SUL DIRITTO DEGLI STUDENTI A CONOSCERE PREVENTIVAMENTE GLI EFFETTI DELLO SCIOPERO DEI PROFESSORI

Come può una professoressa tenere aperta l’iscrizione a un appello di esame nonostante lo sciopero alla cui proclamazione lei stessa ha partecipato, negando ai propri studenti l’informazione preventiva circa la propria partecipazione o no all’agitazione?


Risposta alla lettera della prof. Clizia Carminati pubblicata sul
Corriere della Sera il 31 agosto 2017 – Segue la replica della prof. Clizia Carminati, cui a mia volta rispondo – In argomento v. anche Sul preavviso di adesione individuale allo sciopero nei servizi pubblici essenziali    
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Sciopero esamiSul Corriere di oggi la professoressa Clizia Carminati si propone di convincere i propri studenti e i lettori della correttezza e legittimità del proprio comportamento, consistente nel sottoscrivere la proclamazione di uno sciopero degli esami mantenendo però aperte le iscrizioni a un appello degli stessi esami; e negare agli studenti, che insistentemente gliela chiedono, l’informazione circa la propria partecipazione o no allo sciopero. La professoressa conclude: “Il primo e più preoccupante esito dello sciopero dei docenti universitari è dunque la constatazione che una buona parte degli studenti universitari di oggi non sa neppure che cosa sia uno sciopero”.

La constatazione forse è un’altra: cioè che è la professoressa Carminati a non sapere che cosa sia lo sciopero in un servizio pubblico, che cosa sia la correttezza dovuta agli utenti del servizio stesso e in particolare quale sia il comportamento dovuto da un professore verso i propri studenti. La legge n. 146 del 1990, che regola la materia dello sciopero nei servizi pubblici, agli articoli 2 e 19 obbliga tutte le parti in causa (“i soggetti che promuovono lo sciopero […], i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero, le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi”) a cooperare lealmente perché siano rispettati i diritti degli utenti, tra i quali vi è anche quello a essere informati con almeno cinque giorni di anticipo circa gli effetti pratici dello sciopero sull’erogazione del servizio. È soltanto una prassi sindacale corrente, non la legge, quella per cui a questo obbligo sarebbero vincolati soltanto i sindacati e i datori di lavoro e non i singoli lavoratori. Sta di fatto, comunque, che nel caso specifico la professoressa Carminati, la quale ha partecipato alla proclamazione dello sciopero, non agisce soltanto come singola lavoratrice, bensì assume pure la veste di rappresentante dell’organizzazione sindacale; anche secondo la prassi corrente, dunque, è tenuta almeno in questa veste ad assicurare agli studenti l’informazione preventiva circa gli effetti dello sciopero, almeno sulla parte del servizio che da lei dipende.

Ma, lasciando da parte per un momento la questione giuridica, pur importante, è in grado la professoressa Carminati di spiegarci quale mai possa essere un suo interesse a negare ai propri studenti l’informazione, per loro molto importante, sul punto se l’appello di esami si terrà o no? Che senso ha questo riserbo preventivo, dal momento che al dunque la sua partecipazione o no allo sciopero sarà conoscibile da parte di tutti? Ipotizziamo che, dopo aver partecipato alla proclamazione dello sciopero, la professoressa cambi idea decidendo di non aderirvi: non sarebbe logico e coerente con questa decisione informarne i propri studenti? E se invece non intende cambiare idea, perché infliggere loro il danno ulteriore del non sapere se l’appello si terrà oppure no, alimentando l’incertezza col tenere aperte le iscrizioni? Non le sembra assai poco educativo presentare ai propri studenti il volto del pubblico dipendente del tutto indifferente ai disagi dei cittadini di cui dovrebbe essere al servizio?

Se la professoressa Carminati ritiene – come par di capire dalla conclusione della sua lettera – che uno sciopero di insegnanti non sia compiutamente tale senza il danno aggiuntivo per gli studenti derivante dall’incertezza circa i suoi effetti concreti, sarà il caso che ella si informi meglio sul contenuto della legge che regola la materia. La quale dice esattamente il contrario.

