LA RELAZIONE ANNUALE DEL GARANTE PER GLI SCIOPERI

“Appaiono ormai maturi i tempi per una riflessione, anche in sede legislativa, sull’opportunità di trovare dei sistemi di governo del conflitto che siano mutuati dai principi della democrazia rappresentativa e collegare, quindi, il potere di proclamazione dello sciopero, nel settore dei servizi pubblici essenziali, al raggiungimento di parametri di rappresentatività”


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Testo della relazione svolta presso la Camera dei Deputati il 22 giugno 2017 dal Presidente della Commissione di Garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici, professor Giuseppe Santoro Passarelli: se ne anticipano qui alcuni stralci particolarmente significativi – Segue il testo della relazione annuale della Commissione sull’andamento degli scioperi nei servizi pubblici essenziali e sul proprio operato – Sul tema dell’integrazione necessaria della disciplina legislativa della materia, v. anche la mia intervista al
Corriere della Sera del 18 giugno 2017     .
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DALLA RELAZIONE DEL PRESIDENTE

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Conflitto e rappresentatività sindacale

L’eccessivo ricorso allo sciopero, seppur nel rispetto della normativa di riferimento, pone l’esigenza di una riflessione, nel momento in cui, in alcuni servizi essenziali, esso (più che sanzione dell’ordinamento intersindacale, come lo definiva Gino Giugni) viene riproposto con una scadenza periodica, specie da alcune organizzazioni sindacali dall’incerta rappresentatività che vi ricorrono per avere auto-legittimazione e visibilità piuttosto che in reale funzione di autotutela degli interessi collettivi. Può così accadere che, oltre ad esservi un utilizzo “distorto” del diritto di sciopero, non vi sia proporzionalità fra il disagio causato agli utenti e lo sciopero proclamato senza un diffuso consenso sindacale.

Il professor Giuseppe Santoro Passarelli

Il professor Giuseppe Santoro Passarelli

Una possibile soluzione consiste nell’affrontare il problema della verifica della rappresentatività sindacale: problema fondamentale sia per il nostro sistema di relazioni industriali (come dimostra il Testo Unico sulla rappresentanza concluso dalle parti sociali nel 2014 e la continua discussione sul tema nel Parlamento e nel Governo) sia per il governo del conflitto collettivo. Non vi è dubbio, infatti, che, indipendentemente da come si voglia configurare la titolarità del diritto di sciopero (individuale o collettiva), le organizzazioni sindacali assumano, nella prassi, l’iniziativa e il governo del conflitto collettivo nei servizi pubblici essenziali, essendo rimessa a loro la proclamazione dello sciopero.

Senza voler pregiudicare, dunque, il diritto costituzionale di tutti i sindacati a poter proclamare lo sciopero, appaiono ormai maturi i tempi per una seria riflessione, anche in sede legislativa, sull’opportunità di trovare dei sistemi di governo del conflitto che siano mutuati dai principi della democrazia rappresentativa e collegare, quindi, il potere di proclamazione dello sciopero, nel settore dei servizi pubblici essenziali, al raggiungimento di parametri di rappresentatività (Bellardi, Carrieri). Utili parametri di riferimento possono, a tal fine, provenire dall’ordinamento intersindacale, quali, ad esempio, le regole previste nel Testo Unico sulla rappresentanza sindacale del 2014, oltre che dal contributo della recente giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. n. 231/2013).

Si rivela interessante, in proposito l’accordo del 31 luglio 2015 tra il Gruppo delle ferrovie dello Stato e le organizzazioni sindacali più rappresentative nel settore, per il rinnovo ed il funzionamento delle rappresentanze sindacali aziendali unitarie, con il quale si stabilisce che “la Rsu può proclamare un’azione di sciopero purché essa sia dichiarata congiuntamente a una o più delle organizzazioni sindacali stipulanti il C.C.N.L. e la decisione sia assunta dalla maggioranza qualificata del 50% + 1 dei componenti la Rsu”.

Il merito di questo accordo, che ha natura privata, e quindi vincola solo i soggetti che lo sottoscrivono, è di riconoscere ad un soggetto collettivo effettivamente rappresentativo la legittimazione a proclamare lo sciopero.

Come è noto, ad una simile prospettiva fanno riferimento recenti disegni di legge di possibile riforma della 146/1990 (ci si riferisce ai d.d.l. 550, Sen. Di Biagio; 1286, Sen. Sacconi ed altri; 2006, Sen. Ichino ed altri, allo stato in prima lettura in Commissione), nei quali si sottopone, tra l’altro, la possibilità di proclamare lo sciopero ad una consultazione tra i lavoratori (referendum), possibilità, quest’ultima sulla quale si esprime qualche riserva, soprattutto, sotto il profilo logistico della sua realizzazione.

