I dati di flusso e di stock sul mercato del lavoro italiano nell’ultimo triennio e la strategia del Governo per ridurre il costo del lavoro; le opportunità di occupazione inutilizzate; il ruolo cruciale delle politiche attive del lavoro; gli interrogativi sull’impatto dell’innovazione tecnologica sull’occupazione nel futuro prossimo
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Testo integrale dell’intervista a cura di Elena Del Giudice, pubblicata sul Messaggero Veneto il 25 giugno 2017, in occasione degli incontri pubblici del giorno successwivo a Udine e a Pordenone – In argomento v. anche le slides che ho utilizzato per l’introduzione dei due incontri, sul tema Lavoro: le riforme fatte e le sfide del futuro prossimo
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UDINE – Il Jobs Act come “shock” al sistema, e ha funzionato. Ora occorre pensare ai giovani. A dirlo Pietro Ichino, giurista, grande esperto di lavoro, docente alla Statale di Milano e senatore, atteso a Udine e Pordenone domani per parlare di “Lavoro: gli effetti delle riforme compiute e le sfide del futuro prossimo”.
Professor Ichino, quando parla di “riforme compiute”, nella relazione che terrà a Udine domani, si riferisce al Jobs Act?
Non soltanto: c’è anche la nuova legge sul lavoro autonomo e il “lavoro agile”. E gli interventi sul cuneo previdenziale. Questi hanno posto le premesse per un’operazione di grande rilievo, che il Governo si propone di attuare con tre passaggi, da qui al 2020: l’allineamento strutturale del nostro contributo pensionistico a carico del lavoro dipendente con quello vigente in Germania, con una riduzione dell’aliquota contributiva per tutti i rapporti di lavoro stabili dal 33 al 25 per cento.
È vero che l’occupazione stabile è aumentata dal 2015 al 2017, ma terminata la decontribuzione il numero delle assunzioni a tempo indeterminato si è drasticamente ridotto.
Non è così: anche ragionando in termini di flusso e non in termini di stock, le assunzioni stabili hanno continuato ad aumentare. Nonostante il boom straordinario e irripetibile che si è registrato nel 2015, con un saldo positivo tra assunzioni stabili e cessazioni di 885.000 unità, anche nel 2016 si è verificato un saldo positivo di 45.000 unità, e per il 2017 si profila un saldo positivo intorno alle 70 o 80.000 unità: sono state 17.000 nel primo trimestre. In sostanza, la decontribuzione totale nel 2015 ha funzionato come un “defibrillatore” su di un organismo infartuato: ha rimesso in moto un mercato del lavoro bloccato, con un effetto immediato spettacolare, che non poteva certo mantenersi negli anni successivi. Però in questo modo si è invertita una tendenza pluridecennale alla riduzione della quota delle assunzioni stabili rispetto al totale.
Per contro l’incremento delle assunzioni a termine può essere considerato un indicatore di ripresa, sebbene con una visibilità a breve. Che chiave di lettura ne dà?
Come ho appena mostrato, non stanno aumentando soltanto le assunzioni a termine, ma anche quelle stabili. Che tra la ripresa economica generale e il ritorno al segno più sul piano occupazionale ci sia una correlazione è ovvio; però negli altri Paesi l’aumento dell’occupazione è arrivato con il consueto ritardo rispetto all’inversione del trend congiunturale generale: dai 9 ai 12 mesi dopo; mentre da noi è arrivato quasi contemporaneamente. Questo probabilmente è un merito dell’insieme delle misure adottate dal Governo e dal Parlamento in questa legislatura.
Il tasso di disoccupazione giovanile resta particolarmente elevato. In che modo si può incentivare l’accesso al lavoro per i giovani?
Il primo passo verso la riduzione strutturale della contribuzione per tutti i contratti di lavoro stabili sarà costituito, nella legge di bilancio che verrà varata in autunno, da una forte decontribuzione per le assunzioni stabili di giovani: ci si sta orientando verso una riduzione del 50 per cento, che verrà poi ridotta all’incirca della metà l’anno successivo. Però l’ostacolo più grave all’occupazione giovanile è costituito dal difetto grave dei servizi di orientamento scolastico e professionale: materia che è rimasta di competenza delle Regioni.
