UN RECLUTAMENTO MEDIOCRE PER ATENEI MEDIOCRI

Il meccanismo attuale del concorso universitario, con le sue procedure formali rigide, non funziona perché mancano del tutto gli incentivi che spingano i commissari a scegliere i candidati davvero migliori

.
Articolo di Andrea Ichino pubblicato sul Corriere della Sera il 27 settembre 2017 – In argomento v. anche, dello stesso autore,
La norma sbagliata sui coniugi all’Università e il mio editoriale telegrafico La peste dei concorsi universitari: che cos’è e come la si cura; più in generale i documenti raccolti nel portale Il finanziamento indiretto degli atenei con il sistema degli income contingent loans Segue un mio breve commento   .
.

professori universitariI concorsi universitari non impediscono imbrogli e abusi, e spesso servono solo a nasconderli. I baroni, riescono comunque a far vincere i loro porta borse, o a chiudere le porte ai non appartenenti alle loro scuole; e i nuovi baroni, così selezionati, a loro volta faranno lo stesso con la generazione successiva. Che si tratti di concorsi locali o nazionali, la situazione non cambia: quello che conta non è l’abilità del candidato ma il potere del barone che lo protegge. Con il risultato, tra l’altro, di complicare con gravose e inutili pratiche burocratiche il processo di reclutamento.

Fanno bene i magistrati a perseguire i corrotti, ma non possono essere loro a risolvere il problema: per uno scandalo come quello scoperto a Firenze, chissà quanti altri sfuggono al loro controllo. E aumentare il numero di giudici per controllare meglio i professori sarebbe evidentemente un cattivo uso di risorse scarse.

Nei sistemi universitari che funzionano bene, i dipartimenti sono liberi di assumere o promuovere i professori selezionandoli nel modo che preferiscono; e i giudici non hanno motivo di ingerirsi in queste decisioni. Chi le prende infatti ha incentivi forti a scegliere i candidati migliori sapendo bene che se sbaglia paga caro l’errore in termini di qualità e quantità di studenti, di finanziamenti privati e pubblici, di reputazione.  In quei sistemi, si fa in modo che lo Stato e il mercato rendano vantaggiosa solo la scelta ritenuta davvero migliore; e i concorsi sono molto più seriamente selettivi dei nostri, ma scevri da regole procedurali imposte.

Perché allora non seguire questi esempi, anche loro imperfetti ma che danno risultati migliori? Aboliamo il valore legale della laurea, dando agli studenti le risorse per premiare con le loro scelte le facoltà migliori. Consentiamo agli atenei di finanziarsi in base alla qualità e alla reputazione della loro ricerca. A quel punto le università che si scelgono professori scadenti dovranno chiudere per mancanza di fondi, non per l’intervento dei giudici.

UN MIO BREVE COMMENTO
Una decina di anni fa venne aperto un procedimento penale per far luce anche sui concorsi universitari nel settore del diritto del lavoro. In quel settore accadevano esattamente le stesse cose che stanno venendo alla luce in questi giorni nel settore del diritto tributario: in sostanza, una lottizzazione per “scuole”, secondo criteri che dipendono direttamente dalla composizione della commissione giudicatrice. Non credo che la cosa, in sé, configuri gli estremi del reato; quello che è certo è che questo sistema di reclutamento non produce affatto la scelta dei migliori: innanzitutto perché è un sistema ermeticamente chiuso agli outsider, a chi non appartiene ad alcuna “scuola” accademica, per esempio – non soltanto – a chi viene dall’estero; ma soprattutto perché i commissari non hanno alcun motivo per scegliere i candidati migliori, mentre ne hanno molti per promuovere i propri allievi, quale che ne sia il valore. Ricordo addirittura un anziano professore che diceva: “I candidati eccellenti non hanno bisogno di sostenitori; il dovere del capo-scuola è sostenere i propri allievi deboli, che senza di lui non hanno alcuna possibilità”. La soluzione del problema non può essere quella giudiziaria: concordo convintamente con mio fratello Andrea sul punto che occorre una riforma radicale capace di attivare gli incentivi indispensabili. Una riforma, cioè, che faccia dipendere la sopravvivenza dei dipartimenti universitari (e delle cattedre ad essi afferenti) dai risultati della loro attività didattica e di ricerca. Come? Per esempio con un nuovo sistema di finanziamento degli atenei.      (p.i.)

.

Stampa questa pagina Stampa questa pagina

 

 
 
 
 

WP Theme restyle by Id-Lab
/* */