LA GIUSTIZIA NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE

CRESCONO I PROFILI SOVRANAZIONALI DELL’AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA NON SOLO SUL PIANO CIVILE, MA ANCHE SU QUELLO PENALE E DELLA LOTTA AL TERRORISMO E ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA: OGGI NESSUNO STATO NAZIONALE PUÒ RESTARE ISOLATO NELLO SVOLGIMENTO DI QUESTO SUO COMPITO ESSENZIALE

Relazione presentata al Senato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, nella seduta antimeridiana del 18 gennaio 2017 – Segue la sua replica al termine della discussione generale. .

LA RELAZIONE

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Relazione del Ministro della giustizia sull’amministrazione della giustizia». Dopo l’intervento del Ministro avrà luogo il dibattito, i cui tempi sono stati stabiliti dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi. Ha facoltà di parlare il ministro della giustizia, onorevole Orlando.

Orlando

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando

ORLANDO, ministro della Giustizia. Signor Presidente, onorevoli Colleghi, mi perdonerete se questa relazione non affronterà tutti i campi del funzionamento della giurisdizione. Ho depositato alla Presidenza le statistiche che offrono un quadro del funzionamento del servizio giustizia. Voglio però qui indicare quelli che ritengo i principali punti critici del sistema. Come li stiamo affrontando e con quali risultati. Il più rilevante riguarda la forza con la quale la globalizzazione impatta sugli ordinamenti nazionali. Vi è uno scarto impressionante fra l’ampiezza di questi fenomeni e gli strumenti di cui disponiamo per misurarci con essi. Almeno altrettanto grande è lo scarto fra questi problemi e la consapevolezza che c’è nell’opinione pubblica e nella discussione nel Paese. Si continuano a reiterare schermaglie e ad agitare stereotipi di altre stagioni. Il rischio è che rimaniamo a fare la guardia ad un bidone che si va svuotando. Sempre più si governa, su scala comunitaria e internazionale, tramite convenzioni, accordi intergovernativi, meccanismi decisionali fondati sulla condivisione dei poteri, da cui finiscono col dipendere le stesse caratteristiche del diritto interno. Qui, a mio avviso, si gioca la credibilità di tutte le giurisdizioni nazionali.

Crescono i profili internazionali del contenzioso civile, che sempre più cerca di sottrarsi alle maglie della giurisdizione pubblico-statuale, e cresce la criminalità transfrontaliera, in ambiti quali il terrorismo, il traffico di stupefacenti e di armi, la tratta di esseri umani, il traffico di migranti, la criminalità informatica, la contraffazione. La risposta a questi fenomeni non può più essere soltanto nazionale. Per questo, abbiamo sostenuto con forza, nei mesi scorsi, il progetto di istituzione di una procura europea con un livello alto di indipendenza e di efficienza, che potesse avere, in prospettiva, competenza anche in materia di terrorismo e criminalità organizzata. Finora hanno prevalso le preoccupazioni miopi degli Stati che non rinunciano alle prerogative dei sistemi nazionali. Abbiamo assistito a un progressivo svuotamento di mezzi e di fini del progetto. Non abbiamo dunque sostenuto il testo proposto dalla presidenza slovacca, pur rimanendo convinti che la procura europea abbia un altissimo potenziale.

Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria è comunque la priorità. La normativa europea prevede già importanti strumenti, primo fra tutti il mandato d’arresto europeo, entrato ormai nella pratica quotidiana di molti Stati. Altri fondamentali strumenti non erano stati ancora accolti nel nostro ordinamento. Nel corso dell’ultimo anno il Governo ha colmato finalmente questo gap, recependo fondamentali decisioni quadro, come quella sulle squadre investigative comuni, quella sul blocco e sequestro dei beni, o quella sul reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato. Alcune di esse risalgono a quindici anni fa. Nell’ambito del negoziato sulla nuova direttiva antiterrorismo, abbiamo sostenuto la necessità di un potenziamento dello scambio di informazioni tra gli Stati membri, con Eurojust ed Europol. Nonostante l’opposizione di molti Stati dell’Unione, la nostra linea ha trovato un riconoscimento importante nell’Europarlamento ed è stata recepita nel testo finale della direttiva che verrà a breve adottata.

Il 2016 ha segnato anche il potenziamento della cooperazione bilaterale con i Paesi extra-UE appartenenti ad aree strategiche per il contrasto al terrorismo, al crimine organizzato, al traffico clandestino di esseri umani ed alla corruzione. Il numero dei negoziati conclusi dal Ministero durante l’ultimo triennio è superiore di oltre il doppio al triennio precedente, con una significativa estensione dell’area di cooperazione. Ancora in tema di cooperazione internazionale, sono pronti i decreti attuativi della delega per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale e per l’attuazione dell’ordine di indagine europeo. Cambieranno così profondamente le forme della cooperazione giudiziaria, assicurando rapidità, semplicità ed efficienza delle procedure, in un rafforzato quadro di garanzie. Sul fronte del contrasto alla radicalizzazione islamista, promuoviamo i programmi europei volti a migliorare la conoscenza dei canali di reclutamento nelle reti terroristiche. C’è una nuova attenzione, in questo senso, all’uso della rete, che è uno straordinario veicolo di conoscenze e informazione, ma che proprio per questo deve crescere nei profili di responsabilità, da parte dei singoli soggetti che su di essa operano. Pertanto, in attesa di tangibili, ma purtroppo tutt’altro che scontati progressi nel rafforzamento della rete sovranazionale della giurisdizione e di quella europea, possiamo dire di avere utilizzato tutti gli strumenti a disposizione, sia di carattere normativo sia politico, per sviluppare la cooperazione giudiziaria. Nessuno può rimproverare all’Italia di essersi sottratta alla richiesta di collaborazione nel perseguimento di crimini da parte di altri Paesi, anche quando questo è avvenuto in modo unilaterale. È giusto chiedersi se il sistema giuridico italiano sia in grado di reggere l’urto di così profonde trasformazioni dell’arena globale, pur pagando inevitabilmente – come si è detto – i limiti sempre più angusti della dimensione nazionale. L’impianto costituzionale continua ad offrire un’importante tutela dei diritti fondamentali. Contrariamente a suggestioni esterofile, che spesso emergono in casa nostra, il nostro Paese viene apprezzato per l’equilibrio raggiunto tra esigenze di sicurezza e difesa delle garanzie costituzionali, laddove altri Stati hanno adottato strategie che si sono tradotte in una brusca limitazione dei diritti dei cittadini. Lo stesso si dica per l’obiettivo di mantenere e garantire la posizione di autonomia e indipendenza della magistratura, l’obbligatorietà dell’azione penale, le previsioni normative sull’appello, che offrono tuttora una protezione giuridica importante ai diritti dei cittadini. Sorto storicamente per contenere le prevaricazioni del potere esecutivo, questo robusto quadro giuridico e istituzionale rappresenta oggi un argine contro pericolose derive populiste che insidiano i livelli di civiltà giuridica toccati dal nostro Paese. Fare giustizia non può mai significare ricerca del consenso. (Applausi dai Gruppi PD, AP (NCD-CpI) e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE).