Non sarebbe preferibile individuare un meccanismo stabile di incentivazione che favorisca i giovani, per evitare che – terminati gli sgravi – le assunzioni si fermino?
Anche su questo terreno il Governo attribuisce all’incentivazione economica la funzione di uno shock iniziale. Ma il problema cruciale consiste nell’informazione, che ai giovani e alle loro famiglie manca, sulle probabilità che ciascuna scuola, facoltà universitaria, o centro di formazione professionale, offrono di una occupazione coerente con la formazione impartita. In assenza di questo servizio, i nostri ragazzi compiono le scelte decisive per il loro futuro con la testa nel sacco; e non per colpa loro. Qualche cosa di veramente utile, per aiutarli nella transizione dalla scuola al lavoro, si è incominciato a fare con il programma europeo Garanzia Giovani, ma occorre trasformare questo programma in un servizio permanente e capillare, che ancora non c’è.
In questi giorni il presidente di Confartigianato ha rilanciato il peso del fisco sulle imprese, anche quello legato all’occupazione, del 12% più elevato della media Ocse. Come dire che il costo del lavoro dovrebbe scendere per tutti…
Il presidente di Confartigianato ha ragione. Ma la differenza non è data soltanto dalla pressione fiscale, bensì anche dall’aliquota contributiva. Sul versante dei contributi, il programma è quello dell’allineamento strutturale alla Germania, di cui ho detto prima. Sul versante fiscale, la riduzione della pressione su imprese e lavoro è già incominciata in modo ben percepibile, dal 2015, e deve continuare fino a che l’allineamento con la media Ocde non sarà raggiunto.
Un altro dei problemi legati all’occupazione è l’incrocio fra domanda e offerta. Dicono recenti studi che la rete di relazioni personali e familiari conta molto di più dell’ufficio di collocamento per trovare un lavoro.
È così: oggi chi non dispone di reti personali, familiari, amicali o professionali, non riesce a inserirsi nei grandi flussi delle assunzioni. I Centri per l’Impiego non riescono a intermediare più del 3 o 4 per cento degli incontri fra domanda e offerta.
E su questo fronte mi pare che continuiamo ad essere in ritardo.
Sì. Però ora, almeno, abbiamo una linea operativa chiara da seguire: il decreto legislativo n. 150 del 2015 ha compiuto in modo netto la scelta, che non era per nulla scontata, della cooperazione tra servizio pubblico e operatori specializzati privati, e dello strumento dell’assegno di ricollocazione, di cui l’Agenzia nazionale per le politiche attive ha avviato la sperimentazione.
Il Friuli Venezia Giulia è una regione in cui il manifatturiero ha un peso rilevante. Guardando al futuro, la quarta rivoluzione industriale sembra promettere fabbriche senza operai e robot sempre più intelligenti, e persino “empatici”, in grado di rimpiazzare l’uomo nei più diversi settori. Il futuro deve fare paura?
Da che esistono i mercati del lavoro, il progresso tecnologico non ha mai prodotto una riduzione della domanda di lavoro umano, se non nel breve periodo. Anche gli studi più recenti confermano che in nessun Paese il tasso di occupazione ha subito flessioni rilevanti per effetto della sostituzione delle persone con le macchine.
Lei dunque è contrario alla tassa sui robot proposta da Bill Gatese?
Il problema non è di ritardare il progresso tecnologico, ma di redistribuirne i benefici e di riqualificare le persone cui i robot si sostituiscono, in modo che esse possano dedicarsi ai molti altri lavori richiesti ma vacanti già oggi, e soprattutto all’infinità di lavori nuovi che saranno richiesti domani e che le macchine non potranno svolgere. Oggi in Italia c’è almeno mezzo milione di posti di lavoro che rimangono permanentemente scoperti per mancanza di persone competenti: tecnici informatici, elettricisti, falegnami, infermieri, artigiani dei mestieri più vari. Domani ci sarà comunque – se gli consentiremo di esprimersi – un bisogno senza limiti di lavoro umano non sostituibile dalle macchine, nei settori dell’assistenza medica e paramedica alle persone, dell’istruzione, della diffusione delle conoscenze, dei servizi qualificati alle famiglie e alle comunità locali, della ricerca in tutti i campi, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
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