ADEMPIMENTO DELLA DIRETTIVA EUROPEA CHE RIMUOVE GLI OSTACOLI ALLA MOBILITÀ IN INGRESSO DEI DIPENDENTI DI MULTINAZIONALI GIÀ INSEDIATE NEL TERRITORIO DELL’UNIONE
Relazione alla Commissione Lavoro del Senato svolta nella seduta pomeridiana del 19 ottobre 2016.
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Relazione di Pietro Ichino sullo Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva n. 2014/66/UE sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intra-societari (Atto del Governo n. 338/2016)
Lo schema di decreto al nostro esame ha per oggetto la materia immigrazione, che rientra pacificamente nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117 Cost., 2° comma, lett. b). Più precisamente, esso reca le disposizioni necessarie per il recepimento della direttiva 2014/66/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 sulle condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di Paesi terzi, occupati come dirigenti, lavoratori specializzati e lavoratori in formazione, nell’ambito di trasferimenti intra-societari: la cosiddetta direttiva ICT (Intercorporate transfers).
Va preliminarmente osservato che la direttiva in questione fissa come termine per il recepimento il 29 novembre 2016. È il caso di chiedersi perché lo Stato italiano debba quasi sempre ridursi agli ultimi giorni utili per l’adempimento dei propri obblighi nei confronti dell’Unione Europea e non sappia utilizzare in modo più razionale il tempo relativamente lungo di cui dispone. Per far le cose all’ultimo momento utile ci vuole lo stesso tempo che per farle con congruo anticipo; ma in genere, quando le si fa all’ultimo momento utile si finisce col farle meno bene, perché con l’affanno della scadenza imminente.
Passando al merito dell’affare assegnato, obiettivo della direttiva è di agevolare i trasferimenti intra-societari per i lavoratori non comunitari di società transnazionali con sedi al di fuori dell’Unione europea. Lo schema di provvedimento al nostro esame introduce dunque, in primo luogo, una disciplina particolare per l’ingresso e il soggiorno di lavoratori stranieri per trasferimenti intra-societari. Inoltre, provvede a disciplinare l’ipotesi di lavoratori già ammessi in un altro Stato dell’Unione europea per trasferimenti intra-societari e che successivamente vengono trasferiti dal datore di lavoro in Italia.
La normativa italiana prevede già disposizioni che agevolano la permanenza di lavoratori chiamati dal proprio datore di lavoro – operante nel territorio nazionale – a trasferirsi temporaneamente in Italia per svolgere funzioni o compiti specifici oppure per tirocinio (art. 27, comma 1, rispettivamente lett. f) e lett. g) del testo unico immigrazione, D.Lgs. n. 286/1998). A questi si applicano le previsioni contenute nel medesimo art. 27 destinate ai dirigenti, personale specializzato e lavoratori appartenenti a categorie particolari.
In proposito occorre ricordare che in Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro. In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, tra cui il decreto annuale sui flussi, che determina la quota di ingressi per lavoro subordinato e autonomo consentita nell’anno di riferimento.
Il TU immigrazione prevede, accanto a questa procedura ordinaria, la possibilità di assumere al di fuori delle quote fissate dal decreto flussi, e attraverso procedure semplificate, lavoratori appartenenti a specifiche categorie, tra cui: dirigenti; professori universitari; traduttori ed interpreti; artisti e personale artistico e tecnico per spettacoli; sportivi professionisti; giornalisti corrispondenti; infermieri professionali (art. 27).
Successivamente, in attuazione della normativa comunitaria, sono state introdotte agevolazioni specifiche in ordine all’ingresso e al soggiorno di alcune categorie di stranieri quali:
– volontari (art. 27-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 154/2007 recante attuazione della direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato);
– ricercatori (art. 27-ter introdotto dal D.Lgs. n. 17/2008 recante attuazione della direttiva 2005/71/CE relativa ad una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica);
– lavoratori altamente qualificati destinatari della c.d. Carta blu UE (art. 24-quater introdotto dal D.Lgs. n. 108/2012 recante attuazione della direttiva 2009/50/CE sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati).
Il provvedimento ora al nostro esame sottrae i lavoratori in possesso di permesso di soggiorno con la dicitura ICT alla normativa generale dei “fuori quota”, di cui al citato art. 27 TU, per dedicare loro una disciplina specifica che prevede requisiti, stabiliti dalla direttiva, quali una durata minima del rapporto di lavoro e il possesso di titoli di studio specifici per l’esercizio delle funzioni alle quali sono chiamati.
