LA DIFFUSIONE DELL’UTILIZZO INDEBITO DEI PERMESSI E DELLE ESENZIONI, NEL SETTORE PUBBLICO, È LA CONSEGUENZA DI UN MANAGEMENT CHE NON SVOLGE LA PROPRIA FUNZIONE DI MOTIVAZIONE DEI DIPENDENTI E DI CONTROLLO SUI LORO COMPORTAMENTI, NON ESERCITA LE PROPRIE PREROGATIVE ORGANIZZATIVE E DISCIPLINARI
Testo integrale dell’intervista a cura di Rosanna Amato, pubblicata con qualche taglio per motivi di spazio (ma con un titolo contenente una forzatura: v. in proposito la mia lettera al Direttore) su La Repubblica dell’8 gennaio 2017, a corredo del servizio di Marco Ruffolo, L’Italia degli imboscati.
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ROMA. Dieci anni fa nel libro I Nullafacenti Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, denunciò il tasso di assenze altissimo nel settore pubblico rispetto a quello privato.
Professore, la stessa sproporzione si registra anche nell’abuso di certificati medici per godere di particolari benefici sul lavoro?
«Sono aspetti diversi dello stesso problema: il settore pubblico vede sempre molto dilatato l’abuso dei benefici, perché i dirigenti non svolgono la propria funzione, non motivano adeguatamente i dipendenti, non fanno i controlli dovuti».
Quindi non è un problema di norme?
«Qualche norma un po’ più generosa, soprattutto per i dipendenti statali e degli enti locali, c’è, nelle leggi e nei contratti collettivi nazionali. Ma la differenza è dovuta per una parte largamente maggiore a un difetto della dirigenza pubblica».
Nel privato proprio il fenomeno non esiste?
«Certo che sì, ma si tratta di casi singoli, isolati. Nel pubblico, invece, la tolleranza generalizzata ha consentito che l’abuso divenisse un malcostume diffuso».
In fondo però non stiamo parlando di assenteismo abusivo, ma di comportamenti legittimati da una norma di legge. Perché il datore di lavoro privato riesce ad arginarli e il pubblico no?
«In realtà non si tratta sempre di comportamenti leciti. Per esempio, la legge 104 non consentirebbe che il lavoratore, ottenuto il permesso, invece di assistere la vecchia zia ottantenne, si dedichi a un corso di canottaggio. Pensiamo anche ai permessi elettorali: non è ammissibile che in un servizio pubblico si dimezzino gli organici in occasione delle elezioni. Nel settore privato il dirigente verifica che chi ne fruisce sia veramente un militante del partito, vada a fare davvero il rappresentante di lista; nel pubblico nessuno si cura di controllare».
Quindi è solo una questione di incapacità dei dirigenti?
«Innanzitutto di irresponsabilità dei dirigenti, per inerzia dei vertici politici. I ministri della Funzione pubblica, da Brunetta in poi, hanno varato diverse norme anti-assenteismo, ma non hanno fatto quasi mai l’unica cosa efficace: imporre ai direttori del personale l’obiettivo di allineare il tasso di assenze rispetto a quello di aziende private comparabili, entro un termine ragionevole, sotto pena di perdere l’incarico, come previsto dall’articolo 21 del Testo Unico. Un discorso a parte andrebbe fatto per i contratti collettivi del settore pubblico, che per molti aspetti sembrano fatti apposta per favorire gli abusi e le impunità; ma se i dirigenti fossero responsabili, sarebbero i primi a non firmarli, o a chiederne la correzione».
Non lo hanno fatto neanche i ministri della Funzione pubblica successivi, compresa Marianna Madia.
È così. La ministra in carica ha il merito di avere inserito tra i criteri per il rinnovo dei contratti collettivi il collegamento del premio di risultato al tasso delle assenze; e questo è un passo avanti. Ha anche tentato una riforma della dirigenza pubblica, che è stata fortemente avversata dall’interno stesso delle amministrazioni e poi azzoppata dalla Corte costituzionale, con una sentenza molto discutibile. Ma la ministra stessa sa bene che già la legislazione vigente consentirebbe di responsabilizzare i dirigenti sull’obiettivo della normalizzazione del tasso delle assenze e del contrasto all’abuso dei benefici e delle tutele. Si sarebbe potuto già avviare una sperimentazione efficace, su questo terreno, per poi generalizzare la buona pratica; ma il progetto è stato insabbiato. Potrebbe essere ripreso in mano oggi stesso, senza bisogno di nuove norme.
Come è possibile che leggi in sé giuste come la 104 si trasformino in favolose opportunità per i nullafacenti?
«La legge, anche se si basa su di un principio giusto, contiene sempre in sé il germe dell’abuso quando non si preoccupa di istituire controlli adeguati e, soprattutto, gli incentivi giusti perché i controlli funzionino. Nel settore privato la dirigenza questi incentivi li ha; nel settore pubblico no. E poi…
Dica pure.
«… occorrerebbe un sindacato del settore pubblico consapevole del fatto che i diritti dei lavoratori si difendono anche e soprattutto contrastandone gli abusi».
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