Semmai, c’è da chiedersi se abbia ancora un qualche senso la pluralità delle giurisdizioni o se non sia quanto meno necessario intraprendere un percorso di coordinamento tra esse anche a Costituzione invariata, partendo da una armonizzazione del sistema dei disciplinari. Un sistema di garanzie così articolato ha bisogno di un adeguato sostegno organizzativo e di una costante ricerca di equilibrio tra domanda e offerta di giustizia. Il rapporto tra cittadini e cause continua ad essere in Italia elevato. In parte, è un fenomeno generale, caratteristico delle società a capitalismo avanzato; in parte dipende dalla stessa crisi economica, che amplifica il ricorso alla giustizia; in parte, è legato alla tradizione e allo spirito pubblico litigioso del nostro Paese. In ambito penale si è assistito ad una costante dilatazione del numero dei reati previsti dalla legge, spesso conseguenza di un utilizzo puramente propagandistico e simbolico dell’azione legislativa secondo un’equazione rivelatasi nel tempo totalmente infondata, per cui a più reati equivarrebbe più sicurezza. In realtà, l’incertezza del quadro degli illeciti e la conseguente irrazionalità del sistema hanno indebolito la capacità repressiva e, come si è detto, aumentato il numero dei procedimenti.

A ciò va aggiunta la tendenza di molti Paesi, compreso il nostro in passato, ad affrontare con interventi penali problemi di carattere sociale. I dati, però, mostrano i progressi del sistema giudiziario italiano, con numeri sensibilmente avvicinatisi alla media europea. Un’inversione di tendenza evidenziata anche nei rapporti internazionali, dove l’Italia è valutata assai positivamente per l’ampia disponibilità di sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, su cui in questi anni abbiamo molto investito, anche con significativi incentivi. Nel mese di giugno 2013 le cause civili erano circa 5.200.000. Al 30 giugno 2016, il totale, al netto dell’attività del giudice tutelare, è sceso a circa 3.800.000. E prevedo che, per la fine dello scorso anno, i risultati seguano la tendenza. Rimane stabile la pendenza degli affari civili presso i tribunali per i minorenni, mentre tutti gli altri uffici mostrano un decremento di circa il 5 per cento con la sola eccezione della Corte di cassazione, che vede la sua pendenza crescere nell’ultimo anno del 3,2 per cento. Nel 2016 le mediazioni civili sono state 196.247 (più 10 per cento rispetto al 2015); ma se si considera l’insieme totale delle forme di ADR (Alternative Dispute Resolution), allora i tentativi nel 2016 sono stati circa 366.000. Sul versante penale, il numero complessivo di procedimenti pendenti presso gli uffici giudiziari è calato nel 2016 del 7 per cento, attestandosi a 3.229.284 procedimenti. Siamo intervenuti con un’attività di riduzione del ricorso al diritto penale. Abbiamo rivisto le incriminazioni penali secondo effettivi criteri di offensività, introducendo la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Se ne parlava da tempo, noi lo abbiamo fatto, tra polemiche pretestuose e agitatori di paure infondate (Applausi dai Gruppi PD e AP (Ncd-CpI)). Abbiamo depenalizzato alcune fattispecie criminose, ormai prive di apprezzabile disvalore penale. Altre fattispecie sono state invece derubricate a illeciti, puniti con sanzioni pecuniarie civili, restituendo effettività all’intervento sanzionatorio. Un’importante misura ha riguardato il rito di Cassazione, appesantito da un arretrato ingente. I dati della Commissione per la valutazione dell’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ) mostrano che, mentre il tasso di impugnazioni in appello è allineato alla media europea, non così avviene innanzi alla Suprema corte, gravata ogni anno da circa 30.000 nuovi procedimenti, per questo occorreva predisporre più modelli di processo di cassazione. La riforma appena varata offre strumenti più agili per abbattere la mole dei giudizi pendenti e salvare la vitale funzione di nomofilachia della Corte.

Non basta, però, scrivere nuove regole. Occorre uno sforzo prolungato dal lato dell’offerta di giustizia, rivolto al rafforzamento organizzativo. Sulle carenze di personale amministrativo, sulle scoperture degli organici magistratuali, sulla necessità di innalzare il livello dell’infrastrutturazione tecnologica, sulla sicurezza dei luoghi dove si amministra la giustizia, posso affermare che le risposte date in questi anni sono state di gran lunga più ampie e più efficaci di quanto si sia fatto nei decenni passati. Un solo dato: le risorse aggiuntive recuperate in questi anni sono oltre 1,7 miliardi, destinate al rafforzamento di interventi strutturali per l’organizzazione degli uffici. Nuove risorse sono inoltre contenute nella legge di bilancio 2017. A proposito di risorse e di maggiore efficienza, voglio sottolineare che, per la prima volta dopo anni, il cosiddetto debito Pinto diminuisce, al 31 luglio 2016, di quasi 100 milioni di euro. Sul fronte, invece, delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari, una stima del tutto prudenziale porta a evidenza una riduzione dei costi dei servizi, a seguito del passaggio di tali spese dai Comuni al Ministero, di circa un terzo. Il processo civile telematico ha costituito una tappa fondamentale del miglioramento del sistema giustizia nel suo complesso: esso è oggi a pieno regime e costituisce un’eccellenza del nostro Paese, come del resto ci viene riconosciuto a livello internazionale. La spinta ad una più ampia digitalizzazione prosegue. È partito il Sistema informativo della cognizione penale (SICP), presupposto necessario per proseguire nel processo penale telematico.