Si segnalano, per il particolare rilievo che assumono in questo contesto, le disposizioni che agevolano la possibilità per i lavoratori ICT di spostarsi per motivi di lavoro all’interno dell’Unione europea in virtù di un unico titolo abilitante rilasciato da uno Stato membro (la c.d. mobilità intracomunitaria).
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Nei considerando che costituiscono la premessa della direttiva oggetto di recepimento si evidenzia come la globalizzazione delle imprese, l’aumento degli scambi, la crescita e l’espansione dei gruppi multinazionali abbiano intensificato negli ultimi anni gli spostamenti di dirigenti, personale specializzato e dipendenti in tirocinio di succursali o filiali di società multinazionali, trasferiti temporaneamente per brevi incarichi in altre unità della società. Di conseguenza, viene in particolare evidenziato come la finalità dell’intervento sia quella di agevolare la mobilità dei lavoratori soggetti a trasferimento intra-societario all’interno dell’Unione («mobilità intra-unionale») e di ridurre gli oneri amministrativi associati alle missioni di lavoro in diversi Stati membri. A tal fine, si stabilisce un programma specifico di mobilità intra-unionale in base al quale il titolare di un permesso di trasferimento intra-societario valido rilasciato da uno Stato membro è autorizzato a entrare, soggiornare e lavorare in uno o più Stati membri conformemente alle disposizioni relative alla mobilità di breve e lunga durata previste dalla presente direttiva.
Tra gli scopi della direttiva vie è dunque quello di stabilire “una procedura trasparente e semplificata per l’ammissione di lavoratori nell’ambito di trasferimenti intra-societari, sulla base di definizioni comuni e di criteri armonizzati”.
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Lo schema è costituito da 5 articoli.
Ingresso e soggiorno per trasferimenti intra-societari
L’articolo 1 introduce due nuovi articoli nel testo del decreto legislativo n. 286/1998 (Testo Unico immigrazione): l’articolo 27-quinques, che disciplina l’ingresso e il soggiorno di lavoratori stranieri per trasferimenti intra-societari e l’articolo 27-sexies relativo alla particolare ipotesi di lavoratori già ammessi in un altro Stato dell’Unione Europea e che vengono successivamente trasferiti dal datore di lavoro in Italia.
Il nuovo articolo 27-quinques inserito nel TU consente ai lavoratori stranieri chiamati a svolgere prestazioni di lavoro subordinato nell’ambito di trasferimenti intra-societari l’ingresso e il soggiorno nel nostro Paese, per periodi superiori a tre mesi, al di fuori delle c.d. “quote d’ingresso” previste dall’art. 3, comma 4, del TU (comma 1).
Ambito di applicazione
Il medesimo comma 1 del nuovo art. 27-quinques individua il campo di applicazione soggettivo della nuova disciplina (art. 3 della direttiva) che riguarda le categorie seguenti.
I dirigenti (secondo quanto riportato nella relazione illustrativa non si è ritenuto necessario indicare una apposita definizione normativa della categoria di dirigente, presente invece nella direttiva, all’art. 3, lett. e), in quanto tale categoria è già prevista in linea generale dall’art. 2095 del codice civile e identificata in modo sufficientemente preciso dalla dottrina e dalla giurisprudenza in senso conforme a quello descritto dalla direttiva).
La direttiva qualifica come “dirigente”, la persona che ricopre una carica elevata preposta essenzialmente alla gestione dell’entità ospitante, principalmente sotto la supervisione generale o la guida del consiglio d’amministrazione o degli azionisti della società o dei loro equivalenti; tale carica include: la direzione dell’entità ospitante oppure di un dipartimento o di una sottodivisione della stessa; la supervisione e il controllo dell’attività degli altri dipendenti con mansioni ispettive, professionali o dirigenziali; l’autorità di proporre assunzioni, licenziamenti o altre iniziative inerenti al personale.
I lavoratori specializzati, la cui definizione coincide con quella di personale specializzato contenuta nella direttiva art. 3, lett. f)).
La direttiva qualifica il “personale specializzato”, una persona che lavora all’interno del gruppo di imprese ed è in possesso di conoscenze specialistiche indispensabili per il settore di attività, le tecniche o la gestione dell’entità ospitante.
