LA RIFORMA HA INCOMINCIATO A DARE BUONI FRUTTI: DIAMOLE IL TEMPO DI ANDARE A REGIME ED EVITIAMO DI DARE L’IMMAGINE DI UN PAESE INDECISO A TUTTO
Intervista a cura di Giovanni Villino, pubblicata sul Giornale di Sicilia il 16 dicembre 2016 – In argomento v. anche la scheda tecnica sui tre quesiti referendari, che ho messo on line il giorno prima, e i miei due interventi precedenti sulla proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla Cgil in materia di lavoro: Non è più la Cgil dei Lama e dei Trentin, e Il codice semplificato del lavoro della Cgil
Qual è al momento lo stato di salute del governo Gentiloni?
In Parlamento mi sembra che sia partito bene: il nuovo premier ha trovato il registro giusto nel discorso alle Camere. Di più, ora, non credo che si possa dire.
Matteo Renzi ha messo uno stop ad ogni ipotesi di rivedere il Jobs Act, una legge che è stata una delle bandiere dei suoi mille giorni di governo. Quanto nei fatti questa sua linea potrà essere rispettata?
L’unica speranza che l’Italia – e il Mezzogiorno in particolare – ha di aumentare la domanda di lavoro, quindi l’occupazione, è data dall’afflusso di investimenti diretti esteri: se solo riuscissimo ad allinearci al livello di attrattività media degli altri paesi UE, avremmo un maggior flusso annuo di investimenti in entrata pari a cinquanta-sessanta miliardi, che vorrebbero dire molte centinaia di migliaia di posti di lavoro “buoni” in più ogni anno. Per questo non c’è altra strada che quella di continuare nella riduzione della pressione fiscale su lavoro e impresa, del costo dell’energia e dei tempi della giustizia, ma anche nell’allineamento del nostro diritto del lavoro rispetto a quello degli altri Paesi occidentali maggiori. Tornare indietro rispetto alla riforma del 2015 azzererebbe tutti i progressi che abbiamo fatto, su questo terreno, in questi anni.
Ma questa politica ha già prodotto qualche frutto tangibile?
Sì: negli ultimi due anni gli investimenti diretti esteri nel nostro Paese sono tornati ad aumentare in modo rilevante. Ma, soprattutto, nel biennio 2015-2016 in termini di flusso l’Inps indica circa 1.200.000 assunzioni in più rispetto al biennio precedente, di cui più di 800.000 a tempo indeterminato. In termini di stock, l’Istat indica quasi 700.000 posti di lavoro stabili in più rispetto a due anni fa. È la prima volta che la quota delle assunzioni a tempo indeterminato sul flusso totale ha ricominciato ad aumentare, dopo mezzo secolo in cui è andata scendendo continuamente, fino al 16 per cento del 2014.
È reale l’ipotesi del declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating nel caso in cui il Jobs Act venisse intaccato?
Forse non come conseguenza diretta, immediata. Ma indirettamente sì.
Quanto il referendum chiesto dalla Cgil – sul quale l’11 gennaio si pronuncerà la Corte Costituzionale -, può essere oggi determinante nelle scelte di Gentiloni?
In una transizione come quella che l’Italia ha incominciato a compiere, la cosa peggiore è esitare, rimanere in mezzo al guado. Ora siamo proprio in mezzo al fiume: se torniamo indietro, quando saremo al punto di partenza saremo molto più deboli e meno credibili di prima. La riforma del 2015 sta già incominciando a dare buoni frutti: diamole il tempo di andare a regime senza tornare indietro. A quel punto, fra due o tre anni, potremo valutare i risultati e fare delle messe a punto a ragion veduta. Metterle i bastoni tra le ruote a metà del guado è veramente la cosa peggiore che possiamo fare.
Da Renzi a Poletti, al di là di alcune smentite, si fa strada l’ipotesi di un voto anticipato. Nei fatti, quanto è probabile che si torni alle urne entro giugno?
Non ho la sfera di cristallo. Ma non può certo essere la “paura del referendum” a costituire il criterio per determinare il momento dello scioglimento delle Camere.
Centinaia di deputati e senatori di prima nomina vorrebbero arrivare a settembre per quei fatidici 4 anni, 6 mesi e 1 giorno che farebbero maturare il diritto all’indennità pensionistica. È pensabile che la legge elettorale divenga l’argomento su cui costruire il prolungamento di questa legislatura?
Se il criterio fosse quello, sarebbe ancora peggio. Mi auguro che non si rallentino affatto le cose urgenti e indispensabili da fare, in particolare la riforma elettorale, solo per allungare la legislatura. Semmai, riterrei giusto che si attribuisse a tutti i parlamentari, come abbiamo fatto con la legge di Bilancio 2017 per tutti i cittadini, il diritto di trasferire il proprio accantonamento contributivo in qualsiasi altra gestione pensionistica di loro appartenenza, in modo che esso non vada perduto. Ho presentato proprio ieri, insieme al senatore Buemi, una proposta di modifica del Regolamento del Senato in questo senso. Proprio per sgombrare il campo da questo vero e proprio conflitto di interessi.
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