Uno sforzo è stato profuso per la sicurezza dei sistemi informatici, oggi al centro del dibattito nazionale ed internazionale. Sin dal 2014 uno dei miei principali impegni è stato diretto a contenere le vacanze degli organici del personale amministrativo. Una nuova politica di assunzioni ha portato ad appostare risorse per dare ingresso, con varie procedure, a 4.000 nuove unità; 1.100 sono invece le unità in ingresso nei ranghi della magistratura. Dopo anni di oblio, abbiamo avviato una nuova politica di assunzioni, di riqualificazione e di valorizzazione del personale, seppure in una situazione di ristrettezza di disponibilità di risorse. Abbiamo varato la riforma della magistratura onoraria, da troppo tempo rimandata, che rappresenta il primo intervento organico in materia, con la creazione di uno statuto unico. È poi da evidenziare l’impegno ad assicurare agli uffici giudiziari un adeguato supporto anche attraverso l’opera dei tirocinanti. Sono entrati negli uffici per il processo in 1.150 quest’anno e abbiamo deciso di prorogarli per il prossimo anno. A questo numero vanno aggiunti altri 3.000 tirocinanti ex articolo 73. Abbiamo inoltre firmato tre protocolli di intesa con Lazio, Emilia-Romagna e Veneto per l’assegnazione temporanea del personale delle Regioni presso gli uffici giudiziari dei rispettivi distretti; altri protocolli sono in fase di definizione con le altre Regioni e nell’insieme riguarderanno oltre 200 dipendenti. In questo contesto, voglio infine menzionare la revisione delle piante organiche degli uffici di primo grado, che completa il percorso avviato con la revisione della geografia giudiziaria. Abbiamo superato una fotografia del Paese che risaliva a cinquanta anni fa: a un’altra Italia sotto il profilo civile, sociale, demografico e quindi anche rispetto ai fenomeni criminali e al contenzioso. Un sistema così articolato non vive soltanto di risorse, ma anche di delicati equilibri, frutto di complesse relazioni tra soggetti diversi il cui compito è quello di garantire l’autonomia del sistema, l’armonia e la stretta applicazione del principio di legalità. La nostra azione è stata rivolta a garantire che i controllori siano sottoposti ad altri controllori rispondenti soltanto alla legge, nella piena garanzia della separazione dei poteri. Questa vigilanza deve essere tanto più stringente, tempestiva ed efficace in quanto riguarda poteri in grado di incidere in modo fortissimo, e talvolta persino irreparabile, sulla vita dei cittadini. Sono temi su cui devono proseguire il confronto e la riflessione avviati con gli organi di autogoverno della magistratura.

Per quanto riguarda l’attività di ispezione, essa è stata rivolta molto meno a verifiche di irregolarità di carattere formale che a lesioni dei diritti delle persone o a comportamenti che gettano discredito sulla magistratura o, infine, violano le regole di funzionamento degli uffici. Il Ministero si è poi dotato di un moderno sistema statistico che, oltre a consentire di monitorare in dettaglio l’andamento delle pendenze, permette di fondare le valutazioni sulla base della misurazione dei risultati e delle performance degli uffici. Auspico che il Consiglio superiore della magistratura, nella sua autonomia, voglia sempre più affidarsi a simili criteri nell’individuazione delle figure di vertice degli uffici, individuazione che deve senz’altro procedere con una maggiore speditezza. Noi abbiamo agito inoltre, sempre in tema di trasparenza, per riformare l’Agenzia per i beni confiscati e sequestrati, in vista di una sua migliore organizzazione, con più chiare modalità di assegnazione e una più rigorosa attività di gestione. La stessa preoccupazione di trasparenza e rigore è stata alla base della direttiva ministeriale riguardante i rapporti tra la giustizia minorile, il privato sociale e le comunità di accoglienza. L’intervento si è reso necessario all’emergere di inaccettabili disparità di prezzo per l’erogazione di servizi di accoglienza dei minori.

Sempre nella direzione della trasparenza va menzionato l’avvio di un portale delle vendite, radicalmente innovativo, un marketplace unico per la pubblicazione e la messa in vendita dei beni mobili e immobili di tutte le procedure concorsuali pendenti sul territorio nazionale. È una conquista in termini di contrasto all’illegalità e alla corruzione, ma anche il primo stadio di un progetto riformatore più ampio che mira a sbloccare un’enorme massa creditoria, stimata in circa 200 miliardi di euro. La prossima tappa si realizzerà entro giugno, con l’istituzione del registro dei crediti in atto con la collaborazione di Banca d’Italia e del Ministero dell’economia e delle finanze. Grazie a questo nuovo strumento nel mercato si potranno conoscere in tempo reale le effettive condizioni di realizzabilità dei crediti delle imprese. Sarà così possibile passare all’ultima tappa, che mira ad assegnare ai crediti ammessi al riparto un valore monetario immediatamente spendibile in tutte le procedure concorsuali, immettendo ricchezza laddove oggi le lungaggini delle procedure di liquidazione impoveriscono il tessuto produttivo, oltre a produrre inaccettabili aree di opacità. Il Parlamento è attualmente impegnato con il disegno di legge delega sulla crisi d’impresa, che contiene importanti misure di semplificazione ed efficientamento delle procedure concorsuali e un cambio di passo, anche culturale, nella gestione delle crisi d’impresa. È un intervento assai atteso, che può incidere positivamente sulla competitività del Paese. Approvare questa legge, così come quella sul processo civile (che si trova in questo ramo del Parlamento), significherebbe dare sistematicità all’intervento riformista che sino qui si è largamente realizzato, avvalendosi di strumenti amministrativi e di interventi normativi diffusi. In materia penale è all’esame del Senato il disegno di legge di iniziativa governativa che prospetta un intervento riformatore a largo raggio, ispirato a intenti di politica criminale diretti non esclusivamente a risultati deflattivi. È una misura importante, di cui ho spesso sollecitato l’approvazione e che ritengo sia un errore non approvare. Sul delicato tema della prescrizione, che ha suscitato le più vivaci discussioni, anche in quest’Assemblea, credo si sia pervenuti ad un punto di equilibrio fra l’esigenza di assicurare alla giurisdizione tempi congrui allo svolgimento delle attività di accertamento dei fatti di reato e quella di garantire la ragionevole durata del processo, conservando alla prescrizione la sua funzione di stimolo a una definizione dei processi penali in tempi non troppo estesi. Si tratta di un intervento incisivo, particolarmente apprezzato dal Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa (GRECO), che ne ha auspicato la rapida approvazione dando atto comunque dei progressi realizzati dall’Italia con la nuova normativa sul tema e, in particolare, con gli interventi sul falso in bilancio e l’autoriciclaggio.

Su un altro punto voglio soffermarmi brevemente, cioè sul tema delle intercettazioni prive di rilevanza penale. Ho molto apprezzato le circolari diramate da alcune procure, che invitano a una maggiore sorvegliatezza. Credo vadano nella giusta direzione. Noto anche – e spero di non essere smentito dai fatti – che la diffusione di queste informazioni è quantitativamente diminuita, ma qui la legge dei grandi numeri non vale per chi è colpito dalla diffusione impropria. Non ritengo tuttavia che queste circolari siano sufficienti perché la tutela di un singolo cittadino non può essere assegnata alla casualità, cioè al fatto che il procuratore abbia emanato o meno una circolare nel territorio che riguarda quel cittadino. Perciò ritengo necessario un intervento normativo, secondo le linee della delega che il Parlamento è chiamato ad approvare nell’ambito della riforma penale. I sempre più stretti incroci tra criminalità organizzata e circuiti finanziari ci hanno spinti a proporre un’iniziativa nuova, volta per un verso a ripensare gli strumenti per un efficace contrasto delle mafie, molto cambiate rispetto anche solo a pochi anni fa, soprattutto sul versante delle illecite accumulazioni di ricchezze, ma anche, per altro verso, a rilanciare la risposta pubblica e civile ai fenomeni mafiosi. Ho deciso, infatti, di avviare gli stati generali della lotta alla criminalità organizzata, con l’obiettivo di rifondare le ragioni stesse di un impegno al quale non sono legate le sorti solo di alcune Regioni, ma del Paese intero. Abbiamo bisogno di nuove indagini conoscitive, nuove acquisizioni teoriche; abbiamo bisogno di formulare nuove proposte ma anche di sollecitare nuove energie, sottraendoci a stereotipi che spesso continuano a pesare nel dibattito che riguarda questo tema. Gli stati generali dovranno servire a tutto questo. La soluzione dell’emergenza carceraria, all’indomani della sentenza Torreggiani, ha costituito una delle priorità del mio mandato. Al 31 dicembre 2016 la popolazione carceraria è composta da 54.653 unità, ancora superiore complessivamente alla capacità regolamentare degli istituti penitenziari, peraltro accresciuta in questi stessi anni di circa 4.000 unità. La popolazione carceraria è diminuita di oltre 10.000 unità in tre anni. Importante è il nuovo e più maturo equilibrio del rapporto fra presenze carcerarie ed esecuzione penale esterna, ormai quasi paritario. Rieducazione e reinserimento sociale sono legati essenzialmente al potenziamento delle misure alternative al carcere. I risultati non sono ancora del tutto soddisfacenti, ma non lo saranno se non riusciremo a cambiare l’approccio complessivo al sistema penitenziario. Per favorire questo percorso, la positiva esperienza intrapresa con gli «stati generali dell’esecuzione penale» ha costituito una base di elaborazione preziosa.

