Theresa May a Firenze ha detto, in sostanza: “Hard Brexit, no di certo: molto meglio quella soft; il problema è che non sappiamo come farla”
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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 451, 23 settembre 2017 – In argomento v. anche Voglio dare indietro la Brexit: non funziona come era stata reclamizzata! .
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I frequentatori di questo sito ricorderanno che all’indomani del referendum del 23 giugno 2016, in un editorialino intitolato E se invece poi non uscissero affatto? mi permisi di dubitare che alla Brexit il Regno Unito sarebbe arrivato davvero. Ora, dopo un anno durante il quale tutti, sui due lati della Manica, hanno toccato con mano i costi ingentissimi pressoché certi di una hard Brexit, e al tempo stesso i problemi pressoché insolubili di quella soft, Theresa May è venuta con i suoi ministri a Firenze a dirci solennemente quanto la Gran Bretagna voglia bene all’Europa e quanto i suoi e i nostri destini siano indissolubilmente uniti: il Regno Unito, è vero, ha scelto di separarsi perché vuole recuperare la propria sovranità piena; ma la cooperazione in economia, ricerca scientifica, sicurezza interna e politica estera, deve continuare come prima; e gli europei devono continuare a considerarsi in UK come a casa loro. Dunque, “niente hard Brexit – ci dice in sostanza Theresa –; e poiché quella soft non sappiamo come farla, per ora meglio prorogare il termine del 2019 di un paio d’anni”. In molti hanno letto in questa idea del rinvio un’applicazione del principio millenario quod differtur (in politica, molto spesso) aufertur: di qui al 2021, beato chi c’ha un occhio. Il negoziatore di Bruxelles Michel Barnier, dal canto suo, ha subito salutato positivamente questo discorso; e si dice che stia studiando questa risposta ufficiale: “Sì, ma a patto che il rinvio sia di tre anni; così avete più tempo per ripensarci”.
Una cosa è certa: questa vicenda della Brexit, che si temeva segnasse l’inizio dello sfaldamento dell’Unione Europea, sta in realtà rafforzandola: perché rende evidente il danno del restarne fuori e al tempo stesso azzera il potere di interdizione che fino al referendum del giugno 2016 il Regno Unito aveva esercitato sul processo di integrazione. È proprio vero che non possiamo mai sapere che cosa accade per il nostro male e che cosa per il nostro bene.
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