Se vogliamo contribuire a trasformare la collaborazione franco-tedesca in un progetto comunitario, dobbiamo uscire dalle prossime elezioni con una coalizione maggioritaria (perché trasversale) a favore dell’Europa: cioè far sì che si aggreghino tutte le forze e i leader che si riconoscono in un’Italia europea
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Editoriale di Sergio Fabbrini, professore di Scienza politica alla LUISS, pubblicato sul Sole 24 Ore il 25 giugno 2017 – In argomento v. anche gli interventi e i documenti raccolti nel portale Il nuovo spartiacque della politica mondiale .
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Consideriamo con attenzione ciò che è avvenuto nella riunione del Consiglio europeo dei capi di governo dell’Unione europea (Ue) di giovedì e venerdì scorso. È probabile che i temi discussi siano stati troppi. È indubbio però che quella riunione abbia rappresentato una svolta nel dibattito europeo. Sia nell’agenda che nella strategia. Per quanto riguarda l’agenda, grazie all’iniziativa del nuovo presidente francese Emmanuel Macron, forte di una solida maggioranza legislativa, l’Ue è ritornata a porsi il tema della propria sicurezza e difesa. Non è la prima volta che l’Ue si misura con quel tema. Tuttavia, esso ha acquisito, oggi, un significato diverso. Con l’elezione di un’amministrazione neo-nazionalista a Washington, il nostro continente non può più affidare agli Stati Uniti (e al loro tradizionale alleato europeo, il Regno Unito) il compito di garantirne la sicurezza. Dopo la bocciatura francese, nell’agosto del 1954, del progetto di Comunità europea della difesa, sono stati gli americani (attraverso la Nato) a garantire la nostra sicurezza. Al prezzo, tuttavia, di rendere meno impellente la nostra maturazione politica come unione federale di stati. Oggi è di nuovo la Francia che rilancia quel progetto. Proponendo di giungere, entro tre mesi, a una Cooperazione permanente strutturata (tra i Paesi che lo vogliono) nella politica militare e di intelligence. Peraltro, sempre nella riunione del Consiglio europeo, è stato preso l’impegno per creare un Fondo per la difesa europea e promuovere un Programma per lo sviluppo industriale a sostegno della industria europea della difesa. Quando si mettono insieme risorse militari e industriali per la difesa esterna, risorse di intelligence per la sicurezza interna, risorse di controllo per la protezione delle frontiere, allora è evidente che occorrerà creare autorità decisionali dotate di una loro legittimazione democratica.
La riunione del Consiglio europeo ha mostrato anche il cambiamento intervenuto nella strategia politica. In quella riunione si è deciso di andare avanti su un progetto di Cooperazione permanente strutturata e nello stesso tempo si sono individuati obiettivi per promuovere un mercato interno che continui a beneficiare tutti gli stati membri. La Germania, che si era collocata nel passato su posizioni difensive dello status quo, sta riconoscendo che non si può andare avanti “come al solito”.
Prima della riunione in questione, Angela Merkel ha valutato come «una proposta interessante e fattibile» quella del ministro europeo delle Finanze, proposta che faceva parte del programma elettorale di Emmanuel Macron. Poi, nella conferenza stampa congiunta di Macron e Merkel, alla fine della riunione del Consiglio europeo, è stata addirittura sollevata la possibilità di giungere a una revisione dei Trattati, una possibilità vista come «irrealistica» dal potente ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble, e dai suoi ammiratori europei (e italiani). Se le elezioni tedesche del 24 settembre prossimo confermeranno (come è probabile che avverrà) la maggioranza europeista e centrista che governa quel Paese, allora si saranno create le condizioni necessarie (ma non sufficienti) per trasformare la formula dell’Europa a più velocità (celebrata dalla Dichiarazione di Roma del 25 marzo scorso) in una strategia che differenzia (o sdoppia) le due Europe (quella politica e quella economica). Tale strategia richiede uno stabile consenso interno. Tant’è che entrambi i Paesi, seppure diversi per organizzazione istituzionale e tradizione politica, hanno finito per costruire un solido baricentro europeista al loro interno, costituito di forze e leader provenienti sia dal centrodestra che dal centrosinistra. Con Macron, la Francia si è data un inusuale governo di coalizione, anche se la coalizione è stata raccolta all’interno di un unico movimento. Con Merkel, la Germania continuerà a essere governata da un usuale governo di coalizione, anche se i rapporti relativi tra i due maggiori partiti potrebbero cambiare.
Naturalmente, l’esistenza di un baricentro europeista bi-partigiano è necessario anche per promuovere riforme interne che attraversano gli schieramenti tradizionali. Una consapevolezza, quest’ultima, che manca alla politica italiana (e ai suoi replicanti nel mondo dei media scritti e televisivi). Come i singoli individui, anche le forze politiche tendono a muoversi per inerzia. Così, invece di misurarsi con la nuova frattura indotta dalla interdipendenza europea, la nostra politica guarda indietro alle divisioni degli anni Novanta del secolo scorso. È un andirivieni di incontri tra leader e di negoziazioni personali per ricostruire i due poli di allora (e per stabilire chi li deve rappresentare). Con l’obiettivo di mettere insieme, a sinistra, chi ha promosso il Jobs Act e chi lo ha contrastato e, a destra, chi vuole uscire dall’euro e chi è terrorizzato da quell’uscita. Per questi politici, il problema è come vincere le elezioni, non già come governare uno stato membro dell’Ue. Se così avverrà, l’Italia replicherà lo spettacolo patetico dei governi litigiosi e fragili che ci hanno portato al default finanziario e politico del 2011. Se non vogliamo ripetere quelle esperienze, allora occorre lavorare per rendere le prossime elezioni una resa dei conti all’interno della sinistra e all’interno della destra, prima ancora che una resa dei conti tra l’una e l’altra. Nell’uno e nell’altro campo dovrà emergere una chiara maggioranza europeista, intorno a cui costruire un accordo per un programma di riforme interne ed europee. Peraltro, solamente mettendo l’Europa al centro della campagna elettorale, sarà possibile smascherare l’ambiguità dei 5 Stelle, un movimento che rimane unito fino a quando la priorità sono i vitalizi dei parlamentari e non le riforme necessarie per ridurre il debito pubblico. Non mancheranno coloro che denunceranno questa prospettiva come la riedizione del Patto del Nazareno. Come quella dei cretini, anche la madre dei faziosi è sempre incinta (specialmente in Italia). Non si tratta di riscaldare una vecchia minestra, ma di dare vita a un Patto per l’Europa rappresentato da un governo di indiscussa reputazione internazionale.
L’Italia è indispensabile per contribuire a trasformare la collaborazione franco-tedesca in un progetto comunitario. Senza l’Italia, la Cooperazione permanente strutturata potrebbe trasformarsi in un coordinamento a guida francese delle politiche nazionali di difesa e sicurezza. Senza l’Italia, il nuovo ministro europeo delle Finanze potrebbe trasformarsi nel controllore a guida tedesca delle politiche nazionali di bilancio. Ma per esercitare tale influenza, che riflette i nostri interessi nazionali e la nostra tradizione europeista, occorre uscire dalle prossime elezioni con una coalizione maggioritaria (perché trasversale) a favore dell’Europa. Se si vuole approfondire la strada delle riforme interne e sostenere il progetto dell’unione politica, allora l’Italia dovrà aggregare tutte le forze e i leader che si riconoscono in un’Italia europea. Occorre smetterla con le polemiche personali. Abbiamo bisogno di politici che abbiano una strategia e non solo un’ambizione.
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