REFERENDUM CGIL: NON TORNIAMO INDIETRO DI TRENT’ANNI!

IL REFERENDUM MIRA AD AZZERARE UN’EVOLUZIONE CHE È INCOMINCIATA CON LA LEGGE TREU DEL 1997 E ADDIRITTURA A ESTENDERE L’INGESSATURA DEI RAPPORTI DI LAVORO ANCHE ALLE PICCOLE IMPRESEMA MEGLIO IL REFERENDUM CHE AZZOPPARE LA RIFORMA: LA COSA PEGGIORE CHE POSSA ACCADERE AL PAESE È FERMARSI IN MEZZO AL GUADO

Testo integrale dell’intervista a cura di Giovanna Casadio, pubblicata da la Repubblica il 16 dicembre 2016 con alcuni piccoli tagli dovuti a motivi di spazio (e con un cappello contenente una piccola forzatura indebita e dunque qui omesso: v. in proposito la mia lettera al Direttore) – In argomento v. anche la scheda tecnica sui tre quesiti referendari promossi dalla Cgil, pubblicata su questo sito il giorno prima; inoltre i miei interventi precedenti sulla proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla Cgil in tema di lavoro:  Non è più la Cgil dei Lama e dei Trentin, e Il codice semplificato del lavoro della Cgil            .
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Professor Ichino, si rimette mano al Jobs Act. Il referendum della Cgil può disfare la riforma?
Bisogna innanzitutto verificare che il quesito sull’articolo 18 sia ammissibile.

Perché, può non esserlo?
Un primo profilo di inammissibilità del quesito sta nel fatto che esso deve avere un contenuto unitario. Qui invece ce ne sono addirittura tre: 1) “volete voi abrogare la parte del Jobs Act relativa ai licenziamenti, applicabile agli assunti dal marzo 2015?”; 2) “per gli assunti prima del marzo 2015, volete voi abrogare le modifiche dell’articolo 18 contenute nella legge Fornero del 2012?”; infine 3) “volete voi che il vecchio articolo 18, così ripristinato, si applichi a tutti i datori di lavoro che abbiano almeno sei dipendenti?”. Un secondo profilo di inammissibilità sta nel fatto che quest’ultimo quesito non ha per oggetto l’abrogazione di una norma, ma l’emanazione di una norma nuova, che non è mai esistita. Per questa parte, il referendum promosso dalla Cgil diventa propositivo. Ma l’istituzione del referendum propositivo è stata bocciata proprio dieci giorni fa.

E se ammesso, il referendum quando si terrebbe?
Nella primavera prossima o in quella del 2018, a seconda di quando si scioglie il Parlamento.

Lei non sarebbe favorevole a cambiare la riforma per evitare il referendum?
No. Stiamo compiendo il passo decisivo di una transizione che il nostro Paese attende da trent’anni, il passaggio dal modello mediterraneo di mercato del lavoro al modello nord-europeo. La cosa peggiore che potrebbe accadere al Paese è di fermarsi in mezzo al guado, o addirittura tornare al punto di partenza.

La Cgil però obietta che per ora i frutti di questa riforma non si sono visti.
Non è così. Nell’ultimo biennio è nettamente aumentato il flusso degli investimenti diretti esteri nel nostro Paese, che prima si era quasi azzerato: ed è solo da questo aumento che oggi possiamo attenderci un aumento della domanda di lavoro, e quindi anche dell’occupazione e delle retribuzioni. Nel biennio 2015-2016 l’Inps ha registrato 1,2 milioni di assunzioni regolari in più rispetto al biennio precedente, delle quali 815.089 a tempo indeterminato. Questo significa che, dopo mezzo secolo in cui la quota di assunzioni stabili è andata sempre diminuendo, fino al 16 per cento del 2014, per la prima volta si è registrata una forte inversione di tendenza. Il fatto che, per effetto dell’incentivo economico, questo aumento sia stato in parte anticipato nel 2015, e che quindi nel 2016 si sia registrato un suo rallentamento, non toglie che l’occupazione, e in particolare quella stabile, sta ancora aumentando. Il che vuol dire che la riforma del lavoro sta aiutando la crescita. Anche se, certo, non può essere la riforma da sola a determinarla.

Un altro quesito referendario mira ad abolire i voucher; i buoni-lavoro hanno moltiplicato il precariato?
Senta, in un periodo in cui, come si è detto, sono aumentate di 1,2 milioni le assunzioni regolari, e tra queste di 800mila quelle stabili, si sono registrati anche 115 milioni di ore di lavoro accessorio retribuito con i voucher, cioè l’equivalente di circa 60.000 posti di lavoro precario se fossero stati tutti a tempo pieno. Non è plausibile che questi siano tutti casi di precarizzazione di lavoro che altrimenti si sarebbe svolto in modo regolare.

Ma hanno sanato il lavoro nero?
Non hanno certo eliminato questa piaga. Ma un contributo certamente l’hanno dato. Studiamo il fenomeno, individuiamo le anomalie da correggere, ma eliminare drasticamente i buoni-lavoro mi sembra proprio una misura demagogica. Porterebbe solo un aumento del lavoro nero.

Congelare i quesiti con l’anticipo delle elezioni è una furberia, come dice la segretaria Cgil Camusso?
Sì. Non deve essere questo il criterio in base al quale anticipare le elezioni.

Ma insomma è bene o no fare questo referendum?
Il quesito inammissibile, cioè quello sull’articolo 18, va solo dichiarato tale. Sugli altri due è giusto che si celebri il referendum: può essere un’ottima occasione per far conoscere meglio agli italiani i termini di queste questioni non facili e far capire loro il senso positivo dell’evoluzione che il nostro ordinamento del lavoro sta compiendo, ormai da un trentennio, inaugurata dalla riforma Treu del 1997. Il referendum mira ad azzerare tutto il cammino fatto da allora. Non sarebbe affatto un buon servizio, né per i lavoratori italiani, né per le imprese che intendono operare in Italia.

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