L’ampliamento dei presupposti per l’accesso alle misure alternative, l’introduzione dell’istituto della messa alla prova per gli adulti e la crescita di sanzioni alternative al carcere, come quella del lavoro di pubblica utilità, il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari impongono un’azione amministrativa mirata a costruire un sistema di probation ampio ed effettivo, che ponga l’Italia alla pari di tutti i maggiori Paesi europei che trovano in questo settore il principale strumento di esecuzione penale. I risultati sin qui presentati sono il frutto di una disponibilità e di una collaborazione molto ampie. Voglio, pertanto, ringraziare tutti i soggetti coinvolti nel sistema della giustizia: la magistratura, l’avvocatura, che credo possa salutare con soddisfazione il completamento del percorso di attuazione della riforma forense, il Corpo di polizia penitenziaria, che ringrazio particolarmente per la dedizione e la professionalità, tutto il personale impiegato nel servizio giustizia e, in particolare, il personale amministrativo che in questi anni ha sopportato il peso dei vuoti di organico e dell’aumento dei carichi, il Parlamento e le Commissioni, che hanno svolto un lavoro assai proficuo su tante materie. Signor Presidente, onorevoli senatori, in questi anni abbiamo agito per uscire da emergenze vere, quale quella carceraria e quella dell’arretrato civile; abbiamo inciso sull’organizzazione della giustizia; abbiamo inteso favorire un clima più disteso. Oggi sento di potere rivendicare i progressi significativi realizzati sul versante di alcuni fondamentali diritti e di poter rappresentare con convinzione i valori per i quali abbiamo operato. Al valore della effettiva uguaglianza nella laicità è ispirata la legge sulle unioni civili, il cui percorso di attuazione si è concluso. Abbiamo ora una legge che, per il nostro Paese, rappresenta una svolta di civiltà. Al valore della tutela delle persone deboli è orientata la legge sull’assistenza di persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. La stessa legge introduce per la prima volta, finalmente, nel nostro ordinamento un sistema generalizzato di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti. Anche questo è un importante segno di civiltà, come lo è la legge che colpisce l’odioso fenomeno del caporalato, approvata lo scorso anno, che ferisce la dignità e il valore della persona che lavora.

Anche in tema di accoglienza e diritto d’asilo è nostro dovere salvaguardare le garanzie fondamentali. Il disegno di legge al vaglio del Governo promuove anzitutto la specializzazione dell’organo giurisdizionale come un elemento decisivo per l’accelerazione dei procedimenti e interviene sul sistema delle impugnazioni di secondo grado, facendo tesoro delle esperienze europee più efficaci. Voglio precisare che la soluzione proposta è conforme al modello internazionale di giusto processo ed è pienamente in linea con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La nuova normativa credo possa essere l’occasione per superare il reato di immigrazione clandestina per ragioni che ho già avuto modo di richiamare in più occasioni. Infine, in vista della prossima Giornata della memoria, voglio ricordare la legge n. 115 del 2016 sui crimini contro l’umanità, che contiene anche il reato di negazionismo. Credo che l’impegno debba proseguire con l’approvazione del reato di tortura, attualmente in discussione in questo ramo del Parlamento. Quando parliamo di Europa, quando ne parliamo come una comunità di vita – per usare le parole del Presidente Mattarella, cui rivolgo il mio deferente saluto – parliamo di questi valori, e anche – non dimentichiamolo – della tragica storia che ha portato alla loro affermazione. Europa significa diritto, significa insieme costruzione di presidi a difesa della centralità della persona e riconoscimento di fondamentali esigenze e bisogni individuali e sociali. Nell’avviarmi alla conclusione, voglio assicurare che terrò in massimo conto le valutazioni di ogni forza politica. Da tutte mi aspetto un concorso concreto sull’insieme dei problemi che abbiamo davanti. Ritengo che la gran parte delle conquiste degli scorsi anni, come di quelle che auspico per il futuro, sia dovuta al superamento di una logica di astratta e pregiudiziale contrapposizione. Non indulgo all’ottimismo, ma nemmeno al suo contrario, rinunciando a delineare percorsi possibili. Ma i provvedimenti di riforma funzionano se le loro ragioni mettono radici nell’habitat sociale, civile e culturale del Paese, che va difeso non solo dagli attentati alla sicurezza e alla libertà, ma anche dalle troppo aspre disparità che rischiano di spaccarlo. Uno dei maggiori studiosi contemporanei del diritto e dello Stato, Ronald Dworkin, ha scritto: «L’uguale rispetto è la virtù sovrana della comunità politica: se manca, il governo è soltanto tirannia; e quando la ricchezza di una nazione è distribuita in modo fortemente disuguale, come lo è attualmente la ricchezza di nazioni anche molto prospere, allora il suo uguale rispetto appare sospetto». Ecco: se vogliamo riconoscere ai nostri concittadini, nelle forme del diritto e nell’esercizio della giurisdizione, l’uguale rispetto che è loro dovuto, dobbiamo agire perché non sia fortemente diseguale la ricchezza della Nazione. Se sapremo farlo, e ovunque sapremo farlo, là il servizio della giustizia sarà più efficiente, più autorevole e, in definitiva, più giusto. (Applausi dai Gruppi PD, AP (Ncd-CpI) e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE).

LA REPLICA AL TERMINE DELLA DISCUSSIONE GENERALE

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione.

Comunico che sono state presentate le proposte di risoluzione n. 1, dai senatori Zanda, Bianconi e Zeller, n. 2, dalla senatrice Stefani e da altri senatori, n. 3, dalla senatrice Mussini e da altri senatori, e n. 4, dal senatore Giarrusso e da altri senatori, i cui testi sono in distribuzione.

