La ratifica dell’accordo con il Canada sul libero scambio da parte del Parlamento Europeo, nel febbraio scorso, ha costituito la risposta più concreta alla svolta protezionista del nuovo presidente degli U.S.A.: ora è importante che seguano al più presto le ratifiche dei Paesi membri – Risposta alle singole obiezioni
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Relazione svolta il 20 giugno 2017 alla Commissione Lavoro e Politiche sociali del Senato, che il giorno successivo ha votato il parere favorevole alla ratifica dei due accordi con il Canada – In argomento v. anche l’articolo di Manlio Frigo Il Ceta tra realtà e suggestioni; e quello di Alessandro Maran, Chi occupa i vuoti lasciati da Trump .
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Relazione del senatore Pietro Ichino sull’Atto Senato n. 2849
Ratifica ed esecuzione degli Accordi: a) Accordo di partenariato strategico
tra l’Unione europea e il Canada e
b) Accordo economico e commerciale globale tra il Canada l’Unione europea,
fatti entrambi a Bruxelles il 30 ottobre 2016
Il disegno di legge in esame concerne la ratifica di due Accordi stipulati, da un lato, dall’Unione europea e i suoi Stati membri, dall’altro dal Canada: l’Accordo di partenariato strategico (Strategic Partnership Agreement-SPA) e l’Accordo economico e commerciale (Comprehensive Economic and Trade Agreement-CETA).
- Sintesi del contenuto dell’Accordo di partenariato strategico (SPA)
Riguardo all’Accordo di partenariato strategico, i primi tre titoli del testo contengono in prevalenza dichiarazioni congiunte su valori condivisi, come la difesa dei diritti umani e la promozione dei princìpi democratici e dello Stato di diritto.
Il Titolo IV è dedicato allo sviluppo sostenibile e introduce varie attività di cooperazione in materia di aiuto allo sviluppo, ambiente e cambiamenti climatici.
Il Titolo V è inteso a rafforzare la collaborazione in varie materie, quali: migrazione, asilo e gestione delle frontiere; contrasto della corruzione; contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; lotta alla criminalità organizzata e a quella informatica; lotta contro le droghe illecite.
Il Titolo VI definisce i termini del dialogo politico e della consultazione reciproca (come vertici e riunioni a vario livello) in questioni politiche di interesse reciproco, oltre a prevedere scambi di delegazioni tra i vari Parlamenti.
- Sintesi del contenuto dell’Accordo di libero scambio (CETA)
L’Accordo sul libero scambio consta di 365 articoli e 17 allegati, per un totale di 1598 pagine nella sua edizione originale: l’Accordo è dunque un testo molto complesso. Esso tuttavia costituisce uno strumento di importanza vitale per il rafforzamento delle relazioni bilaterali in materia economica e commerciale.
Le disposizioni riguardano varie materie e profili, tra cui: il trattamento nazionale e l’accesso al mercato, relativamente all’importazione di merci; le misure di difesa commerciale; gli ostacoli tecnici agli scambi; le misure sanitarie e fitosanitarie; i servizi doganali; la soppressione di limiti alla possibilità di investimenti imprenditoriali e finanziari nel territorio della controparte; l’ingresso e il soggiorno temporanei di persone fisiche per motivi professionali (al fine di fornire un quadro di certezza giuridica per i lavoratori qualificati che si trasferiscano temporaneamente nell’Unione europea o in Canada); il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali (mediante la definizione di un quadro regolamentare che consente al Canada di riconoscere le qualifiche professionali acquisite nell’Unione europea, e viceversa); i servizi finanziari; i servizi di trasporto marittimo internazionale; il commercio elettronico; la politica della concorrenza; gli appalti pubblici; la proprietà intellettuale; l’ambiente; la risoluzione delle controversie.
