UNA SECCA E DOCUMENTATA SMENTITA DELLE NOTIZIE SU PRETESI PERICOLI PER LA SALUTE O PER ALTRI DIRITTI FONDAMENTALI DEGLI EUROPEI, DERIVANTI DAL TRATTATO DI LIBERO SCAMBIO CON IL CANADA
Articolo di Manlio Frigo, professore ordinario di diritto internazionale nell’Università Statale di Milano, pubblicato sul sito l’Huffington Post il 17 febbraio 2017 – In argomento v. anche l’articolo di Alessandro Maran pubblicato su l’Unità il giorno prima, Chi occupa i vuoti lasciati da Trump
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Con il voto favorevole del Parlamento europeo (408 a favore, 254 contrari, 33 astensioni), l’accordo di libero scambio tra l’unione europea e il Canada compie un importante passo in avanti ed entra (provvisoriamente) in vigore. Dopo il travagliato procedimento di firma dello scorso ottobre – si ricorderà che l’iniziale opposizione del Parlamento della Vallonia ne aveva quasi compromesso l’esito – il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement) può ora approdare al vaglio dei singoli parlamenti nazionali dei Paesi dell’Unione.
La mancata approvazione da parte anche di un solo Stato membro ne impedirà l’entrata in vigore definitiva. Questo non solo rende l’idea della pluralità di fasi e di ostacoli che l’Accordo deve superare prima di entrare in vigore, ma rivela anche l’inconsistenza delle accuse di scarso rispetto per i processi di decisione democratica in un accordo multilaterale destinato a spiegare effetti sui cittadini.
Al termine di negoziati iniziati nel 2009 dalla Commissione europea su mandato del Consiglio (reso pubblico nel 2015) e l’assenso del Parlamento europeo, l’Accordo veniva firmato una prima volta nell’ottobre 2014, a un solo giorno di distanza dall’Accordo (quasi) gemello sottoscritto con Singapore. Non è certo un mistero che entrambi gli accordi dovevano costituire una prova generale in prospettiva della firma del più rilevante (e pluricontestato) accordo di partenariato con gli Stati Uniti (Ttip), sulle cui sorti favorevoli probabilmente oggi pochi sarebbero disposti a scommettere, specie dopo l’elezione del presidente Trump.
Va ricordato che, già in anticipo sui venti protezionistico-populisti in diffusione nell’emisfero occidentale nei nostri giorni, le critiche a questi tre accordi di libero scambio non sono certo mancate, soprattutto da parte degli oppositori europei che si vogliono più sensibili agli effetti nefasti della globalizzazione, alla tutela della qualità della vita e alla salute dei cittadini, nonché a un preteso rispetto delle prerogative sovrane degli Stati (europei).
L’Accordo Ceta pur condividendo l’impostazione generale dei tre accordi menzionati, presenta alcuni caratteri specifici in funzione dei benefici derivanti per l’industria e per i cittadini dell’Ue. In primo luogo si prevede l’abolizione del 92% dei dazi doganali sulle merci (valore stimato per le merci originarie dell’Ue di oltre 400 milioni di Euro); inoltre si dispone l’apertura per i soggetti Ue (cittadini e imprese) delle gare d’appalto per fornitura di beni e servizi in misura superiore a tutti gli altri partner commerciali; per alcune professioni regolamentate (architetti, ingegneri, commercialisti) vengono eliminati i maggiori ostacoli al reciproco riconoscimento; il Canada, infine, accetterà l’adeguamento agli standard europei in tema di diritto d’autore e di tutela della proprietà intellettuale.
Tuttavia gli aspetti più contestati in Europa – e che hanno visto anche nei giorni scorsi alcune manifestazioni di piazza a Strasburgo davanti alla sede del Parlamento europeo – riguardano due diversi profili relativi, il primo, alla tutela della salute in conseguenza delle future importazioni di prodotti agricoli e, il secondo, al metodo di soluzione delle controversie in materia di investimenti.
Sul primo punto non è chiaro il nesso tra la ipotetica apertura all’importazione in Europa di prodotti Ogm e/o di carne agli ormoni e il Ceta se si considera che:
1. entrambi sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’accordo;
2. l’accordo stesso dispone espressamente che le sue norme troveranno comunque applicazione nella misura in cui non deroghino alle disposizioni previste dagli Stati a tutela della salute dei propri cittadini. In particolare, il Ceta non incide sulle restrizioni Ue in tema di carni bovine contenenti ormoni e/o Ogm.
Quanto al secondo punto, per la verità, l’opposizione al Ceta (e in maggior misura all’ormai moribondo Ttip) riguardava l’iniziale previsione di un sistema di soluzione delle controversie di tipo arbitrale (Isds) che, secondo i suoi detrattori, avrebbe aperto le porte ad una giustizia “privata” in danno agli Stati e a favore delle multinazionali.
È alquanto sorprendente che gli odierni oppositori del Ceta (e del Ttip) non si siano resi conto che il modello di soluzione delle controversie inizialmente proposto – che si affidava al modello arbitrale dell’Icsid – ricalca un ben collaudato modello nel settore del diritto internazionale degli investimenti ed è il medesimo previsto in oltre 1.400 accordi bilaterali di protezione degli investimenti (Bit) che i Paesi dell’Ue hanno, con soddisfazione, concluso finora in materia.
A ogni buon conto, l’accordo Ceta nella sua versione definitiva dispone, invece, che le eventuali liti sugli investimenti siano decise da un particolare sistema giudiziario per la protezione degli investimenti (Ics) e che prevede l’istituzione di un tribunale pubblico, con al nomina di giudici “di carriera” indipendenti, e la pubblicità delle udienze e delle decisioni.
In attesa dell’approvazione da parte del Parlamento canadese, la strada per l’entrata in vigore definitiva del Ceta è dunque ancora lunga e, soprattutto, l’esito nei parlamenti dei Paesi europei è tutt’altro che scontato. È però lecito esprimere la speranza che i parlamentari dei Paesi dell’Unione che saranno chiamati al voto, almeno quelli che hanno a cuore davvero la salute, il benessere, l’occupazione e la crescita democratica dei propri cittadini, lascino da parte i fantasmi e le suggestioni di maniera e si dedichino alla lettura del contenuto dell’Accordo prima di passare al voto.
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