LA REPLICA DELLA PROFESSORESSA CLIZIA CARMINATI

Gentile Professore,
innanzi tutto La ringrazio per l’interesse mostrato verso la mia lettera al Corriere. Potrei risponderLe severamente che la Sua replica mi accusa con toni non pacati di ignoranza e scorrettezza, citando articoli di legge il cui contenuto NON dice quel che Lei afferma, come Lei stesso ammette e come chiaramente si evince dall’altro articolo Suo cui rinvia. Preferisco invece rispondere nel merito e con semplicità.

La Commissione di Garanzia ha approvato le modalità dello sciopero: La invito a leggerle sul sito del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria. Nessun singolo docente è tenuto a comunicare alcunché prima di scioperare, perché le particolari modalità del nostro sciopero, comunicate ben più di 5 giorni prima dell’inizio del periodo di sciopero, sono chiarissime (se l’appello salta, gli studenti potranno fare l’esame al prossimo appello o, se non esiste un secondo appello autunnale, a un appello straordinario che gli scioperanti – spontaneamente e senza essere obbligati da alcuna legge – si sono impegnati a fissare dopo 14 giorni, e comunque in tempo utile per i laureandi).

D’altra parte, chi comunicasse l’adesione allo sciopero e spingesse dunque gli studenti a rinviare la preparazione si esporrebbe a rischi (persino di citazione in giudizio) nel caso di revoca dello sciopero o se per qualunque ragione decidesse infine di presentarsi all’appello. Facciamo l’esempio di un laureando cui io dica che sciopererò, e che decida dunque di rinviare la preparazione all’appello straordinario che immagina verrà fissato dopo 14 giorni (non si può chiedere la fissazione di quell’appello straordinario prima di aver scioperato, ma solo dopo; così come non si può chiudere l’accesso alle prenotazioni online per il giorno di presunto sciopero). Se lo sciopero venisse revocato o se io decidessi infine di non scioperare (magari perché dopo 14 giorni non posso fare un altro appello), il laureando perderebbe l’ultimo appello prima della laurea e non potrebbe più recuperarlo perché non esisterebbe più un appello straordinario. O dovrebbe presentarsi all’ultimo momento, impreparato o meno preparato. E avrebbe pieno diritto di citarmi in giudizio per il danno provocato.

Inoltre, lo sciopero non è stato proclamato da un sindacato, dunque io non rappresento nessuna organizzazione; persino il datore di lavoro (nel mio caso, un comunicato del Rettore) ci chiede soltanto di agevolare la raccolta dei dati statistici comunicando l’adesione DOPO lo sciopero. Un appello di esame su 8, inoltre, non è certamente un servizio pubblico essenziale, e non è infatti menzionato nella legge 146/1990, art. 1 comma 2, ove per il comparto istruzione universitaria si fa riferimento soltanto agli esami conclusivi del ciclo di studi, cioè alle sessioni di laurea, NON interessate dal nostro sciopero.

Mi sento di sostenere la mia posizione anche sul piano formativo: ritengo molto più educativo insegnare ai miei studenti a lottare per la propria dignità, pur creando disagio, e sensibilizzarli su questa particolare forma di lotta che è lo sciopero – giudicato evidentemente uno strumento invecchiato (l’ho sentito dire anche a un sindacalista a proposito dello sciopero dei docenti!) -, piuttosto che ridurre la mia protesta a un semplice cambiamento di data di un appello d’esame, come sarebbe stato se io li avessi informati prima, e come avviene spesso per malattia o impegni di ricerca. Ricordo inoltre che lo sciopero è l’ultima tappa di un lungo percorso di protesta e di ricerca di un dialogo con il Ministero e che entro tale quadro va spiegato agli studenti.