- La negoziazione e la stipulazione del CETA da parte della Commissione Europea e la sua ratifica da parte del Parlamento Europeo
Il CETA è stato firmato dalla Commissione Europea una prima volta nell’ottobre 2014 – quasi contemporaneamente con l’Accordo gemello sottoscritto dalla stessa Commissione con Singapore – su mandato del Consiglio e con l’assenso del Parlamento Europeo, al termine di negoziati che avevano avuto inizio nel 2009. Entrambi gli accordi, negli intendimenti della Commissione, dovevano costituire una sorta di preludio alla firma del più rilevante accordo di partenariato con gli Stati Uniti (il TTIP); senonché uno dei primi atti del nuovo presidente degli U.S.A. Donald Trump è consistito nell’affossamento di questo accordo. La risposta immediata dell’UE a questo atto è consistita nell’approvazione del CETA da parte del Parlamento Europeo a larga maggioranza (408 voti a favore, 254 contrari, 33 astensioni) il 15 febbraio di quest’anno: con questo atto – compiuto nonostante una iniziale presa di posizione contraria del Parlamento della Vallonia, che aveva minacciato di compromettere l’iter dell’accordo in modo definitivo ma è stata poi opportunamente disattivata sul piano del diritto internazionale – l’UE ha lanciato un messaggio inequivoco di dissenso rispetto alla svolta in senso protezionista compiuta dalla nuova presidenza U.S.A. nella politica commerciale internazionale.
Sta dunque incominciando a verificarsi nel quadrante atlantico qualche cosa di analogo a quanto sta accadendo nel quadrante pacifico. Qui, come ha osservato Alessandro Maran in un articolo di commento della delibera del Parlamento Europeo su l’Unità del giorno successivo, la risposta alla svolta protezionista e isolazionista degli U.S.A., concretatasi nell’affossamendo dell’accordo Trans-Pacific Partnership (TPP), è venuta dal presidente cinese Xi Jinping: il quale ha firmato più di 40 accordi bilaterali in America Latina e si è impegnato a compiere investimenti per miliardi di dollari in questo continente. Se il TPP stipulato tra gli Stati Uniti e altri 11 paesi affacciati sull’Oceano Pacifico, avrebbe ridotto le barriere al commercio e agli investimenti e spinto le economie asiatiche più grandi (come il Giappone ed il Vietnam) in direzione di una maggiore apertura basata sul rispetto delle regole, ora sarà invece la Cina a occupare lo spazio lasciato vuoto dal nuovo orientamento della politica commerciale internazionale degli U.S.A.
L’Australia, dal canto suo, che era stata convinta sostenitrice del TPP, non ha tardato a fare sponda all’iniziativa cinese. E presto altri paesi asiatici seguiranno. Al summit del Consiglio per la cooperazione economica asiatico-pacifica (APEC) del novembre scorso, come osserva ancora Alessandro Maran nell’articolo citato, l’allora primo ministro della Nuova Zelanda, John Key, ha commentato così la nuova situazione che va delineandosi: «Il TPP era una dimostrazione di leadership americana nella regione asiatica (…) noi vogliamo davvero che gli Stati Uniti restino nella regione (…) Ma alla fine, se gli Stati Uniti non ci sono, quel vuoto deve essere riempito. E verrà riempito dalla Cina».
Con la pronta approvazione del CETA, l’Europarlamento ha manifestato, mutatis mutandis, un orientamento sostanzialmente analogo.
- La fase delle ratifiche da parte dei parlamenti nazionali
Ora tocca al Parlamento canadese e ai Parlamenti dei 28 Paesi membri della UE (28, perché anche la Gran Bretagna ne fa ancora parte, ha tutto l’interesse a entrare anch’essa nella grande area di libero scambio regolata dal CETA, e dunque a quanto risulta si accinge a ratificarlo). L’iter per l’entrata in vigore definitiva del CETA è dunque ancora lungo e l’esito di questa fase è tutt’altro che scontato.
Il fatto che la sua negoziazione in sede governativa sia avvenuta a porte chiuse gli ha attirato l’accusa di scarso rispetto per il principio del necessario iter di approvazione democratica in sede parlamentare. Per replicare a questa accusa basti osservare, per un verso, che tutte le negoziazioni tra Governi di accordi analoghi, salvo eccezioni, avvengono secondo la stessa procedura; per altro verso, che ora anche la mancata ratifica da parte del Parlamento di un solo Stato membro dell’UE può impedire l’entrata in vigore definitiva dell’accordo: si tratta dunque di un procedimento di ratifica nel quale il controllo popolare dei contenuti e il dibattito politico democratico in proposito hanno un amplissimo spazio per dispiegarsi.