I lavoratori in formazione, provvisti di diploma universitario (definiti dipendenti in tirocinio dall’art. 3, lett. g) della direttiva).
La direttiva qualifica il “dipendente in tirocinio” il titolare di un diploma universitario trasferito a un’entità ospitante ai fini dello sviluppo della carriera o dell’acquisizione di tecniche o metodi d’impresa e retribuito durante il trasferimento.
I commi 2 e 3 recano rispettivamente la definizione di trasferimento intra-societario (ossia il distacco temporaneo di un lavoratore residente al di fuori dell’Unione europea in una “entità ospitante” in Italia, di una impresa stabilità in un Paese terzo o di una impresa collegata ex art. 2359 c.c.) e di entità ospitante (ossia sede, filiale o rappresentanza italiana dell’impresa) così come stabilito dalla direttiva (art. 3, lett. b e d). Con il vincolo che il rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l’impresa duri da almeno 3 mesi (come stabilito dall’art. 5, § 1, lett. b della direttiva).
In negativo, la disciplina non trova applicazione (comma 4 che recepisce l’art. 2, § 2 della direttiva) nei confronti delle seguenti categorie di stranieri:
- ricercatori;
- lavoratori che beneficiano di diritti di libera circolazione analoghi a quelli previsti per i cittadini UE in virtù di specifici accordi tra l’Unione ed il Paese terzo di appartenenza;
- lavoratori distaccati di imprese stabilite in uno Stato membro dell’Unione, di cui alle direttive 96/71/CE e 2014/67/UE (quest’ultima recepita dal D.Lgs. n. 136/2016);
- lavoratori autonomi;
- coloro che svolgono lavoro somministrato (per la direttiva coloro che ricevono l’incarico di lavoro da terzi, come agenzie di collocamento);
- studenti a tempi pieno o tirocinanti nell’ambito di percorso di studio.
La durata massima del trasferimento è fissata in tre anni per dirigenti e lavoratori specializzati e di un anno per tirocinanti. È previsto un periodo di pausa pari a 3 mesi tra la fine della durata massima del trasferimento e la presentazione di una nuova domanda (comma 11).
Il comma 12 riconosce ai lavoratori ammessi in Italia nell’ambito di trasferimenti intra-societari una serie di diritti e benefici in ambito lavoristico.
In particolare, si prevede:
- la garanzia delle condizioni di lavoro e di occupazione previste dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 136/2016, in materia di distacco temporaneo di lavoratori (da parte del proprio datore di lavoro) in uno Stato membro diverso da quello in cui lavorano abitualmente;
- il riconoscimento di un trattamento uguale a quello riservato ai lavoratori italiani per quanto concerne la libertà di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni rappresentative dei lavoratori o dei datori di lavoro o a qualunque organizzazione professionale di categoria nonché per ciò che riguarda l’erogazione dei beni e servizi a disposizione del pubblico (ad esclusione dell’accesso ad un alloggio e dei servizi forniti dai centri per l’impiego);
- l’applicazione, in caso di mobilità intra unionale, del Regolamento (CE) n. 1231/2010, che ha esteso anche ai cittadini dei Paesi terzi non membri dell’UE le disposizioni di diritto europeo sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale.
Al riguardo, il recente D.Lgs. n. 136/2016, emanato in attuazione della Direttiva 2014/67/UE (la quale ha posto un complesso di misure e strumenti ai fini dell’applicazione della normativa europea sul distacco temporaneo di lavoratori, per prevenire e sanzionare elusioni, frode e violazioni in materia), provvede a sostituire ed integrare la precedente normativa in materia, disciplinata dal D.Lgs. n. 72/2000, che viene contestualmente abrogato.
L’articolo 4 del richiamato D.Lgs. n. 136/2016, concernente le condizioni di lavoro e di occupazione, stabilisce, in particolare, che al rapporto di lavoro tra le imprese che, nell’ambito di una prestazione di servizi, distacchino in Italia uno o più lavoratori in favore di un’altra impresa (anche appartenente allo stesso gruppo, o di un’altra unità produttiva o di un altro destinatari, a condizione che durante il periodo del distacco, continui a esistere un rapporto di lavoro con il lavoratore distaccato) ed alle imprese di cabotaggio, nonché ai lavoratori distaccati, trovino applicazione, durante il periodo del distacco, le medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste per i lavoratori che effettuino prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il distacco. Lo stesso articolo, altresì, precisa che le garanzie attinenti ad alcuni istituti lavoristici regolamentati dalla legge o dalla contrattazione collettiva (quali ferie, retribuzione minima, ecc.) non trovino applicazione in caso di specifici lavori (assemblaggio iniziale o di prima installazione di un bene, previsti in un contratto di fornitura di beni, indispensabili per mettere in funzione il bene fornito ed eseguiti dai lavoratori qualificati o specializzati dell’impresa di fornitura, quando la durata dei lavori, in relazione ai quali è stato disposto il distacco, non è superiore a 8 giorni, escluse le attività del settore edilizio specificamente individuate).