Ha facoltà di intervenire in replica il ministro della giustizia, onorevole Orlando, al quale chiedo anche di esprimere il proprio parere sulle proposte di risoluzione presentate.

ORLANDO, ministro della Giustizia. Signor Presidente, esprimo parere favorevole sulla risoluzione n. 1 ed esprimo parere contrario su tutte le altre risoluzioni presentate.

Signor Presidente, voglio ringraziarla per l’attenzione con la quale ha seguito le questioni relative ai temi della giustizia. Onorevoli senatori, gli indici della giustizia, registrati sulla base di parametri che non ho fissato io ma che fissa la comunità internazionale attraverso criteri parzialmente diversi, in questo Paese migliorano e questo è un dato difficile da confutare, il che non significa che tutti i problemi della giustizia siano stati risolti, non ho questo coraggio e non sostengo una cosa così azzardata. Credo però che si siano fatti dei progressi che definirei significativi.

Nel corso di questi anni alla guida del Ministero, spesso mi sono posto una domanda che può sembrare banale: perché alcune cose non sono state fatte prima? Probabilmente chi mi ha preceduto avrà la risposta: io non mi sono saputo rispondere. Vorrei fare due esempi: da quando faccio politica, e sono ormai molti anni, sento dire che il sovraffollamento carcerario va affrontato rimpatriando i detenuti stranieri. Ebbene, il primo trattato con il Marocco per il rimpatrio dei detenuti (quella proveniente dal Marocco è una delle comunità di detenuti più importanti nel nostro Paese) è stato firmato con il mio insediamento al Ministero.

Ho sentito il senatore Giarrusso che mi ha rimproverato per la mancanza di rispetto nei confronti dei Parlamento perché non ho prodotto tempestivamente la mia relazione. Me ne scuso ma devo dire che lui non ne mostra molta di più nei confronti dello stesso Parlamento intervenendo e poi non ascoltando la replica. (Applausi dal Gruppo PD. Commenti del senatore Santangelo).

Lo ringraziamo comunque di aver anticipato la politica giudiziaria con la quale il Movimento 5 Stelle si candiderà alla guida dell’Italia. (Proteste dal Gruppo M5S. Commenti del senatore Marton).

SANTANGELO (M5S). Dì quello che devi dire!

PRESIDENTE. Senatore Santangelo non interrompa. È un dato di fatto che il senatore non è presente. (Commenti del senatore Santangelo).

Senatore Santangelo, la prego di non interrompere l’intervento del Ministro.

MARTON (M5S). Fai il tuo lavoro!

ANGIONI (PD). Fatelo anche voi!

ORLANDO, ministro della Giustizia. Lo sto facendo, senatore. Devo dire che il senatore Giarrusso ha sollevato una questione fondata, cioè la questione del rapporto tra magistratura inquirente e magistratura giudicante dal punto di vista dei rapporti numerici. Questa è un’altra domanda che mi sono posto: perché non è stata fatta, dagli anni Cinquanta in poi, una revisione delle piante organiche che ridisegnasse la distribuzione della magistratura nel Paese? Sappiamo che la criminalità organizzata, ormai, non è più soltanto al Sud; sappiamo che nel corso degli anni e dell’emergenza sono stati aumentati in modo significativo gli organici delle procure senza che questo fosse stato compensato con un aumento, per esempio, del numero dei giudici per le indagini preliminari. Ebbene, noi siamo stati il primo Governo che ha rivisto complessivamente la pianta organica dei magistrati. Sarebbe come se una grande impresa avesse mantenuto sul territorio la stessa dislocazione che aveva nel 1945. Non mi risulta che ce ne sia nessuna che è rimasta esattamente nelle medesime condizioni.

Abbiamo fatto un lavoro talvolta silenzioso e talvolta – per questo sì che mi rimprovero – troppo silenzioso perché impegnati, appunto, in un lavoro per il quale ringrazio tutti i collaboratori e i sottosegretari che mi hanno aiutato nel corso di questi anni e che non ci ha consentito di dire con sufficiente forza una cosa.

Anche i risultati che oggi abbiamo conseguito e che sono riconosciuti, al di là della propaganda, dei numeri, sono tuttavia precari se non siamo in grado di approvare le leggi che danno un quadro di riferimento definitivo a questi progressi. Credo sia stato un errore non approvare, quando si è aperta la finestra necessaria, la riforma del processo penale e mi auguro che le prossime finestre non restino inutilizzate. (Applausi dal Gruppo PD).

La giustizia non è ancora una risorsa per il Paese, è inutile negarlo; non rappresenta più, però, il peso che costituiva quando abbiamo iniziato ad affrontare il problema. Su questo punto vorrei partire da un dato emerso nei diversi interventi. Si è arrivati a sostenere in questa discussione che sostanzialmente un indice di qualità di un sistema giudiziario sarebbe il numero del contenzioso, per cui non mi dovrei vantare del fatto che il contenzioso sia diminuito. Quando ci siamo insediati eravamo secondi per litigiosità solo alla Federazione Russa, che evidentemente, secondo questo criterio, dovrebbe essere l’esempio al quale riferirsi dal punto di vista dell’efficienza del sistema giudiziario.

In verità avevamo un numero di cause – e credo che questo dovrebbe essere il criterio – che non aveva riferimento nei Paesi di uguali dimensioni dell’Unione europea, perché il processo era – e sottolineo “era” – utilizzato come forma di dilazione del pagamento. Oggi questo non è più vero e siamo allineati dal punto di vista dei numeri del contenzioso allo stesso livello di Paesi come la Francia e altri grandi Paesi dell’Unione europea. Siamo a metà classifica dal punto di vista del contenzioso all’interno dei Paesi del Consiglio d’Europa.

Invito a riflettere sul fatto che questa diminuzione di contenzioso non è avvenuta, contrariamente a quanto detto, con l’aumento del contributo unificato. Infatti, il contributo unificato è aumentato in anni in cui è aumentato anche il contenzioso; da tre anni il contributo unificato non è stato modificato e il contenzioso è diminuito. Ma se vogliamo uscire dai confini nazionali sottolineiamo il fatto che l’Italia è il Paese che chiede al cittadino meno in termini di contributo unificato rispetto al costo del servizio. Siamo al di sotto della media degli altri Paesi europei e non ci riferiamo – e non vorrei mai farlo – a Paesi che chiedono al cittadino un contributo che copre l’80 o il 90 per cento del costo del servizio; penso, tra gli altri, alla Germania e all’Austria, spesso citate come esempi del funzionamento della giustizia civile.

Credo che l’Italia tra i Paesi europei sia uno di quelli nei quali l’accesso alla giustizia è garantito meglio. Non dico che non vi siano ancora interventi da fare. Credo che sulla difesa d’ufficio si possa lavorare di più, come sul gratuito patrocinio; credo che si possa lavorare anche sulla questione della salvaguardia di alcune categorie di non abbienti, ma non mi sento di dire che il nostro è un sistema che impedisce l’accesso alla giustizia.

