RISULTATI BUONI SUL LIVELLO COMPLESSIVO DELL’OCCUPAZIONE (+1% NEL 2016) E SULLA QUOTA DI NUOVI CONTRATTI STABILI RISPETTO AL TOTALE (CIRCA IL 46% NEL 2016); MA NE HANNO BENEFICIATO QUASI ESCLUSIVAMENTE GLI ULTRA-TRENTENNI
Articolo di Pietro Garibaldi, professore di economia politica all’Università di Torino, pubblicato sul sito lavoce.info il 3 febbraio 2016 – In argomento v. anche l’articolo di Andrea Ichino pubblicato sul Corriere della Sera del 5 dicembre 2016 .
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Il Governo Renzi si è dimesso a dicembre 2016. In termini di riforme, l’eredità più importante del governo è probabilmente quella legata al mercato del lavoro. Il contratto a tutele crescenti ha resistito all’assalto della CGIL e la corte costituzionale ha respinto il referendum sul contratto a tutele crescenti, la novità più importante inserita nel pacchetto di riforme denominato jobs act ed entrato in vigore nel 2015. La maggior parte delle altre riforme sono state bocciate dagli italiani (la riforma costituzionale) o smontante in parti sostanziali dalla corte costituzionale (la riforma della pubblica amministrazione e la scora settimana la riforma elettorale). Il contratto a tutele crescenti è quindi la vera eredità del Governo Renzi ed è destinato a rappresentare il posto di lavoro a tempo indeterminato delle nuove generazioni. Chi scrive e questo sito hanno sempre sostenuto l’opportunità di questo nuovo contratto.
L’Istat ha appena pubblicato i dati occupazionali al dicembre 2016. Possiamo quindi abbozzare un bilancio quantitativo in materia occupazionale dell’intero anno. Se confrontiamo l’occupazione tra dicembre 2016 e dicembre 2015, osserviamo un aumento del numero di occupati superiore all’1 percento e corrispondenti a 242 mila nuovi posti nel solo 2016. Un numero certamente soddisfacente e superiore alla crescita del PIL dell’intero anno, che dovrebbe attestarsi sotto l’1 percento. Inoltre, la totalità dei nuovi posti di lavoro sono coperti da lavoratori dipendenti, mentre l’occupazione autonoma è addirittura calata. Inoltre 111 mila posti sono a tempo indeterminato. Questi numeri aggregati sono forse la miglior notizia per il vecchio Governo, anche perché il 2016 non era più caratterizzato dalla forte decontribuzione che ha facilitato e in parte drogato l’espansione occupazione del 2015.
Al di là di questi buoni numeri aggregati, vi sono però molte ombre. Innanzitutto i dati congiunturali dell’ultimo mese e dell’ultimo trimestre indicano una busca frenata occupazionale. Sembra quasi che lo slancio sul lavoro del Governo Renzi abbia seguito la parabola politica, arrivando a fine anno come un elettrocardiogramma piatto. Se guardiamo i dati mensili, tra dicembre e novembre 2016 l’occupazione è addirittura calata.
Il dato più impressionante e in qualche modo preoccupante riguarda invece la distribuzione occupazionale per classi di età. Nel 2016 tutta la crescita occupazionale ha riguardato i lavoratori superiore ai 50 anni, che è cresciuta addirittura del 5 percento. I lavoratori più giovani sono invece fermi mentre le classi centrali diminuiscono in modo sensibile. La dinamica degli ultra-cinquantenni è dovuta a due fattori che poco dipendono dalle scelte del governo Renzi. Innanzitutto dall’invecchiamento della popolazione che tende a far entrare nella categoria degli ultracinquantenni lavoratori nati a metà degli anni sessanta sostituendo coorti di lavoratori nati negli anni 50 con tassi occupazionali decisamente inferiori, specialmente tra le donne. Si tratta di un fenomeno strutturale in parte inevitabile. In aggiunta, l’aumento dell’età pensionabile introdotto dal governo Monti nel dicembre 2011 ha contribuito a questo fenomeno. Nel frattempo, il tasso di disoccupazione è di nuovo al 12 percento e quello giovanile è tornato al 40 percento. Nel 2007, quando è iniziata la grande crisi la disoccupazione totale era intorno al 6 percento mentre quella giovanile addirittura al 18 percento.
Riassumendo, se l’obiettivo del jobs act e del nuovo contratto a tutele crescenti era quello di ridurre l’occupazione precaria, i risultati sono soddisfacenti. I lavoratori a tempo indeterminato sono cresciuti notevolmente e l’INPS ha recentemente stimato in quasi 3 milioni il numero di lavoratori coperti dal nuovo contratto. La transizione verso il nuovo contratto è più veloce di quanto si immaginasse. Se invece il vero obiettivo del jobs act era immettere giovani del mercato del lavoro i dati sono assai deludenti. Forse non a caso, proprio i giovani hanno contribuito in modo determinante alla vittoria del No al referendum costituzionale del 2016.