NELLO SCHEMA DI DECRETO ATTUATIVO DELLA LEGGE-DELEGA IL GOVERNO INSERISCE UNA NORMA (ECCEDENTE RISPETTO ALLA DELEGA STESSA) CHE CONFERMA LA REINTEGRAZIONE AUTOMATICA PER IL CASO DI LICENZIAMENTO RITENUTO INGIUSTIFICATO, LIMITANDOSI A PORRE UN TETTO AL RISARCIMENTO
Intervista a cura di Claudio Tucci, pubblicata su il Sole 24 Ore del 25 febbraio 2017 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 5 febbraio scorso, Articolo 18 nel settore pubblico: una condanna per i co.co.co. statali a restare tali; inoltre gli altri interventi e documenti raccolti nel Portale della trasparenza e della valutazione nelle amministrazioni pubbliche, nel capitolo Il dibattito sull’applicabilità nella P.A. della nuova disciplina generale dei licenziamenti .
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L’arrivo di un tetto di 24 mesi ai risarcimenti per i licenziamenti illegittimi dei dipendenti pubblici “è una novità importante” che “guarda anche al bilancio delle pubbliche amministrazioni”; ma il “governo poteva essere più coraggioso” nell’armonizzazione completa con il diritto del lavoro privato: “l’apertura al contratto a tutele crescenti avrebbe infatti consentito un facile assorbimento di gran parte del mezzo milione di co.co.co. e lavoratori a termine oggi presenti nella Pa”.
Pietro Ichino, ordinario di diritto del Lavoro, e senatore Pd, vede più ombre che luci nel nuovo articolo 18 per gli statali introdotto dal Testo unico Madia: “Mi permetta però di dire una cosa: al ministero della Funzione pubblica, dopo avere sostenuto per due anni che la nuova disciplina dei licenziamenti non si applicava nel settore pubblico, si sono resi conto che non è così: senza una disciplina speciale, la riforma del 2015 si applica anche ai nuovi assunti nelle amministrazioni”.
E per i vecchi assunti?
Per gli assunti prima del 7 marzo 2015, invece, avrebbe dovuto applicarsi la sola legge Fornero del 2012. Però quella stessa legge subordinava l’applicazione nel settore pubblico a una “norma di armonizzazione” che il governo avrebbe dovuto emanare e non ha mai emanato. Su questo punto si è determinato un contrasto di giurisprudenza in seno alla Cassazione.
Ora che cosa ha deciso il governo con questo schema di decreto?
In seno all’esecutivo si sono confrontate posizioni diverse. La Funzione pubblica ha proposto una norma che ripristinava puramente e semplicemente il vecchio articolo 18, quello pre-legge Fornero per intenderci, con reintegrazione automatica e risarcimento illimitato, per tutti i dipendenti pubblici, vecchi e nuovi. A Palazzo Chigi c’era invece chi, anche tra i membri del governo, avrebbe preferito lasciare le cose come stanno, riconoscendo l’applicabilità della riforma del 2015 ai nuovi assunti, se non altro per favorire l’immissione in ruolo con il contratto a tutele crescenti dei molti collaboratori autonomi e a termine delle amministrazioni, che sono in attesa di stabilizzazione da anni.
Alla fine ha vinto la soluzione di compromesso…
Sì, sul tavolo c’erano tre ipotesi di compromesso: l’emanazione della norma di armonizzazione prevista dalla legge Fornero, con una clausola che la renda applicabile a tutti i dipendenti, escludendo la riforma del 2015 per i nuovi; oppure l’introduzione di una norma che semplicemente lasciasse al giudice la possibilità della reintegrazione, eliminando l’automaticità; infine l’ipotesi di introdurre soltanto il limite massimo del risarcimento: 24 mensilità. Vista anche la posizione del ministro del Lavoro, il presidente del Consiglio ha optato per quest’ultima soluzione.
Un passo avanti, o uno indietro?
È meglio che niente. Ma il governo avrebbe potuto e dovuto essere più coraggioso, anche perché il Jobs act sta dando risultati complessivamente buoni. Confermarne l’applicabilità anche al settore pubblico, oltre a confermare una sostanziale parità di trattamento col settore privato, avrebbe consentito il facile riassorbimento, con l’assunzione con contratto a tutele crescenti, di gran parte del mezzo milione di co.co.co. e assunti a termine che stanno lavorando da anni in condizioni di precariato nelle amministrazioni. Se proprio però si voleva dettare una disciplina speciale per il settore pubblico, sarebbe stato molto meglio lasciare al giudice la scelta se applicare o no la reintegrazione nei casi in cui l’esito del giudizio dipende da una valutazione discrezionale circa la gravità del motivo, oggettivo o soggettivo, del licenziamento. Va anche detto, però, che l’aver posto un limite massimo al risarcimento costituisce una novità importante, che va salutata molto positivamente, perché evita le catastrofi finanziarie conseguenti alla soccombenza delle amministrazioni in controversie nelle quali l’alea del giudizio è sempre, inevitabilmente, amplissima.
Resta comunque il fatto che la legge Madia non contiene alcuna delega in materia di licenziamenti. C’è un rischio di eccesso di delega?
Nella legge-delega c’è un punto in cui si delega il governo a emanare norme per la soluzione delle incertezze interpretative. Ma su questa materia l’incertezza ha riguardato soltanto la questione se per l’applicazione della legge Fornero del 2012 nel settore pubblico, che la legge stessa esplicitamente prevede, sia indispensabile oppure no una norma di armonizzazione. Non mi sembra che la soluzione di questa incertezza comprenda anche la disapplicazione integrale di quella legge. La speranza è che il Parlamento, cui lo schema di decreto verrà sottoposto nei giorni prossimi, solleciti il Governo a un ripensamento.
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