L’UNICO ARGOMENTO CON CUI LA CORTE COSTITUZIONALE PUÒ MOTIVARE LA CANCELLAZIONE DELLA REGOLA DEL BALLOTTAGGIO È IL RISCHIO DI MAGGIORANZE DIVARICATE TRA CAMERA E SENATO; MA È LA COSTITUZIONE STESSA, NON RIFORMATA, CHE TENDE A RISULTATI ELETTORALI DIVERSI NEI DUE RAMI DEL PARLAMENTO
Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 421, 22 gennaio 2017 – Altri interventi e documenti sulla riforma elettorale sono reperibili nella sezione Riforme istituzionali di questo sito .
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Martedì la Corte costituzionale si pronuncerà sulla riforma elettorale voluta dal Governo Renzi come complemento di una riforma delle istituzioni, che però è stata bocciata dal referendum del 4 dicembre. Tutte le indiscrezioni convergono nella previsione secondo cui la Corte cancellerà la norma che dispone il ballottaggio tra i primi due partiti, nel caso in cui nessuno dei due raggiunga almeno il 40 per cento dei voti al primo turno. Se questa sarà la decisione, la Corte dovrà stare attenta a motivarla senza gettare un’ombra di incostituzionalità anche sul sistema di elezione dei nostri sindaci, che prevede il ballottaggio e da un quarto di secolo sta dando ottima prova. La Corte avrebbe comunque qualche difficoltà a spiegare perché sia incostituzionale a sud delle Alpi un istituto come il ballottaggio, che in Francia funziona benissimo da ormai mezzo secolo. L’unico argomento serio che la Corte potrebbe utilizzare è che questo sistema rischia di generare alla Camera una maggioranza nettamente diversa rispetto a quella del Senato, in un sistema nel quale il Senato sarà ancora chiamato a votare la fiducia al Governo. Già. Però allora la Corte dovrebbe spiegare come si concilii questo argomento con il fatto che la Costituzione stessa, essendo rimasta immutata per effetto del referendum del 4 dicembre, prevede non solo un elettorato attivo diverso per la Camera rispetto al Senato (per il quale non votano ben sette classi di età che votano per la Camera), ma anche un sistema elettorale diverso, in quanto strutturato al Senato su base regionale, alla Camera no. All’origine, la Costituzione prevedeva addirittura una durata in carica del Senato più lunga di un anno rispetto alla Camera, proprio al fine di evitare l’avvicendarsi al potere di forze politiche opposte e costringere il più possibile il Governo a fondarsi su “larghe intese”. La verità è che, stante l’esito del referendum, e la grande passione per il sistema proporzionale scoppiata a destra come a sinistra, questo delle “larghe intese” rischia di essere per molti anni il destino politico del nostro Paese, quale che sia la decisione della Corte.
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