La norma infine, prevede specifiche disposizioni per particolari istituti. In particolare, si dispone:
- l’applicazione delle medesime condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori (a parità di mansioni svolte) a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore per i lavoratori in somministrazione, ai sensi dell’articolo 35, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015;
- l’applicazione dello specifico regime di responsabilità solidale tra committente imprenditore o datore di lavoro e l’appaltatore (nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori) entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto per quanto attiene la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi, comprese le quote di TFR, dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto (di cui all’articolo 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003);
- il riconoscimento del diritto degli ausiliari dell’appaltatore verso il committente a proporre azione diretta contro il committente per il conseguimento di quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore (ai sensi dell’articolo 1676 c.c.);
- per quanto attiene alla somministrazione di lavoro, il riconoscimento dell’obbligazione solidale tra utilizzatore e somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali, salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore (ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015);
- nel contratto di trasporto, il riconoscimento, nei casi di irregolarità retributive, previdenziali e assicurative emerse a carico del vettore e non controllate dal committente, dell’obbligazione solidale tra committente e vettore (nonché con ciascuno degli eventuali sub-vettori), entro il limite di un anno dalla cessazione del contratto di trasporto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi agli enti competenti (ai sensi dell’articolo 83-bis, commi da 4-bis a 4-sexies, del d.L. n. 112/2008).
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La materia della totalizzazione dei periodi contributivi per i cittadini dei Paesi terzi è già disciplinata dal Regolamento UE n. 1231/2010. Questo regolamento ha esteso le disposizioni dei Regolamenti (CE) n. 883/2004 e n. 987/2009 (i quali hanno aggiornato e semplificato le norme di coordinamento per le persone assicurate, nonché per gli organismi di sicurezza sociale, per agevolare il trattamento dei dati relativi ai diritti delle prestazioni delle persone assicurate e ridurre i corrispondenti costi amministrativi) ai cittadini di paesi terzi non membri dell’UE cui tali regolamenti non siano già applicabili unicamente a causa della nazionalità. In sostanza, con tale norma è riconosciuta la possibilità, ai cittadini di Paesi terzi che abbiano versato contributi assicurativi in diversi Paesi dell’UE, di totalizzare i periodi di assicurazione ai fini pensionistici, nonché di godere della parità di trattamento con i lavoratori nazionali anche nel campo delle prestazioni assistenziali non contributive.
Nulla osta al trasferimento intra-societario
I commi 5-9 e 13-15 del nuovo art. 27-quinques disciplinano le procedure relative alla richiesta e al rilascio del nulla osta al trasferimento intra-societario.
In particolare, la domanda di nulla osta deve essere inoltrata dal datore di lavoro (la direttiva lascia impregiudicata la scelta del soggetto abilitato alla presentazione della domanda che può essere indifferentemente il lavoratore, l’impresa, o entrambi, art. 11, § 1) di presentare allo sportello unico per l’immigrazione, istituito in ogni provincia presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo (UTG).
La domanda in questione deve contenere alcuni requisiti specifici a pena di rigetto della stessa (comma 5).
In primo luogo deve essere allegata la documentazione attestante:
- che l’entità ospitante e l’impresa stabilita nel paese terzo appartengono alla stessa impresa o allo stesso gruppo di imprese;
- che il lavoratore è stato dipendente dell’impresa per un periodo minimo di 3 mesi (la direttiva prevede un periodo minimo da 3 a 12 mesi) ininterrotti immediatamente precedenti la data del trasferimento.
Dal contratto di lavoro o (se necessaria) dalla lettera di incarico deve risultare:
- la durata del trasferimento e l’ubicazione dell’entità ospitante;
- che il lavoratore ricoprirà un posto di dirigente, di lavoratore specializzato o di lavoratore in formazione nell’entità ospitante;
- la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e di occupazione durante il trasferimento;
- che al termine del trasferimento intra-societario, lo straniero farà ritorno in un Paese terzo.
