D’accordo, le primarie non suscitano più l’entusiasmo di dieci anni or sono; ma le sole alternative sono il modello del congresso del secolo scorso, consistente in traffico di tessere e trattative tra capi-corrente, e quello del partito dove decide soltanto il capo
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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 434 del 1° maggio 2017 – In argomento v. anche l’intervista dello stesso giorno a Libero, e, in riferimento alle primarie del 25 novembre 2012, La giornata di un elettore (in coda)
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D’accordo, in Italia e in Francia le primarie suscitano oggi entusiasmi minori di dieci anni fa. Emmanuel Macron è arrivato al ballottaggio evitandole. Alle primarie del Pd di ieri i partecipanti sono stati un terzo in meno rispetto alla volta precedente. E poi questo metodo è più appropriato in un sistema politico-elettorale maggioritario, che in Italia non c’è più. Però le alternative sono due, entrambe peggiori: il ritorno al modello del congresso del secolo scorso, il cui risultato era deciso dal traffico delle tessere e dalle trattative nascoste tra capi-corrente, oppure il modello del partito senza congresso, dove decide sempre soltanto il capo, magari fingendo di consultare la “base” attraverso una piattaforma informatica che non si sa come funzioni e che nessuno controlla. Nonostante tutto, sono incomparabilmente meglio queste primarie del Pd, che arrivano dopo un dibattito intenso nei circoli, seguito da un voto diretto di tutti gli iscritti, poi coinvolgono una quantità di elettori dieci volte maggiore.
Ieri ho fatto lo scrutatore in un seggio milanese ospitato nel soppalco di un bar di via S. Orsola. Ho visto di nuovo quei nove decimi di partecipanti al congresso non iscritti al partito: persone che hanno di meglio da fare che partecipare alla vita dei circoli, all’attività di partito, ma quando ci sono le primarie trovano il tempo per cercare tra mille difficoltà, per telefono o via Internet, il seggio in cui possono votare, rinunciano al ponte del primo maggio per partecipare e dire la loro, trovato il seggio fanno la fila per registrarsi, poi proteggono davvero il segreto del loro voto. Appassionati a ciò che stanno facendo, felici di questo piccolo miracolo di democrazia, che consente una partecipazione politica vera e non fasulla. Per questo esigono una rigorosa regolarità delle procedure e ne sopportano il peso. Ne ho sentito uno, in coda, che diceva: “sono contento di fare la fila: vuol dire che stiamo controllando davvero le tessere elettorali, che stiamo facendo le cose sul serio”. Altro che la democrazia diretta di Beppe Grillo.
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