Regole certe in materia di rappresentatività contribuirebbero a rafforzare il senso di responsabilità e di impegno civile del sindacato, che rimane un fondamentale soggetto del pluralismo democratico del Paese, verso un suo più incisivo esercizio di quel dovere di influenza, nei confronti dei propri iscritti, per l’osservanza delle regole.

Con riferimento ad alcuni settori particolarmente sensibili (quali la scuola o i trasporti locali), all’interno della Commissione si è formato un orientamento maggioritario secondo il quale è opportuno sollecitare le parti sociali ad inserire negli accordi sulle prestazioni indispensabili, clausole in materia di comunicazione preventiva di partecipazione allo sciopero. Ciò contribuirebbe notevolmente ad una più precisa informazione utile, tanto ai cittadini utenti, quanto alle aziende, rendendo possibile la commisurazione dell’erogazione del servizio all’effettivo numero di adesioni. Diverrebbe così finalmente censurabile e sanzionabile il comportamento di aziende che, allo stato, a fronte di scioperi che raccolgono l’adesione del 5-6%, sospendono il servizio o si limitano a fornirne solamente la soglia minima stabilita nella disciplina di settore, senza adeguarla all’effettiva portata dell’astensione, adducendo a giustificazione il fatto che la non conoscenza preventiva dei dati di adesione alla stessa rende impossibile valutarne con precisione ed affidabilità l’impatto sull’erogazione del servizio.

[…]

Forme di elusione della normativa

Costituisce un impegno fermo di questa Commissione, adoperarsi per contrastare possibili elusioni della normativa di legge e regolamentare, attraverso l’attuazione di azioni collettive diverse dallo sciopero in senso tradizionale. Ciò nella consapevolezza che il “sacrificio” dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, nel loro contenuto essenziale, possa derivare, oltre che dallo sciopero, da forme anomale di lotta sindacale quando, per entità, durata e modalità di esercizio, siano tali da incidere negativamente sulla erogazione e organizzazione del servizio essenziale.

È evidente, sotto tale profilo, l’utilizzo dell’assemblea sindacale quale strumento alternativo allo sciopero con il chiaro intento di arrecare pregiudizio alla normale erogazione di alcuni servizi pubblici essenziali (emblematico il recente caso di un’assemblea di sei ore proclamata da un sindacato della polizia municipale di Milano, proprio nella giornata della visita del Papa).

Naturalmente, la Commissione, oltre a ribadire che il diritto di assemblea non può in alcun modo essere esercitato quale equivalente funzionale del diritto di sciopero, ha sottolineato, coerentemente con l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, il principio che l’esercizio di tutti i diritti sindacali si svolga “nel rispetto dei principi della Costituzione” tra i quali è da ricomprendere “il diritto dei cittadini a fruire dei servizi pubblici essenziali”. L’assemblea che si svolga, dunque, in violazione delle regole per essa stabilite dalla contrattazione collettiva, potrà essere attratta nel campo di applicazione della Legge 146.

Ridefinire i confini del servizio pubblico

Una riconsiderazione dinamica dei servizi pubblici si rende necessaria anche con riferimento alla loro effettiva essenzialità, che non può essere stabilita in termini statici, ma è soggetta ad evoluzione sotto il profilo della loro rilevanza e fruizione da parte dei cittadini.

L’Autorità, da parte sua, sta procedendo ad una ricognizione delle varie discipline che, attualmente, regolamentano i vari settori, per un opportuno aggiornamento di quelle più datate e per verificare, alla luce dell’evoluzione del sistema di erogazione, se nuovi servizi, precedentemente non considerati, possano rientrare nel campo di applicazione della legge. Un esempio in tal senso è il D.L. 20 settembre 2015, n. 146, convertito in legge 12 novembre 2015, n. 182, che ha ricompreso tra i servizi pubblici essenziali la “fruizione del patrimonio storico ed artistico della Nazione”, attraverso l’apertura regolamentata al pubblico di musei e luoghi della cultura, di cui all’art. 101 del Codice dei beni culturali (D.lgs. n. 42, del 2004). Un’iniziativa legislativa pienamente recepita dalle parti sociali in appositi accordi.

La Commissione, non può non richiamare la necessità che l’erogazione dei servizi pubblici, sia informata anche ad un criterio di efficienza con riferimento alla fruibilità da parte dei cittadini dal momento che la stessa erogazione, spesso è, già di per sé, compromessa da carenze tecnico-strutturali e da cattive e non trasparenti gestioni (emblematiche le condizioni del trasporto urbano in alcune importanti città).

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