Deve essere inoltre comprovato:
- il possesso delle qualifiche, dell’esperienza professionale e del titolo di studio prescritti;
- il possesso da parte dello straniero dei requisiti previsti dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, nell’ipotesi di esercizio della professione regolamentata (il D.Lgs. n. 206/2007, di attuazione della direttiva 2005/36/CE, disciplina il riconoscimento, per l’accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio, delle qualifiche professionali già acquisite in uno Stato membri dell’Unione europea, che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente).
Sono, infine, da indicare:
- gli estremi di passaporto valido o documento equipollente dello straniero;
- per i lavoratori in formazione, il piano formativo individuale contenente la durata, gli obiettivi formativi e le condizioni di svolgimento della formazione (art. 5, § 6 della direttiva);
- l’impegno ad adempiere gli obblighi previdenziali e assistenziali previsti dalla normativa italiana, salvo che non vi siano specifici accordi di sicurezza sociale con il Paese di appartenenza (si ricorda in proposito che l’art. 34 del TU immigrazione prevede a carico di tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia l’obbligo di iscrizione al SSN e la piena equiparazione con i cittadini quanto all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata e alla sua validità temporale).
Inoltre, l’entità ospitante si impegna a comunicare allo sportello unico per l’immigrazione ogni variazione del rapporto di lavoro che incide sulle condizioni di ammissione di cui sopra (comma 6).
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La procedura per il rilascio del nulla osta è regolata, oltre che dal comma 5, dai commi 7, 8 e 9, e può essere così sintetizzata:
- l’entità ospitante presenta richiesta di nulla osta allo sportello unico immigrazione presso la prefettura;
- entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta l’entità ospitante trasmette la documentazione prescritta allo sportello unico;
- lo sportello procede alla verifica della regolarità, della completezza e dell’idoneità della documentazione;
- in caso di irregolarità sanabile della documentazione lo sportelo unico invita l’entità ospitante ad integrare la stessa;
- lo sportello unico per l’immigrazione acquisisce i pareri di competenza della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro per la verifica delle condizioni di cui al comma 5 (v. supra) e della questura per la verifica della insussistenza di motivi ostativi all’ingresso dello straniero (a norma dell’articolo 31, comma 1, del regolamento di attuazione);
- il procedimento si conclude entro il termine massimo di 45 giorni dalla presentazione della richiesta (la direttiva prevede un termine al massimo di 90 giorni, art. 15, § 1) con il rilascio o il rigetto del nulla osta;
- nel caso di esito favorevole, lo sportello unico adempie al compito di trasmettere telematicamente il nulla-osta e il codice fiscale dello straniero agli Uffici consolari per il rilascio del visto. II nulla osta ha validità per un periodo non superiore a sei mesi dalla data del rilascio.
Per il procedimento amministrativo del rilascio del nulla osta si fa rinvio alle modalità dettagliate, ove compatibili, indicate nel regolamento di attuazione del testo unico (DPR 394/1999) agli articoli 30-bis e 31.
Viene espressamente esclusa l’applicazione della disposizione del regolamento che prescrive l’indicazione sul contratto di soggiorno dell’eventuale trattenuta dalla retribuzione delle spese per alloggio (art. 30-bis, co. 4). Come si vedrà oltre (in riferimento al comma 24) il provvedimento in esame esclude l’obbligo di sottoscrizione del contratto di soggiorno tra datore di lavoro e lavoratore.
Il nulla osta ha la durata massima di 6 mesi dalla data di rilascio.
Il nulla osta può essere sostituito da una comunicazione presentata con modalità telematiche allo sportello unico per l’immigrazione dall’entità ospitante, qualora questa abbia sottoscritto con il Ministero dell’interno, sentito il Ministero del lavoro, un apposito protocollo di intesa con cui garantisca la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per il nulla osta (comma 13 e 14).
I casi di rifiuto e revoca del nulla osta – da parte dello sportello unico per l’immigrazione – ricorrono nelle seguenti ipotesi (comma 15):
- mancato rispetto delle condizioni di cui al comma 5;
- presentazione di documenti ottenuti mediante frode o falsificati o contraffatti;
- istituzione dell’entità ospitante principalmente allo scopo di agevolare l’ingresso dei lavoratori soggetti a trasferimento intra-societario;
- mancato rispetto da parte dell’entità ospitante degli obblighi in materia tributaria, di previdenza sociale, diritti dei lavoratori, condizioni di lavoro e di occupazione;
- l’entità ospitante è in corso di liquidazione, è stata liquidata o non svolge alcuna attività economica.