- Il dibattito in Europa su alcuni contenuti specifici del CETA
Il Ceta pur avendo la stessa impostazione generale del TTIP, se ne discosta per la previsione di alcune tutele specifiche per l’industria e per i consumatori europei. Queste le disposizioni di maggior rilievo:
– in primo luogo si prevede l’abolizione del 92% dei dazi doganali sulle merci (il valore di questa riduzione, per le merci provenienti dall’Ue, è stimato in oltre 400 milioni di Euro annui);
– si dispone l’apertura per i soggetti Ue (cittadini e imprese) delle gare d’appalto canadesi per fornitura di beni e servizi, in misura superiore a tutti gli altri partner commerciali del Canada, con corrispettiva apertura in seno all’UE a favore dei soggetti canadesi;
– per alcune professioni regolamentate (architetti, ingegneri, commercialisti) vengono eliminati i maggiori ostacoli al reciproco riconoscimento;
– con questo accordo, infine, il Canada accetta l’adeguamento agli standard europei in tema di diritto d’autore e di tutela della proprietà intellettuale.
Nel dibattito europeo, gli aspetti più controversi del CETA – in relazione ai quali, congiuntamente a quelli omologhi del TTIP, quest’anno si sono svolte anche alcune manifestazioni di piazza a Strasburgo davanti alla sede del Parlamento europeo – riguardano principalmente:
- la tutela della salute, in relazione alle future importazioni dal Canada in Europa di prodotti agricoli e in particolare di prodotti geneticamente modificati;
- gli strumenti per la soluzione delle controversie in materia di commercio e di investimenti.
In proposito il professor Manlio Frigo, ordinario di diritto internazionale nell’Università Statale di Milano, ha osservato:
Sul primo punto non è chiaro il nesso tra la ipotetica apertura all’importazione in Europa di prodotti Ogm e/o di carne agli ormoni e il Ceta se si considera che:
- entrambi sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’accordo;
- . l’accordo stesso dispone espressamente che le sue norme troveranno comunque applicazione nella misura in cui non deroghino alle disposizioni previste dagli Stati a tutela della salute dei propri cittadini. In particolare, il Ceta non incide sulle restrizioni Ue in tema di carni bovine contenenti ormoni e/o Ogm.
Appaiono dunque del tutto infondate le preoccupazioni espresse da diverse parti circa una pretesa violazione, da parte dell’accordo, del c.d. “principio di precauzione” nella disciplina della produzione alimentare a tutela della salute umana e dell’ambiente.
A ciò deve aggiungersi che l’Accordo prevede la garanzia della tracciabilità del percorso compiuto da ciascun prodotto oggetto di esportazione in una direzione e nell’altra, dall’origine al venditore finale: onde i consumatori conosceranno perfettamente le origini dei prodotti acquistati. Ciò che favorirà molto probabilmente assai più i prodotti alimentari europei, stante il loro livello qualitativo mediamente più alto, rispetto ai prodotti provenienti da oltre Atlantico. Il fatto che, per quel che riguarda l’export agroalimentare europeo, vengano tutelate soltanto 173 indicazioni geografiche di provenienza, di cui soltanto 41 italiane (a fronte delle 288 tutelate in Italia), corrisponde a quanto normalmente accade negli accordi di libero scambio intercontinentali; ma in ogni caso non può essere considerato come una riduzione della tutela dei prodotti tipici nostrani, tenuto conto del fatto che senza questo accordo nessuna indicazione di origine di prodotti italiani o di altri Paesi europei sarebbe tutelata in Canada. Dunque la protezione del prodotto tipico può basarsi soltanto su di un accordo come il CETA, ovviamente migliorabile in futuro, mentre resterebbe nulla in mancanza dell’accordo. Per altro verso, il Canada non chiede il riconoscimento da parte dell’UE di alcuna denominazione di origine geografica di propri prodotti agro-alimentari.
In riferimento alla questione relativa agli strumenti per la soluzione delle eventuali controversie in materia di commercio e investimenti, l’articolo del professor Manlio Frigo propone le osservazioni che seguono:
Quanto al secondo punto, per la verità, l’opposizione al Ceta […] riguardava l’iniziale previsione di un sistema di soluzione delle controversie di tipo arbitrale (Isds) che, secondo i suoi detrattori, avrebbe aperto le porte ad una giustizia “privata” in danno agli Stati e a favore delle multinazionali.