Nel corso di questi anni siamo saliti, per quanto riguarda la classifica Doing Business (potrei citarne altre ma mi limito a questa), di 40 posizioni rispetto al punto di partenza; nell’ultimo rapporto dello scorso anno abbiamo migliorato di altre tre posizioni. Questo può non consolarci perché, come diceva la senatrice Stefani, siamo dietro a Paesi che sono di più recente tradizione giuridica; tuttavia segnalo il fatto che siamo l’unico Paese all’interno dell’Unione europea che è cresciuto significativamente. Infatti, mentre molti altri grandi Paesi dell’Unione europea sono arretrati rispetto a piccoli Paesi che riescono ad avere performance più smart, noi siamo l’unico Paese che ha fatto passi avanti sul tema della risoluzione delle controversie in materia commerciale.

Non è vero che questi risultati si sono realizzati senza investimenti, non soltanto perché siamo cresciuti negli investimenti (in tre anni abbiamo investito 1,6 miliardi di euro); si è detto che lo si è fatto a fronte della riduzione delle disponibilità: è assolutamente vero, perché abbiamo spostato risorse dalla spesa corrente agli investimenti, e lo abbiamo fatto con dei tagli, tra i quali anche quelli legati alla geografia giudiziaria. Vorrei sottolineare il fatto che, nonostante la riduzione delle sedi degli uffici giudiziari nel nostro Paese, siamo ancora in Europa uno dei Paesi con il numero maggiore di sedi giudiziarie. Era normale prima averne 2.000? Facciamo confronti con gli altri Paesi europei; facciamo soltanto questo tipo di verifica.

Questi tagli sono stati realizzati, però, anche con una cospicua razionalizzazione delle risorse: sono state quasi dimezzate le direzioni generali del Ministero della giustizia; si è rivista complessivamente la spesa; si è ridotta la bolletta energetica degli uffici; il passaggio delle competenze e della gestione degli uffici giudiziari dai Comuni al Ministero ha comportato una riduzione di un terzo della spesa e tutti questi soldi sono stati reinvestiti. Nel corso dello scorso anno, abbiamo distribuito 30.000 nuovi computer e abbiamo installato 180 server di fascia alta. Le ADR funzionano, contrariamente a quello che si pensava nel momento in cui siamo partiti, devo dire con qualche perplessità anche mia, perché non credevo che in alcune realtà avrebbero avuto un successo così significativo.

Siamo stati in grado di immettere quasi 2.000 unità di personale amministrativo; abbiamo riavviato una riqualificazione del personale amministrativo; abbiamo fatto un concorso per 2.000 unità. Vorrei qui rappresentare la difficoltà di fare una politica di reclutamento del personale in questa fase. Abbiamo bandito un concorso a novembre dello scorso anno per 1.000 unità, che poi, grazie alla legge di bilancio del 2017, sono diventate 2.000. Abbiamo ricevuto 320.000 domande. Sapete cosa vuol dire fare un concorso per 320.000 persone? Questo inevitabilmente sposta in là la possibilità di fare le assunzioni, perché non possiamo assolutamente violare il legittimo diritto di ciascuno di concorrere e veder valutato il proprio valore. Abbiamo cercato di supplire a questo scarto temporale immettendo 3.000 tirocinanti, ex articolo 73 e 1.200 tirocinanti non laureati; abbiamo immesso nel sistema 300 unità sostanzialmente in comando dalle Regioni e proseguiremo su questa strada, per cercare di alleviare una difficoltà che il sistema ha dovuto sopportare. Vorrei ricordare semplicemente un dato: non entrava un nuovo cancelliere nei nostri uffici giudiziari dal 1999. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Buemi e Valdinosi).

Senatore Mineo, sono un sincero ammiratore di tanti istituti che caratterizzano la realtà degli Stati Uniti, ma non li prenderei come riferimento per il sistema carcerario, francamente, non solo perché è il secondo Paese al mondo per tasso di carcerazione (soltanto dietro all’Arcipelago delle Seychelles, se non sbaglio: non so cosa facciano esattamente alle Seychelles per avere tale primato, ma questo è un dato), ma perché oggi, se andiamo a vedere la popolazione – e questo è il tema che si è posto il presidente Obama – scopriamo, che la giustizia non prescinde del tutto dalla razza e dal censo.

Abbiamo fatto alcuni progressi nell’ambito delle carceri e, anche qui, però, mi sento di ripetere quanto ho detto in termini generali, introducendo queste mie considerazioni. Le conquiste che abbiamo fatto non sono durature: lo saranno se vengono cristallizzate in una riforma dell’ordinamento penitenziario che è contenuta nel disegno di legge sulla riforma del penale. Il criterio che dev’essere modificato è questo, e guardate che questo oggi ce lo chiede anche una nuova emergenza: la radicalizzazione islamica all’interno del carcere.

Noi dobbiamo trattare in modo individualizzato e diverso i detenuti (non possiamo trattare, come avveniva in passato, nello stesso modo detenuti che hanno profili tra loro di carattere diverso), ma per farlo dobbiamo ripensare completamente il carcere. Il superamento del sovraffollamento è stato un primo passo, ma non è sicuramente risolutivo. Certo, un carcere sovraffollato è un carcere dove è difficile individualizzare il trattamento, anzi è impossibile, come è impossibile affrontare il tema della radicalizzazione; anzi, rischia di essere un focolaio dove si sviluppa la radicalizzazione, ma questa è soltanto una condizione necessaria, assolutamente non sufficiente. Noi dobbiamo costruire un carcere nel quale non ci siano automatismi, nel quale l’accesso ai benefici sia legato al comportamento del detenuto e la preclusione dei benefici non sia legata semplicemente al reato, ma al comportamento che concretamente si valuta nel corso del trattamento. Per farlo, però, bisogna dare delle opportunità al detenuto; per poterlo responsabilizzare c’è bisogno di valutare se dice sì o no alle possibilità che gli si offrono e oggi il carcere queste possibilità non le offre, anche se devo dire che alcuni segnali sono positivi e nel corso di questi tre anni abbiamo visto crescere costantemente il lavoro dei detenuti, sebbene ancora non a livelli che possano considerarsi sufficienti.

