ANCHE NEL SETTORE DEL LAVORO AUTONOMO SONO NECESSARIE ALCUNE PROTEZIONI, DIVERSE NEL CASO DEI COLLABORATORI CONTINUATIVI IN QUELLO DEI LIBERI PROFESSIONISTI – A QUESTA ESIGENZA SI DEVE RISPONDERE OPERANDO NON SUL CONTRATTO DI LAVORO, MA SUL RAPPORTO PREVIDENZIALE
Pubblico qui la bozza integrale, dalla quale Barbara Millucci ha estratto l’intervista pubblicata sul Corriere Economia del 20 febbraio 2017 – Segue il testo dell’intervista nella versione definitiva (ridotta per motivi di spazio – In argomento v. anche Appunti sul Jobs Act degli autonomi, e gli altri documenti e interventi di cui ivi sono forniti i link
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MATERIALI PER L’INTERVISTA
Professor Ichino, che ne pensa del reintegro della DIS-COLL nel decreto-legge Milleproroghe?
La norma che aveva istituito originariamente questo trattamento di disoccupazione per i collaboratori continuativi autonomi era provvisoria, sperimentale, per la sola durata del 2016. Mi sembra che la sperimentazione non abbia evidenziato motivi seri che consiglino di lasciar cadere questa misura.
Cosa cambia e perché è così importante per i collaboratori?
Questa misura risponde all’esigenza di estendere una protezione assicurativa contro il rischio di disoccupazione a tutto il lavoro sostanzialmente dipendente, anche quando esso è svolto in forma giuridicamente qualificabile come autonoma.
Jobs act per i lavoratori autonomi: che cosa cambia con il congedo di maternità e paternità?
Il disegno di legge approvato dal Senato e attualmente all’esame dalla Camera estende al lavoro autonomo, sia pure in misura molto ridotta, alcune protezioni proprie del lavoro subordinato. Ovviamente lo fa collocando queste tutele non all’interno del contratto di lavoro, ma all’interno del rapporto previdenziale con l’istituto assicuratore.
È giusto che i liberi professionisti chiedano l’equo compenso?
No: se sono veri liberi professionisti, estendere loro uno standard minimo analogo a quello che vige per i subordinati sarebbe, innanzitutto, in contrasto con il diritto europeo, che equipara i liberi professionisti alle imprese. Ma sarebbe una norma sbagliata anche se non fosse vietata dal diritto europeo: nel settore delle libere professioni non si osservano le stesse cause di distorsione del mercato che si osservano nel settore del lavoro subordinato.
Qual è il suo parere riguardo al referendum per l’eliminazione dei buoni-lavoro?
Qualche abuso dei voucher si è verificato, e si sta già provvedendo a impedirlo. Ma eliminare questo strumento mi sembra gravemente sbagliato. I 130 milioni di ore di lavoro accessorio che si sono registrate nel 2016 non costituiscono certo “l’evidenza dell’abuso”, come sostiene la Cgil, in un Paese in cui le ore di lavoro complessivamente svolte ogni anno si contano in decine di miliardi. E quando veramente di lavoro accessorio si tratta, sopprimere i voucher significa impedire che quelle occasioni di lavoro e di reddito possano essere valorizzate in forma regolare.
A gennaio 2017 sono stati venduti 9 milioni di voucher, il livello più basso dopo gennaio 2016.
È l’effetto delle misure correttive adottate nell’autunno scorso. Se il dato si conferma su base annua, vorrebbe dire che a fine anno si registrerebbe una riduzione da 130 a circa 100 milioni. Mi parrebbe utile anche vietare l’utilizzazione dei voucher nel settore edilizio e da parte delle imprese di maggiori dimensioni, consentendo loro di ricorrere più ampiamente, per il lavoro non continuativo, al contratto di lavoro intermittente.
E riguardo al referendum sulla responsabilità solidale di appaltanti e appaltatori della Cgil?
La norma che questo referendum vorrebbe abrogare attribuisce al sindacato la facoltà di negoziare, nel contratto collettivo, una deroga a una disciplina rigida della materia, posta dalla legge. È curioso che proprio un sindacato chieda l’abrogazione di questa norma: cioè chieda di veder ridotta la propria autonomia negoziale collettiva.
IL TESTO DELL’INTERVISTA PUBBLICATA SUL CORRIERE ECONOMIA
A gennaio 2017 sono stati venduti 9 milioni di voucher, il livello più basso dopo gennaio 2016. “È l’effetto delle misure correttive adottate nell’autunno scorso” spiega Pietro Ichino, Senatore del Pd e giuslavorista. “Se il dato si conferma su base annua, vorrebbe dire che a fine anno si registrerebbe una riduzione da 130 a circa 100 milioni. A quella prima correzione credo sia utile aggiungere il divieto dell’utilizzazione dei voucher nel settore edilizio e da parte delle imprese di maggiori dimensioni, consentendo a queste ultime di ricorrere più ampiamente, per il lavoro non continuativo, al contratto di lavoro intermittente”. Secondo Ichino “con i voucher, qualche abuso si è verificato, e si sta già provvedendo a impedirlo. Ma eliminare questo strumento sarebbe gravemente sbagliato. I 130 milioni di ore di lavoro accessorio che si sono registrate nel 2016 non costituiscono certo ‘l’evidenza dell’abuso’, come sostiene la Cgil, in un Paese in cui le ore di lavoro complessivamente svolte ogni anno si contano in decine di miliardi. Quando veramente di lavoro accessorio si tratta, sopprimere i voucher significa impedire che quelle occasioni di lavoro e di reddito possano essere valorizzate in forma regolare”. Oltre all’eliminazione dei buoni-lavoro, la Cgil nel referendum chiede una riforma sulla responsabilità solidale in materia di appalti. “La norma che il referendum vorrebbe abrogare attribuisce al sindacato la facoltà di negoziare, nel contratto collettivo, una deroga a una disciplina rigida della materia, posta dalla legge” aggiunge il professore. “È curioso che proprio un sindacato chieda l’abrogazione di questa norma: cioè chieda di veder ridotta la propria autonomia negoziale collettiva”. Il disegno di legge del Jobs act per i lavoratori autonomi, approvato dal Senato e attualmente all’esame dalla Camera, estende al lavoro autonomo, sia pure in misura molto ridotta, alcune protezioni proprie del lavoro subordinato. “Lo fa collocando queste tutele non all’interno del contratto di lavoro, ma all’interno del rapporto previdenziale con l’istituto assicuratore”. È giusto che i liberi professionisti chiedano l’equo compenso? “No – risponde Ichino -: se sono veri liberi professionisti, estendere loro uno standard minimo analogo a quello che vige per i subordinati sarebbe, innanzitutto, in contrasto con il diritto europeo, che equipara i liberi professionisti alle imprese. Ma sarebbe una norma sbagliata anche se non fosse vietata dal diritto europeo: nel settore delle libere professioni non si osservano le stesse cause di distorsione del mercato che si osservano nel settore del lavoro subordinato”. Nel decreto-legge Milleproroghe è stata reintegrata la DIS-COLL. “La norma che aveva istituito originariamente questo trattamento di disoccupazione per i collaboratori continuativi autonomi era provvisoria, sperimentale, per la sola durata del 2016. Mi sembra che la sperimentazione non evidenzi motivi seri tali da lasciar cadere questa misura, che invece risponde all’esigenza di estendere una protezione assicurativa contro il rischio di disoccupazione a tutto il lavoro sostanzialmente dipendente, anche quando è svolto in forma giuridicamente qualificabile come autonoma”, conclude il giuslavorista.