In conclusione, Le dirò che mai avrei sospettato una tale replica alla mia letterina, specialmente da parte di una persona che ha alle spalle le Sue esperienze. Si trattava infatti di una bonaria e malinconica constatazione della scomparsa, in larga parte degli studenti, di una sensibilità politica guidata dalla consapevolezza che occorre impegnarsi per cambiare le cose, e non arrendersi alla sensazione di non contare nulla, prima concessione alla deriva autoritaria. Come ho scritto in un’intervista su questo stesso tema, vedo questa mancanza di fiducia anche negli organi istituzionali dell’università: per esempio, la “commissione paritetica docenti-studenti” dovrebbe servire proprio a manifestare con forza, qualora esistano motivi di disagio, per esempio di incoerenza o povertà dei percorsi di studio; ma regolarmente gli studenti in commissione dicono pochissimo, salvo lamentarsi molto nei corridoi. Su questo dovremmo lavorare, con il pensiero al futuro. Cordialmente,

Clizia Carminati

CHE COSA HO VERAMENTE SCRITTO SU QUESTO ARGOMENTO DUE ANNI FA E PRIMA ANCORA NEL 2003, E CHE COSA AGGIUNGO OGGI

Nell’ottobre 2015, rispondendo al messaggio di un lettore, ho scritto su questo sito:

Sono convinto che la legge n. 146/1990 obblighi non solo i datori di lavoro e i sindacati, ma anche i dipendenti addetti a servizi pubblici, a comportarsi in modo tale da rendere effettivo il diritto degli utenti dei servizi stessi a un preavviso di almeno 5 giorni di anticipo circa la sospensione del servizio per sciopero. Riporto qui quanto ho scritto su questo punto nel terzo volume del trattato Il contratto di lavoro (Giuffrè, 2003, § 341):

[…] A proposito del diritto degli utenti a essere preavvertiti in tempo utile circa i modi e i tempi di erogazione dei servizi nel corso dello sciopero, si pone la questione se l’ente erogatore possa chiedere a ciascun singolo lavoratore di manifestare l’adesione o no allo sciopero stesso, e se il lavoratore sia in tal caso tenuto a dichiarare veritieramente le proprie intenzioni con il necessario anticipo, in modo che possano prevedersi con precisione gli effetti dell’agitazione e di questi possa essere informata l’utenza. Io ritengo — in contrasto con l’unica sentenza italiana edita sul punto (Pretura di Tempio Pausania 8 maggio 1995, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, p. 691) — che a entrambi i quesiti debba darsi risposta positiva: la legge [n. 146/1990] non obbliga soltanto le associazioni sindacali e gli enti erogatori, ma anche i singoli lavoratori, a garantire un trattamento civile degli utenti in occasione dello sciopero, e in particolare a garantire la conoscibilità di modi e tempi della sua attuazione. Non riesco a vedere alcun motivo per cui dovrebbe considerarsi scorretto il comportamento del datore che chieda al singolo lavoratore di far conoscere in anticipo la propria partecipazione o no allo sciopero, salvo l’ovvio divieto di qualsiasi pressione volta a scoraggiare la scelta di partecipazione; né riesco a vedere alcun interesse meritevole di tutela del lavoratore a mantenere il riserbo sulla propria scelta al riguardo, che comunque non potrà restare segreta. Certo, se un’indicazione in questo senso venisse anche dalla Commissione di Garanzia, che ne avrebbe senz’altro la competenza, non guasterebbe; ma le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi non devono aspettare la sollecitazione della Commissione per fare tutto quanto è necessario, al fine di ridurre i disagi degli utenti in occasione degli scioperi. […]

Come scrivevo allora (2003), non è questo l’orientamento oggi prevalente né della dottrina né della giurisprudenza giuslavoristiche; ma resto convinto, oggi più che mai, della bontà della tesi sostenuta.

Ora la professoressa  Carminati ribadisce che, a suo avviso, lo sciopero perderebbe gran parte del suo senso se gli studenti fossero informati preventivamente e precisamente circa il suo effetto sul servizio. Chiarisce, dunque, che il suo non rispondere alla richiesta di informazione da parte degli studenti è proprio finalizzato a infliggere loro il danno aggiuntivo dell’incertezza. Se davvero la professoressa Carminati avesse ragione, perché mai la legge attribuirebbe agli utenti del servizio pubblico il diritto all’informazione circa gli effetti concreti dell’agitazione sullo svolgimento del servizio stesso? E comunque, indipendentemente da quel che sostengono a questo proposito sindacati, avvocati e giudici del lavoro, non prova imbarazzo la professoressa Carminati nell’infliggere ai propri studenti quel danno aggiuntivo?    p.i.

 

 

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