Non è vero, senatore Falanga, che non ho fornito il numero relativo all’aumento dei posti disponibili (le darò copia della mia relazione): i posti disponibili erano 46.000 al momento del nostro insediamento, oggi sono 52.200 e cresceranno di altre 700 unità nel corso dei prossimi mesi. Non accetto il termine «svuota carceri» per una ragione molto semplice: le persone sottoposte ad esecuzione penale in questo momento sono più di quelle che erano sottoposte ad esecuzione penale nel momento in cui si è raggiunto il massimo del sovraffollamento carcerario. Il problema è che oggi il nostro è un Paese che esegue la pena così come la eseguono tutti gli altri più avanzati Paesi europei. Quando ci siamo insediati, a fronte di quattro detenuti c’era un soggetto sottoposto ad esecuzione penale esterna; attualmente, per ogni detenuto, c’è una persona sottoposta ad esecuzione penale esterna. Certo, ha ragione il senatore Giarrusso a rilevare come ciò sia andato a discapito delle Forze dell’ordine, che hanno dovuto fare un sacrificio, ma ci consegna un sistema che oggi è più avanzato. Oggi stiamo compiendo un altro passo, quello di potenziare gli uffici dell’esecuzione penale esterna e ringrazio il Parlamento per aver aumentato lo stanziamento destinato a queste realtà, che consentiranno di sollevare parzialmente le Forze dell’ordine da questo tipo di attività.

Ci sono altri buoni segnali, pur in un quadro che non considero ancora soddisfacente, che voglio segnalare. Lo scorso anno i detenuti tossicodipendenti che erano stati assegnati a pena alternativa erano 3.773, quest’anno sono 5.343, per arrivare all’obiettivo di non avere detenuti tossicodipendenti all’interno del carcere quando devono essere trattati all’interno delle comunità.

C’è un dato del quale non sono soddisfatto e riguarda la questione della custodia cautelare. Se è vero che sono diminuite di 1.000 unità, da quando ci siamo insediati, sia le persone in attesa di primo giudizio, sia le persone in attesa di giudizio definitivo, è altresì vero che rispetto alle indicazioni della legge che anche questo ramo del Parlamento ha approvato, i risultati non sono all’altezza delle aspettative e questo per una ragione – non se ne parla e questo è segno del garantismo sui generis che spesso c’è nel nostro Paese – perché la gran parte di questa platea, diversamente che in passato, è composta soprattutto da persone che hanno commesso reati di strada. Le Forze dell’ordine stanno facendo un lavoro più intenso (bisogna discutere poi se questo lavoro davvero aumenta il grado di sicurezza, ma stanno facendo senz’altro un lavoro più intenso). Questo fa sì che aumentino i detenuti in attesa di primo giudizio appartenenti a questa categoria, ma queste persone che potrebbero utilizzare anche i domiciliari, in verità non possono farlo per la semplice ragione che non hanno un domicilio – in gran parte si tratta di persone extracomunitarie – e questo determina una disparità oggettiva: il giudice assegna o non assegna una pena non in funzione del comportamento, ma delle condizioni materiali di quella persona. Noi stiamo facendo un lavoro – proprio ieri ho incontrato rappresentanti di alcune importanti realtà del privato sociale – per verificare la possibilità di realizzare delle residenze nelle quali in qualche modo le persone in attesa di primo giudizio possano beneficiare delle previsioni di legge allorquando siano privi di una dimora; questo anche per migliorare la possibilità del controllo rispetto alle questioni poste.

È vero, abbiamo esaurito i braccialetti elettronici e quelli nuovi non sono ancora arrivati. Segnalo però un aspetto rispetto a chi ha sollevato tale questione: che il Parlamento – non il sottoscritto, perché non ero ancora Ministro all’epoca – decise che la gestione del braccialetto elettronico dovesse competere al Ministero dell’interno, il quale ha bandito recentemente una gara europea della quale stiamo attendendo ancora l’esito.

Ha ragione il senatore Malan: non ci possiamo rassegnare a nessun tipo di errore giudiziario. Però dobbiamo anche considerare – almeno io parto sempre da questa considerazione – che il processo penale, come ogni attività umana, è fallibile. Io non sono tra coloro che ritengono si debba sacralizzare qualunque tipo di accertamento realizzato comunque con gli strumenti limitati di cui dispone l’uomo. Quello che ci dobbiamo domandare, e forse riconsiderando (anche un po’) le posizioni precedenti, è se il nostro non sia complessivamente un sistema che mette al riparo dagli errori giudiziari più di molti altri sistemi. Per questa ragione difendo i due gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento. E trovo stravaganti le voci che si alzano ogni qualvolta in secondo grado una persona è stata assolta dopo essere stata condannata in primo grado; o anche il contrario. Se non avvenisse, non si capirebbe per quale ragione dovrebbero essere previsti due gradi di giudizio.

Credo che dovremmo rivalutare, rispetto alle cose che si sono dette negli anni passati, il modello costituzionale di giustizia di cui dispone il nostro Paese, perché continuo a pensare che sia tra i più avanzati. Io vedo molti limiti, ma come diceva Churchill per la democrazia: è un sistema che ha molti difetti, ma tutti gli altri sono peggiori. Per me tutti gli altri esempi, richiamati spesso come riferimento di efficienza e di celerità del processo, non sempre hanno effettivamente questo contenuto. Ritengo che spesso soltanto una nostra certa esterofilia fa sì che si prendano come riferimento modelli che dal punto di vista delle garanzie credo non debbano insegnare niente ai Costituenti che ci hanno consegnato quell’impalcatura.

Non è vero che la responsabilità civile non ha cambiato niente. Io non mi aspettavo dalla responsabilità civile un’esplosione del numero dei procedimenti, come pure fu detto da molti all’epoca, né una limitazione dell’autonomia della magistratura; mi aspettavo una cosa semplice che non possiamo misurare con i numeri: un giudice oggi sa che, di fronte a una negligenza inescusabile, non si trova di fronte prima a tre gradi di giudizio per verificare se deve essere sottoposto a valutazione di merito, come avveniva con il cosiddetto filtro. Oggi il giudice sa che nel caso di quella violazione è sottoposto a una valutazione di merito, come qualunque altro cittadino. Noi non sappiamo quanto incide a livello di deterrenza e come incida questo tipo di istituto; non si può misurare. Noi non sappiamo quanto incide a livello di deterrenza questo tipo di istituto; né possiamo misurare come incida. Però è una cosa che in qualche modo cambia il sistema dei controlli sull’attività giurisdizionale, e questo credo che sia un passo avanti che consente di migliorare il quadro, senza comprimere l’autonomia della magistratura, che non può essere messa sullo stesso piano di altre professioni, perché svolge un ruolo e una funzione di carattere diverso.

Rivendico il fatto che il mio Ministero ha svolto senza sensazionalismi una funzione importante, sempre su questo campo, nell’attività ispettiva. Abbiamo cercato di superare l’idea di interventi spot, legati a singole vicende. Abbiamo cercato di fare delle indagini di carattere sistematico, ad esempio per settore. È stato oggetto della nostra attenzione, ad esempio, l’insieme delle sezioni e delle misure di prevenzione del nostro Paese. È stato oggetto di attenzione, ad esempio, il funzionamento delle sezioni fallimentari dei tribunali civili, dove nel corso del tempo si erano sviluppate molte vicende opache.

