“MEDITATE CHE QUESTO È STATO: VI COMANDO QUESTE PAROLE […] O I VOSTRI NATI TORCANO IL VISO DA VOI” (PRIMO LEVI)
Dal libro di Aldo Zargani, Per violino solo. La mia infanzia nell’aldiqua (1938 – 1945), ed. il Mulino 2010, pag. 36 – In argomento v. anche il mio intervento in Senato del 27 gennaio 2014: Tutta l’Europa è responsabile della strage
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La scena si svolge il 1° dicembre 1943 nell’arcivescovado di Torino: il Cardinale Maurilio Fossati e il suo Segretario, monsignor Barale, “con l’aria interrogativa e ansiosa di chi si china a soccorrere moribondi”, accolgono la famiglia che chiede asilo contro la deportazione. Il padre urla:
“Voi discepoli del Cristo non dovete sopportare questa ignominia!”. Nonostante la situazione disperata, il papà non riusciva a esimersi da inopportune quanto imprecise considerazioni teologiche, venate altresì di qualche accenno polemico sull’eterna rissa fra le due religioni del Libro […]. I due santuomini calmarono mio padre che in un primo tempo non voleva neppure uscire “con i bambini” dall’Arcivescovado, “me li uccidono, Eminenza, me li uccidono. Lei lo sa”. Saremmo potuti tornare nel pomeriggio, con le valigie, per essere ricoverati, noi bambini, in un Istituto. Il papà e la mamma furono confortati dai gemiti della grande porta della carità cristiana, che si stava schiudendo – finalmente! – ufficiosa ma potente, almeno per me e mio fratello.
[…] Appena usciti in strada, fummo accolti dall’ululato continuo delle sirene che annunciavano bombardieri diurni, una novità. Il dolore e l’angoscia dell’imminente separazione furono attenuati dall’allarme: la caccia all’ebreo si arrestava durante gli attacchi aerei. L’esecuzione della nostra lenta condanna a morte richiedeva infatti calma, organizzazione e ritualità burocratiche che l’apparizione della guerra sospendeva: tornavamo per qualche tempo uguali alle persone normali e correvamo gli stessi rischi. […]
Quando, verso le sette di sera, il buio della notte invernale si consolidò e cominciai a piangere nella certezza che il papà e la mamma fossero stati presi, il Cardinale pensò all’inizio di cavarsela con poco: tirò fuori da un cassetto dell’immensa scrivania settecentesca una trottolina. Ma a nulla poteva servire un giocattolo: il mio non era il pianto di un bambino, a dieci anni non si piange così, quello era il lugubre lamento di una persona con la vita spezzata, perché sa di aver perduto le persone più amate […] perché i bambini non si sanno dare una ragione. […]
I due bimbi vengono affidati a un convento del canavese, senza sapere se rivedranno mai i genitori, i quali devono nascondersi in montagna, approfittando della solidarietà della gente di un villaggio. Secondo Bruno Maida (La shoà dei bambini. La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia, Einaudi 2013), però, non si può dire che la maggioranza degli italiani fosse favorevole agli ebrei: “fu soprattutto l’indifferenza ad avere il sopravvento”.
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