Le organizzazioni che nascono per offrire ai lavoratori autonomi di nuova generazione una maggiore continuità del reddito, le assicurazioni indispensabili e sostegno nel mercato, incontrano diversi ostacoli nell’ordinamento italiano vigente – Alcune idee su come eliminarli e offrire a questi lavoratori una protezione utile ma non soffocante
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Lettera inviatami l’11 settembre 2017 da Donato Nubile, presidente e amministratore delegato della SMartIt, cooperativa sociale che fornisce servizi ai lavoratori delle piattaforme digitali e ai free-lance, cui avevo chiesto di controllare alcuni paragrafi della relazione su Le conseguenze dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro .
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Caro professore,
senza troppi giri di parole la ringrazio davvero per aver voluto condividere questo documento, che rappresenta per me un’occasione importante per guardare “da fuori” il nostro lavoro e riuscire ad inquadrarlo meglio in una prospettiva generale. […]
Ho incrociato il pensiero di Knight [economista citato nella relazione, autore di Risk, Uncertainty and Profit, 1921 – N.d.R.] durante i miei studi di economia, ma ne ignoravo le influenze sul diritto del lavoro: considerare il contenuto assicurativo come elemento caratterizzante il rapporto subordinato è certo una prospettiva interessante alla luce dei cambiamenti in atto. Lo stesso contenuto assicurativo è l’obiettivo ideale di SMart. Lei scrive che offriamo un rapporto di lavoro “anche in forma subordinata”, ma la realtà è che – al di là della natura più o meno autonoma della prestazione lavorativa – ove possibile preferiamo ricorrere a contratti di lavoro subordinato proprio perché offrono al socio una tutela maggiore. […]
Mi consenta una commento, per quanto ci riguarda, sul ruolo della tecnologia: è vero che essa permette uno snellimento delle pratiche amministrative, e che la piattaforma SMart in Belgio dialoga con quella di Deliveroo. Ma è anche vero che non viene mai meno, nei confronti del socio, l’assistenza di un “consigliere”: chiamiamo così le persone dello staff di SMart che hanno il compito di svolgere nei confronti dei soci una attività di informazione, tutoraggio e orientamento.
Come ho già avuto modo di segnalarle, un intervento legislativo sui contratti intermittenti consentirebbe a SMart di operare pienamente anche in Italia, come già in Belgio. Dovrebbe essere conserntito applicarlo al di là dell’ambito ristretto oggi consentito dal d.lgs. n. 81/2015 e dovrebbe esserne consentita anche una versione part-time. Non è così, ad esempio, nel settore dello spettacolo in cui la minima sindacale si applica “fino a” 8 ore lavorative.
C’è un altro aspetto che, nella pratica quotidiana, trovo rilevante. Traduttori, correttori di bozze, fattorini, guide turistiche, mediatori culturali, attori, tecnici, grafici, formatori, in una grandissima percentuale i soci di SMart sono degli slashers, ossia persone che svolgono contemporaneamente almeno due di questi lavori, in molti casi per necessità, a volte per scelta. Io stesso sono tra questi.
Al momento, per evitare forzature, un socio che svolge lavori diversi (anche se sempre all’interno di SMart) può trovarsi contemporaneamente ad avere un contratto intermittente, uno di collaborazione, svolgere prestazioni occasionali e operare in regime di diritto d’autore. Da ciò derivano complessità amministrativa, dispersione di contributi previdenziali e incertezza fiscale. Anche estendendo l’applicabilità dei contratti intermittenti, potremmo ritrovarci a doverne stipulare uno per ogni specifica mansione, uno per ogni ambito di attività del socio.
Sono consapevole della difficile realizzabilità di quanto segue, ma in una realtà come la nostra, in cui i soci possono persino compensare i risultati positivi e negativi delle loro diverse attività, sarebbe utile passare da un contratto fondato sulle mansioni a uno, per così dire, fondato sulle competenze. Un unico contratto, ad esempio, che disciplina il rapporto tra SMart e un socio in grado di realizzare le scene di uno spettacolo, decorare un mobile o concepirne il design.
Sono d’accordo con lei quindi: anche quanto contemplato dall’articolo 3 del Jobs Act rischia di risultare presto obsoleto. Una volta stabiliti degli standard generali sufficientemente tutelanti per il lavoratore, è in effetti l’azienda il luogo deputato alla contrattazione. Certo occorre creare le condizioni affinchè quella competizione “tra imprenditori” cui lei accenna possa anche realizzarsi così, mediante l’offerta del contratto aziendale migliore per i lavoratori.
