TASSARE I ROBOT PUÒ AVERE SENSO NON PER RITARDARNE LA DIFFUSIONE, MA SOLO PER SOSTENERE LA RIQUALIFICAZIONE DELLE PERSONE CHE ESSI SOSTITUISCONO
Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 426, 27 febbraio 2017 – I link ad altri documenti e interventi in argomento sono contenuti nel testo.
Lungo l’Alzaia del Naviglio Grande, a Milano, si vedono ancora i piani inclinati di cemento o di pietra dietro i quali nell’800 e ancora nei primi decenni del ‘900 centinaia di lavandaie si inginocchiavano per svolgere il loro lavoro durissimo, con le mani nell’acqua gelida proveniente direttamente dal Ticino. Nei primi anni ’50 le cose andavano un po’ meglio: di fronte a casa mia c’era una lavanderia, dove altri stuoli di lavandaie – per lo più ex-contadine che venivano in città per guadagnare qualche lira di più – ogni giorno svolgevano lo stesso lavoro, ma al chiuso e con l’acqua calda. Poi, nella seconda metà degli anni ’50, arrivò la lavatrice, intesa come elettrodomestico, che nel giro di pochissimi anni sostituì tutte le lavandaie. Le quali, però, non rimasero a lungo disoccupate: si riconvertirono in operaie di fabbrica, o dattilografe, o cameriere, o altro. Qualche cosa di analogo era accaduto, ai primi dell’800, ai tessitori con l’avvento del telaio a vapore, e da allora i tassi di occupazione non sono diminuiti, sono molto aumentati. Negli anni ’90 è accaduto alle dattilografe con l’avvento dei pc, ora sta accadendo ai taxisti. Non credo che, se negli anni ’50 fosse stata messa un’imposta sulle lavatrici questo avrebbe giovato alle lavandaie: avrebbe solo ritardato un loro passaggio ad altro lavoro complessivamente migliore. Tassare i robot, come propone Bill Gates, è una buona idea solo se e nella misura in cui serve per finanziare la riqualificazione delle persone cui essi si sostituiscono. In Italia c’è almeno mezzo milione di posizioni di skill shortage, cioè di posti di lavoro che rimangono permanentemente scoperti per mancanza di persone competenti: tecnici informatici, elettricisti (1), falegnami, infermieri, artigiani dei mestieri più vari, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Quando il progresso tecnologico accelera, quello che occorre è soprattutto rafforzare il sostegno ai lavoratori nella transizione dal lavoro vecchio al nuovo. È qui, semmai, che siamo in grave ritardo.
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(1) Titolo e sottotitolo a tutta pagina su La Stampa del 16 febbraio 2017 (p. 10): Nessuno vuole fare l’elettricista – A Erba il caso della Romagnosi senza più allievi iscritti al nuovo anno – Il preside: “C’è poca consapevolezza, usciti di qui l’impiego è assicurato”.
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