L’art. 5, § 8 della direttiva prevede la non ammissione dello straniero per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. Tale disposizione, non recepita nel provvedimento in esame, è prevista in via generale dall’art. 4, comma 3 TU.
A sua volta, il comma 17 (v. infra) elenca le cause di rifiuto del rilascio o di mancato rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno ICT (rilasciato dal questore), cause in parte coincidenti rispetto a quelle elencate al comma 15 che disciplina le ipotesi di rifiuto e revoca del nulla osta.
L’articolo 7 della direttiva prevede che gli Stati membri rifiutano una domanda di permesso di trasferimento intra-societario in uno dei seguenti casi:
- a) mancato rispetto dell’articolo 5;
- b) ove i documenti presentati siano stati ottenuti in maniera fraudolenta, ovvero siano stati falsificati o alterati;
- c) qualora l’entità ospitante sia stata istituita principalmente allo scopo di agevolare l’ingresso dei lavoratori soggetti a trasferimento intra-societario;
- d) ove sia stata raggiunta la durata massima del soggiorno definita nell’articolo 12, paragrafo 1.
Gli Stati membri, se del caso, rifiutano una domanda se il datore di lavoro oppure l’entità ospitante sono stati oggetto di sanzioni conformemente al diritto nazionale, per lavoro non dichiarato e/o occupazione illegale. Gli Stati membri possono rifiutare una domanda di permesso di trasferimento intra-societario in uno dei seguenti casi: se il datore di lavoro oppure l’entità ospitante non ha rispettato i propri obblighi giuridici in materia di sicurezza sociale, fiscalità, diritti dei lavoratori o condizioni di lavoro; se l’impresa del datore di lavoro o dell’entità ospitante è in corso di liquidazione o è stata liquidata conformemente al diritto nazionale in materia di insolvenza o se non viene svolta alcuna attività economica; se la finalità o l’effetto della presenza temporanea del lavoratore trasferito all’interno della società sia quello di interferire in vertenze o negoziati sindacali o comunque condizionarli. Gli Stati membri possono rifiutare una domanda di permesso per trasferimento intra-societario per i motivi di cui all’articolo 12, paragrafo 2. Fatto salvo il paragrafo 1, qualsiasi decisione di rifiutare una domanda tiene conto delle circostanze specifiche del caso e rispetta il principio di proporzionalità.
L’articolo 8 stabilisce che gli Stati membri revocano il permesso per trasferimento intra-societario in uno dei seguenti casi: a) se è stato ottenuto in maniera fraudolenta, ovvero falsificato o alterato; b) se il lavoratore trasferito all’interno della società soggiorna nello Stato membro interessato per fini diversi da quelli per i quali ha ottenuto l’autorizzazione a soggiornare; c) se l’entità ospitante è stata istituita principalmente allo scopo di agevolare l’ingresso dei lavoratori soggetti a trasferimento intra-societario. Gli Stati membri, se del caso, revocano il permesso per trasferimento intra-societario se il datore di lavoro oppure l’entità ospitante sono stati oggetto di sanzioni conformemente al diritto nazionale, per lavoro non dichiarato e/o occupazione illegale. Gli Stati membri rifiutano di rinnovare il permesso per trasferimento intra-societario in uno dei seguenti casi:
- a) se è stato ottenuto in maniera fraudolenta, ovvero falsificato o alterato;
- b) se il lavoratore trasferito all’interno della società soggiorna nello Stato membro interessato per fini diversi da quelli per i quali ha ottenuto l’autorizzazione a soggiornare;
- c) se l’entità ospitante è stata istituita principalmente allo scopo di agevolare l’ingresso dei lavoratori soggetti a trasferimento intra-societario;
- d) al raggiungimento della durata massima del soggiorno ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1.
