DISOCCUPATI: ORA I GIOVANI SONO MENO DEGLI ANZIANI

Gli ultimi dati Istat indicano un tasso di disoccupazione degli under30 (34%) per la prima volta in 13 anni inferiore rispetto a quello degli above50

Intervista a cura di Osvaldo Baldacci, pubblicata sul Giornale di Sicilia il 3 maggio 2017 – In argomento v. anche La politica del lavoro del M5S: in pensioe prima. paga Pantalone, e l’editoriale di Maurizio Ferrera, Prepensionare gli anziani per far posto ai giovani non funziona
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I dati di oggi indicano un aumento della disoccupazione fra gli over 50: è una tendenza consolidata?
Nessuno potrebbe affermarlo seriamente. In materia di occupazione e disoccupazione occorre sempre stare attenti a non attribuire un peso eccessivo alle variazioni mensili degli indici Istat. Non si deve dimenticare che sono frutto di elaborazioni sulle variazioni di dati rilevati a campione: possono dunque far registrare oscillazioni più ampie rispetto a quelle reali. Detto questo, mi sembra che il dato fornito dall’Istat sia coerente con le misure in materia di lavoro contenute nella legge finanziaria 2017.

Disoccupazione giovanileQuali misure?
Poiché dell’incentivo economico all’assunzione a tempo indeterminato, ovvero della decontribuzione, nel biennio 2015-2016 hanno beneficiato di fatto soprattutto le classi di età più elevate, con la finanziaria 2017 il Governo ha scelto di concentrare questo incentivo sulle classi di età più basse. Il dato Istat potrebbe essere, almeno in parte, un effetto di questa scelta.

Si parla sempre di disoccupazione giovanile. Cosa significa, invece, la disoccupazione dei lavoratori più maturi? Che tipo di problemi presenta?
Sono due fenomeni molto diversi tra loro. La disoccupazione giovanile, per la parte in cui il suo tasso supera quantitativamente il tasso generale, è la conseguenza soprattutto di un difetto grave dei servizi di orientamento scolastico e professionale. Nel caso dei cinquantenni e dei sessantenni, invece, la difficoltà di ritrovare il posto di lavoro dipende in molti casi dal fatto che il disoccupato cerca una retribuzione di livello analogo al precedente, nel quale giocavano spesso in notevole misura gli scatti di anzianità, che ovviamente nel cambio di azienda vanno perduti. In altri casi dipende dal difetto di servizi dedicati alla riqualificazione del disoccupato anziano rispetto ai nuovi sbocchi occupazionali effettivamente esistenti, cioè alle occupazioni nelle quali può essere valorizzata la maggiore esperienza e affidabilità di chi ha alle spalle decenni di lavoro.

Esistono misure pensate per contrastare l’uscita dal mercato del lavoro dei lavoratori più anziani ma ancora lontani dalla pensione?
Questo è un altro punctum dolens nel panorama dei servizi di cui il nostro mercato del lavoro è innervato. A nord delle Alpi il capitolo dell’Active Ageing, cioè delle misure dedicate a promuovere l’invecchiamento attivo, è molto più sviluppato di quanto lo sia da noi. La promozione dell’invecchiamento attivo è indispensabile in una società nella quale l’aspettativa media di vita delle persone nell’ultimo ventennio è aumentata – ed è motivo di orgoglio per il nostro sistema sociale – all’incirca di tre mesi ogni anno.

In che cosa dovrebbero consistere queste misure?
Fra le misure di iniziativa pubblica rientrano l’assegno di ricollocazione maggiorato per il servizio offerto con successo alla persona anziana, mirato alla promozione di agenzie specializzate nella ricollocazione delle persone anziane, l’introduzione della possibilità di godere di periodi sabbatici nel corso della vita lavorativa in funzione di riqualificazione professionale, con corrispondente aumento dell’età pensionabile, la possibilità di coniugare il part-time con la mezza pensione, l’incentivo economico alle aziende e ai lavoratori che scelgono di proseguire il rapporto oltre l’età di pensionamento…

… ma questo non sottrarrebbe occasioni di lavoro ai giovani?
I Paesi che hanno il tasso di occupazione giovanile più alto sono anche quelli nei quali è più alto il tasso di occupazione degli anziani, perché i sessantenni lavorano mediamente più a lungo e lo Stato può dedicare la propria spesa sociale, invece che a prepensionare i sessantenni, ad attivare servizi per le famiglie, per le persone non autosufficienti, per i veri poveri: servizi che creano domanda di lavoro proprio per i giovani.

E sul versante delle misure di iniziativa aziendale?
Le aziende di dimensioni medie o grandi dovrebbero, tutte, dotarsi di una funzione dedicata a ridisegnare le mansioni dei propri dipendenti ultracinquantacinquenni o ultrasessantenni, addetti a mansioni fisicamente pesanti, per valorizzare la loro esperienza e capacità di formare le nuove generazioni, e nello stesso tempo ridurre o eliminare la fatica fisica delle mansioni.

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