa che qui i negoziatori non hanno saputo mediare con successo tra la parte del personale più professionalizzata e l’altra parte. Sarebbe interessante anche sentire qualche altra voce su questo punto: se arrivasse qualche altro messaggio, anch’esso sarebbe il benvenuto e, col consenso del mittente, verrebbe ovviamente pubblicato. (p.i.)
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