Gli Stati membri, se del caso, rifiutano di rinnovare il permesso per trasferimento intra-societario se il datore di lavoro oppure l’entità ospitante sono stati oggetto di sanzioni conformemente al diritto nazionale, per lavoro non dichiarato e/o occupazione illegale. Gli Stati membri possono revocare o rifiutare di rinnovare il permesso per trasferimento intra-societario in uno dei seguenti casi: se non è o non è più rispettato l’articolo 5, se il datore di lavoro oppure l’entità ospitante non ha rispettato i propri obblighi giuridici in materia di sicurezza sociale, fiscalità, diritti dei lavoratori o condizioni di lavoro; se l’impresa del datore di lavoro o dell’entità ospitante è in corso di liquidazione o è stata liquidata conformemente al diritto nazionale in materia di insolvenza o se non viene svolta alcuna attività economica; se il lavoratore soggetto a trasferimento intra-societario non ha rispettato le norme in materia di mobilità di cui agli articoli 21 e 22. Fatti salvi i paragrafi 1 e 3, qualsiasi decisione di revocare o rifiutare di rinnovare un permesso per trasferimento intra-societario tiene conto delle circostanze specifiche del caso e rispetta il principio di proporzionalità.
Tale impostazione – e il rapporto tra il comma 15 e il comma 17 – andrebbe valutata alla luce della direttiva (articoli 7 e 8), che non distingue tra cause relative al nulla osta e cause attinenti al permesso di soggiorno, disciplinando unitariamente i casi di rifiuto e di revoca nonché di mancato rinnovo del permesso di trasferimento intra-societario.
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Permesso di soggiorno ICT
Una volta ottenuto il nulla osta lo straniero, entro 8 giorni dall’ingresso, presenta allo sportello unico per l’immigrazione che lo ha rilasciato, richiesta di permesso di soggiorno (comma 10).
Entro i successivi 45 giorni, il questore rilascia al lavoratore che ha ricevuto il nulla osta, un permesso di soggiorno per trasferimento societario, rubricato “ICT” con le medesime modalità e caratteristiche ordinarie di cui all’art., 5, comma 8 TU (comma 16).
Si ricorda che reca le caratteristiche tecniche dei permessi di soggiorno sono fissate dal decreto del Ministero dell’interno 23 luglio 2013, recante le regole di sicurezza relative al permesso di soggiorno, emanato in attuazione del Regolamento (CE) n. 1030/2002.
Il permesso di soggiorno ICT ha durata pari a quella del trasferimento infra-societario e può essere rinnovato, sempre nei limiti di durata massima di 3 anni per dirigenti e specializzati e di 1 anno per tirocinanti (di cui al comma 11), in caso di proroga del distacco temporaneo e previa verifica, da parte dello sportello unico per l’immigrazione dei presupposti della proroga (comma 19). Il rinnovo è consentito anche qualora lo straniero svolge attività lavorativa in altro Stato membro (comma 20). Sono causa di rifiuto del rilascio o di mancato rinnovo del permesso di soggiorni ICT, nonché causa di revoca (comma 17):
- l’ottenimento del permesso di soggiorno in modo fraudolento o la sua falsificazione o contraffazione;
- la mancata soddisfazione delle condizioni d’ingresso e di soggiorno previste dal TU immigrazione o il soggiorno per finalità diverse da quelle per le quali il lavoratore è stato autorizzato;
- la comminazione di sanzioni a carico dell’entità ospitante per lavoro non dichiarato o occupazione illegale;
- l’istituzione dell’entità ospitante principalmente allo scopo di agevolare l’ingresso dei lavoratori soggetti a trasferimento intra-societario;
- il raggiungimento della durata massima del trasferimento intra-societario (tre anni).
Come anticipato, peraltro, la direttiva non prevede cause ostative specifiche per il rilascio del permesso di soggiorno (disciplinato dall’art. 13), in quanto quelle di cui all’art. 7 e 8 sembrano piuttosto riferibili al rilascio del nulla osta.
A norma del comma 18 la revoca del permesso di soggiorno (e non anche il rigetto o il rifiuto del rinnovo è comunicato per iscritto sia al lavoratore, sia all’entità ospitante.
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Ricongiungimento familiare, familiari al seguito e riammissione
Il titolare del permesso di soggiorno ICT ha diritto al ricongiungimento familiare alle stesse condizioni previste dall’art. 29 TU, con la differenza che tale diritto è consentito a prescindere dalla durata del permesso di soggiorno (comma 21), analogamente a quanto previsto anche per i titolari della Carta blu UE (art. 27-quater, comma 16, TU); infatti l’articolo 28 TU richiede, in tutti gli altri casi, la titolarità di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Permangono le altre condizioni prescritte dal citato art. 29 (disponibilità di un alloggio adeguato, reddito minimo ecc.).