Abbiamo cercato di concentrare l’attività sopratutto sulle violazioni più gravi. Devo dire complessivamente, per dare un giudizio sul disciplinare, che questo tipo di attività funziona più di quanto non si racconti. Se c’è un rilievo da fare è che spesso la pronuncia del Consiglio superiore della magistratura arriva troppo tempo dopo il momento in cui viene segnalato l’illecito. Credo che questo sia un elemento che toglie forza a tale strumento di intervento.

La banca dati dei minori esiste, si è attivata nelle scorse settimane con il completamento della rete Sigma, che ha collegato tutti i tribunali dei minori.

Non ho tralasciato nella mia relazione il tema della tensione, della dialettica e della polemica con l’Associazione nazionale magistrati, senatore Mineo, perché me ne sono dimenticato, ma perché se devo fare un elenco delle cose successe in quest’anno, non la reputo tra le questioni più importanti. Ciò non per mancanza di riguardo nei confronti dell’Associazione nazionale magistrati, a cui ho sempre dedicato grandissima attenzione, ma perché ritengo francamente che la materia del contendere, che può essere rilevante per lo statuto dei magistrati, non è una questione fondamentale per il funzionamento della giustizia. Cerco di spiegarne la ragione. Mi è stato chiesto da che punto di vista in qualche modo l’anticipo del pensionamento rispetto ad una legge che era stata voluta dal centrodestra, quella che portava il pensionamento a settantacinque anni, abbia creato una scopertura di organici e come si sta cercando di affrontare questo tema. Noi cerchiamo di affrontare questo tema aumentando il numero dei reclutati, aumentando il numero dei concorsi. Questa è la risposta. Si sono poi venuti a determinare degli scompensi, sui quali abbiamo discusso con l’allora presidente del Consiglio Renzi, in un incontro con l’Associazione nazionale magistrati. In quell’occasione tre furono le questioni poste, anzi quattro, ma una non è oggetto di discussione perché non essendo ancora esaminata la norma che prevede il termine temporale per le indagini non c’è alcuna risposta su quel punto.

È stata posta la questione degli organici. Quando ci siamo incontrati avevamo promesso 1000 unità in più di cancelleria; attualmente abbiamo bandito un concorso per 2000 unità. Ci è stato chiesto di modificare la norma che riguardava i giovani. Una norma che prevede che per i nuovi magistrati debbano passare almeno quattro anni prima di chiedere il trasferimento. Faccio presente che nel resto della pubblica amministrazione sono cinque gli anni necessari prima di chiedere il trasferimento. Quella norma l’ho voluta io perché dopo aver girato gran parte degli uffici giudiziari in difficoltà, ho scoperto che un problema fondamentale è l’eccessivo turnover dei magistrati. Per diminuire la tensione comunque con L’ANM, abbiamo dato disponibilità a rivedere quella norma, che infatti è stata rivista. Il Governo ha presentato un emendamento al cosiddetto mille proroghe per posticipare l’attuazione di quella norma. Rimane soltanto la questione del pensionamento. Rimane solo tale questione. Io credo – lo dico con tutto il rispetto – che ci sia una sproporzione tra le reazioni avvenute e l’oggetto del contendere, tenendo conto che nel frattempo il Governo e il Presidente del Consiglio sono cambiato. Questi sono i termini della questione.

Voglio ribadire il mio impegno; ho già trasmesso un disegno di legge alla Presidenza del Consiglio sul tema dell’ecocompenso che ritengo un elemento caratterizzante dell’attività del Governo. Ritengo infatti che ci sia ormai una sperequazione nel rapporto tra professioni e grandi soggetti finanziari ed economici che è inaccettabile e dei livelli di compressione dell’autonomia del professionista dettati dalle posizioni dominanti che credo siano da contrastare.

Voglio dedicare un’ultima riflessione a un tema che è stato posto e che ho sollevato iniziando il mio intervento: la riforma del processo penale. Quella riforma è frutto di una Commissione di studio che si è costituita prima dell’insediamento del Governo precedente e di questo Governo. Mi riferisco alla Commissione presieduta dall’attuale primo presidente della Cassazione Canzio.

In quella Commissione erano presenti le camere penali, i rappresentanti delle università e della magistratura. Si fece una revisione di tutti gli elementi che potevano in qualche modo deflazionare il processo penale e lo si fece superando un derby che spesso caratterizza il rapporto tra magistratura e avvocati penalisti.

Se vai a un convegno di penalisti, ti dicono che il processo penale si rende più rapido comprimendo i tempi dati alla magistratura per svolgere una serie di attività. Se vai a un convegno dei magistrati, ti dicono che ai tempi si riducono riducendo i tempi disponibili per gli avvocati per svolgere la loro attività.

Si è trovato quell’equilibrio delicato, che io rivendico come un successo non mio perché, lo ripeto, è un lavoro fatto precedentemente, che consentirebbe finalmente di arrivare a un processo penale che migliora nelle sue performance. Daremo nei prossimi giorni i tempi, ma il processo sta migliorando, sia dal punto di vista dei tempi che dal punto di vista del numero del contenzioso. E questo potrebbe dare davvero uno slancio definitivo verso una uscita dalla crisi del processo.

Questo lavoro è un lavoro che affrontava anche il tema della prescrizione, in termini diversi da quelli poi oggetto della proposta di legge e poi anche della proposta che arriverà in Aula. In questo percorso abbiamo tenuto conto di posizioni diverse. Abbiamo cercato di trovare un compromesso tra le diverse forze di maggioranza, anche ascoltando alcune delle posizioni delle opposizioni. Ci tengo, però, a dire che l’intervento sulla prescrizione è un intervento che ha un valore morale e simbolico per la seguente ragione.

Se fosse anche soltanto uno il processo che va in fumo per un grave fatto, a fronte del decorrere del tempo, sarebbe una sconfitta per lo Stato. Credo, però, che gran parte delle precondizioni per il maturare della prescrizione siano dovute a questioni di carattere organizzativo.

Lo dico perché, facendo un analisi dei diversi distretti, noi scopriamo che vi sono distretti dove le prescrizioni arriva al 30 per cento degli affari trattati e uffici nei quali le prescrizioni sono all’1 o al 2 per cento che è fisiologico in un sistema di obbligatorietà dell’azione penale.

Questo mi fa dire che il più importante intervento sulla prescrizione non si realizza soltanto modificando la prescrizione, ma si realizza modificando il processo. Se noi siamo in grado di costruire un processo che sia deflazionato; se siamo in grado di costruire un processo nel quale si evitino quei passaggi dilatori che attualmente ingolfano e complicano l’andamento processuale, diamo la risposta più compiuta per evitare che la prescrizione raggiunga dei livelli di carattere patologico.

Per questo motivo, concludendo, rinnovo ancora l’appello affinché si vada verso una rapida approvazione del disegno di legge sulla riforma del processo penale, in quanto ritengo davvero che questo possa costituire un passo di qualità che consenta al prossimo Ministro della giustizia di fare una relazione che possa effettivamente dire che molti dei problemi che hanno caratterizzato il nostro sistema sono definitivamente alle nostre spalle. (Applausi dal Gruppo PD).

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