È alquanto sorprendente che gli odierni oppositori del Ceta (e del Ttip) non si siano resi conto che il modello di soluzione delle controversie inizialmente proposto – che si affidava al modello arbitrale dell’Icsid – ricalca un ben collaudato modello nel settore del diritto internazionale degli investimenti ed è il medesimo previsto in oltre 1.400 accordi bilaterali di protezione degli investimenti (Bit) che i Paesi dell’Ue hanno, con soddisfazione, concluso finora in materia.
(articolo pubblicato sul sito l’Huffington Post il 17 febbraio 2017).
Sta di fatto, comunque, che nella sua versione definitiva il CETA prevede che la soluzione delle eventuali controversie sugli investimenti per mezzo di un apposito “sistema giudiziario per la protezione degli investimenti” (Investment Court System-ICS), costituito da un tribunale pubblico, di cui faranno parte giudici togati indipendenti adeguatamente formati e selezionati, le cui udienze dovranno essere aperte al pubblico e le cui decisioni dovranno essere motivate. Chi è preoccupato dalla prospettiva della devoluzione della giurisdizione su questa materia dai nostri giudici nazionali a questa nuova magistratura sovranazionale non può seriamente accampare ragioni attinenti né alla sua professionalità e competenza, né alla sua indipendenza formale e sostanziale: l’opposizione nasce in realtà soltanto dal rifiuto di un processo ordinato di integrazione della nostra economia in un nuovo sistema di scambio intercontinentale debitamente strutturato. Ma se è così, si dica apertamente che si è contrari all’incremento degli scambi internazionali per motivi pregiudiziali e si preferiscono le politiche protezionistiche: opzione, questa, che può vantare quattro quarti di nobiltà nella storia del pensiero economico, ma deve essere esplicitata per quello che è e non occultata dietro argomenti di dettaglio privi di qualsiasi fondamento.
Quanto alla preoccupazione che la concorrenza canadese possa danneggiare qualche settore della nostra economia, con i conseguenti riflessi occupazionali negativi, va osservato come, al contrario, le economie italiana e canadese siano marcatamente complementari e quindi suscettibili di trarre entrambe notevole giovamento dall’abbattimento delle barriere commerciali: mentre è agevolmente prevedibile che il Canada sia destinato ad aumentare l’esportazione verso l’Italia soprattutto di materie prime che a noi fanno difetto, grano, pesce congelato, crostacei, soia (tutti prodotti, peraltro, che già oggi noi importiamo da quel Paese), è altrettanto agevolmente prevedibile noi aumenteremo le esportazioni verso quel Paese, con i suoi 36 milioni di abitanti, di macchine utensili, automobili, moto e autocarri, occhiali, prodotti dell’industria alimentare, tessile, dell’abbigliamento, del cuoio, dell’oreficeria, e diversi altri ancora. Con una prospettiva non certo di indebolimento, ma di ampliamento e rafforzamento del nostro tessuto produttivo.
Nel 2015 l’UE ha esportato verso il Canada beni di consumo per un valore di 35,2 miliardi di euro: che è quanto dire che, mediamente, ciascun canadese in quell’anno ha speso 1000 euro per acquistare beni prodotti nella UE. Si calcola che quando l’accordo sarà pienamente operativo le esportazioni europee aumenteranno di oltre il 20 per cento: ogni canadese prenderà a spendere mediamente 200 euro in più per l’acquisto di beni europei. Quanto al medio termine, secondo uno studio del 2008 condotto congiuntamente dall’Unione Europea e dal Governo canadese dopo circa sette anni dall’entrata in vigore dell’accordo il volume delle nostre esportazioni verso il Canada aumenterà di circa 11,6 miliardi di euro rispetto a quello attuale.
Motivo di rammarico, semmai, sta nel fatto che il CETA non sancisca il principio della libera circolazione delle persone tra gli Stati firmatari, che aumenterebbe gli effetti di progresso sociale derivanti dall’accordo. Ma ovviamente questo può e deve considerarsi come un passo avanti ulteriore sulla via dell’integrazione transatlantica, per il quale il CETA pone alcune solide quanto indispensabili premesse.
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Per concludere, ritengo che la nostra Commissione debba esprimere con piena convinzione un parere positivo circa la ratifica di questo accordo, con l’auspicio che la rapida delibera in proposito del nostro Parlamento costituisca uno stimolo per tutti gli altri Parlamenti dei Paesi della UE ad accelerare gli analoghi procedimenti, superando le resistenze.
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