Sui fattorini, un pensiero. In questo caso è difficile pensare che la loro debolezza nasca da un difetto di produttività. E imparare a pedalare più velocemente non può certo rappresentare un modo per migliorare la propria condizione. Come lei scrive, è forse necessario da un lato imporre imparzialità e trasparenza del funzionamento della piattaforma e dall’altro pensare in ogni caso ad alcune protezioni basilari che offrano sostegno a soggetti oggettivamente svantaggiati.
Una suggestione infine su quanto da lei argomentato a proposito della disciplina dei controlli sulla prestazione lavorativa e della tutela della riservatezza. Mi viene in mente il caso di un’azienda di trasporti su gomma, la *** spa. Un fattore di eccellenza dell’azienda è rappresentato dalle applicazioni sviluppate nel campo dell’Intelligent Transport System. La flotta è costantemente monitorata, tanto da riuscire a capire anche il modo in cui gli autisti schiacciano l’acceleratore dopo uno stop al semaforo. Il gesto può fare la differenza per quanto riguarda i consumi. Personalmente, l’aneddoto mi ha fatto riflettere su come uno dei lavori tradizionalmente considerati più “liberi”, quello del camionista, possa finire con l’essere così monitorato.
Ne approfitto infine per porle una questione, sempre inerente al contratto intermittente. Al momento esso configura un rapporto di lavoro subordinato. Supponiamo che in futuro ci venga consentito di utilizzarlo anche nei confronti dei fattorini che poi lavorano per Deliveroo o Foodora: l’operato di SMart ricadrebbe in quel caso nella interposizione di manodopera? Voler offrire maggiori tutele ad un lavoro sostanzialmente autonomo come quello dei fattorini assumendoli con un contratto di lavoro subordinato ci esporrebbe paradossalmente ai rischi derivanti da un comportamento ad oggi illecito?
La ringrazio ancora per l’interesse dimostrato nei confronti del nostro progetto. Cordialmente,
Donato Nubile
Poiché ho già provveduto a ringraziare di persona D.N. per le osservazioni e informazioni, delle quali ho ovviamente tenuto il debito conto nella relazione presentata al congresso AGI il 15 settembre scorso, mi limito qui a rispondere pubblicamente alla sollecitazione e alla domanda contenute nella sua lettera riguardo all’applicabilità del contratto di lavoro intermittente per l’inquadramento e la regolazione del rapporto tra una umbrella company, qual è SMartIt, e le persone qualificabili come lavoratori autonomi che operano per terzi utilizzatori, tramite le piattaforme digitali o semplicemente come free-lance. Mentre in Belgio la SMart può utilizzare a questo fine la forma del contratto di lavoro intermittente, in Italia questo non è consentito, dal momento che il d.lgs. n. 81/2015 contiene in proposito alcune norme molto restrittive. Sto studiando un intervento legislativo ad hoc, consistente nell’istituire un tipo di contratto che produca gli stessi effetti del contratto di lavoro intermittente per quanto riguarda la variabilità della retribuzione, il suo pagamento a mezzo di prospetto-paga, le ritenute contributive necessarie per l’attivazione delle assicurazioni Inps e Inail, ma non configuri la umbrella company come creditore di lavoro nei confronti della persona interessata (perché effettivamente non lo è), né conseguentemente come soggetto responsabile della sicurezza del lavoro. Questo consentirebbe anche in Italia alle umbrella companies come SMartIt di svolgere la loro preziosa funzione consistente nel “ricostruire” una continuità del reddito anche quando il lavoro si spezzetta in una miriade di rapporti per committenti diversi, e nel consentire che al reddito stesso si ricolleghi una posizione pensionistica e una assicurazione contro infortuni sul lavoro e malattie professionali. Questa soluzione avrebbe anche il pregio di sgombrare il campo dalla possibile ravvisabilità di una interposizione vietata dell’umbrella company nel rapporto tra il lavoratore e l’utilizzatore effettivo della prestazione (in realtà l’interposizione non ci sarebbe comunque, perché l’utilizzo formale del contratto di lavoro nel rapporto tra u.c. e persona interessata configura un caso di “negozio indiretto”, in una situazione nella quale la u.c., nella sostanza, non è affatto creditrice della prestazione lavorativa, né tanto meno la “fornisce” all’utilizzatore effettivo). Tornerò sul punto per un puntuale aggiornamento, su questo sito, quando il lavoro di elaborazione del disegno di legge avrà raggiunto uno stadio più avanzato (p.i.)