Come già nell’82 per il trattamento di fine rapporto e nel ’90 per i licenziamenti nelle piccole imprese, anche oggi il legislatore evita il referendum accogliendone in parte le istanze, ma evitandone gli effetti eccessivi
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Primo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 438, 29 maggio 2017 – In argomento v. anche il secondo: Dove sta la vera incostituzionalità della nuova norma; e il terzo: Il partito della complicazione – Inoltre il testo dell’emendamento presentato da Irene Tinagli il 18 maggio per la nuova disciplina del lavoro occasionale e il mio intervento nella discussione generale sulla conversione del decreto-legge n. 25/2017, che ha abrogato i buoni-lavoro nel marzo scorso – Sul merito del referendum promosso dalla Cgil v. i miei articoli La storia surreale del voucher che toglie dignità al lavoro, pubblicato sul Foglio il 17 marzo 2017, e Chi ha paura del lavoro marginale, pubblicato sul Corriere della Sera il 25 marzo .
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È accaduto già più volte: per evitare un referendum che avrebbe tagliato un nodo politico complesso in modo rozzo, con un colpo d’accetta, Governo e Parlamento si sono attivati per trovare una soluzione che non buttasse via il bambino con l’acqua sporca. Per citare solo i due precedenti che riguardano la materia del lavoro, questo è accaduto nel 1982 con la riforma del trattamento di fine rapporto e nel 1990 con la legge sui licenziamenti nelle piccole imprese. Ora accade di nuovo per la disciplina del lavoro occasionale; anche oggi, come allora, Governo e Parlamento sostituiscono alla vecchia disciplina una nuova che muta incisivamente nella direzione voluta dai promotori del referendum. Prima i buoni-lavoro erano utilizzabili da parte di qualsiasi soggetto e, di fatto, i cinque sesti dei buoni venivano usati da imprese di dimensioni medio-grandi; ora la soluzione prospettata esclude tutte le imprese con più di cinque dipendenti. Prima era di fatto possibile l’abuso dei buoni per pagare gli straordinari ai dipendenti regolari o allungarne l’orario effettivo; ora si prospetta un meccanismo che lo rende di fatto impossibile. Il tetto massimo di utilizzabilità viene abbassato da 7000 a 5000 euro l’anno, e a 2500 per singolo lavoratore ingaggiato. Al fine di garantirne la piena tracciabilità, ogni pagamento ora deve avvenire per via telematica, a costo di dotare il lavoratore ingaggiato di una carta pre-pagata. Questa essendo la nuova disciplina proposta, ci si sarebbe potuto attendere che a protestare fossero le associazioni imprenditoriali, cui di fatto viene vietato l’ingaggio occasionale; e che invece la Cgil vantasse il risultato ottenuto, sostanzialmente conforme agli obiettivi perseguiti col referendum. Invece no: la Cgil vuole che il lavoro occasionale sia vietato anche alle famiglie e alle imprese di dimensioni minime. Il motivo? “Questa semplificazione toglie ai lavoratori dignità e diritti”. Meglio disoccupati, o al nero.
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