Non viene previsto espressamente quanto stabilito dall’art. 19, § 4, della direttiva che dispone il rilascio del permesso di soggiorno per i familiari entro 90 giorni dalla richiesta. Pertanto, sembra applicarsi la disposizione più favorevole (entro 60 giorni) prevista in via generale per il rilascio di tutti i tipi di permesso di soggiorno (art. 5, co. 9 TU).
È previsto, inoltre, come del resto in via ordinaria (art. 29, comma 4 TU), l’ingresso del familiare al seguito del lavoratore. In questo caso, viene specificato che la richiesta deve essere presentata allo sportello unico immigrazione insieme a quella per il nulla osta e come questa deve essere definita entro 45 giorni (comma 22).
Si prevede inoltre (comma 23) che lo straniero titolare di un permesso ICT sia riammesso nel territorio nazionale su richiesta di un altro Stato membro UE qualora questo si opponga alla possibilità che il medesimo lavoratore soggiorni e lavori nel proprio Stato membro per periodi inferiori (mobilità di breve durata) o superiori a novanta giorni (mobilità di lunga durata).
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Disposizioni di rinvio e sanzioni
Il comma 24, reca una disposizione di chiusura che prevede l’applicazione agli stranieri impiegati nell’ambito di trasferimenti infra societari, ove compatibili, delle stesse disposizioni generali sul rapporto di lavoro a tempo subordinato valide per gli stranieri (art. 22 TU). Viene espressamente escluso l’obbligo di sottoscrizione del contratto di soggiorno tra datore di lavoro e lavoratore (art. 22, comma 6, TU).
Per quanto riguarda le sanzioni, in caso ipotesi di impiego di lavoratori in assenza dì permesso di soggiorno ICT o per le ipotesi in cui il permesso, benché rilasciato, sia successivamente scaduto, revocato o annullato e non ne sia stato richiesto nei termini il rinnovo, il comma 25 prevede l’applicazione delle stesse sanzioni previste in via generale dall’art. 22 TU per i datori di lavoro che impiegano stranieri privi di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, ed in particolare: il comma 12 che dispone la reclusione da sei mesi a tre anni e multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato; le aggravanti di cui al comma 12-bis in caso di più di tre occupati, di lavoro minorile o di sfruttamento e il comma 12-ter, recante la sanzione accessoria del pagamento delle spese di rimpatrio. Inoltre, viene prevista anche l’applicazione della disposizione secondo la quale al lavoratore che denuncia lo sfruttamento è rilasciato un permesso di soggiorno specifico (commi 12-quater e 12- quinques).
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Titolari di permesso di soggiorno ICT rilasciato da altro Paese UE
L’articolo 27-sexies ha per oggetto la mobilità tra Paesi membri dei lavoratori stranieri interessati a trasferimenti intra societari, disciplinando l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale di lavoratori già titolari di un permesso ICT rilasciato da una altro Stato membro.
Per costoro, in primo luogo, è prevista l’esenzione dal visto di ingresso (comma 3). Le procedure di ingresso sono differenziate a seconda della durata del soggiorno:
- per periodi inferiori a 90 giorni (nell’arco temporale di 180 giorni) è sufficiente la presentazione della “dichiarazione di presenza” al questore (art. 5, comma 7 TU) alla quale sono tenuti in via generale tutti gli stranieri con permesso di soggiorno rilasciato da altro Paese UE (comma 1);
- per le richieste di mobilità di lunga durata, superiore ai 90 giorni, la direttiva lascia agli Stati membri la facoltà di adottare la stessa procedura semplificata per i periodi inferiori (che richiede la sola dichiarazione di presenza) oppure la procedura per i lavoratori che fanno in Italia il loro primo ingresso nell’UE. Il legislatore delegato (comma 2) ha optato per questa seconda ipotesi stabilendo la necessità di richiedere il nulla osta che, anche in questo caso, può essere sostituito dalla comunicazione resa allo sportello unico dalle imprese che hanno sottoscritto apposite convenzioni con il Ministero dell’interno (comma 7).
Le procedure e le modalità di rilascio del nulla osta per la mobilità lunga sono sostanzialmente analoghe a quelle di cui all’articolo 27-quinquies (comma 4), con la differenza che non è richiesta la dimostrazione del periodo minimo di 3 mesi di impiego del lavoratore nell’impresa e del possesso delle qualifiche professionali e (per i tirocinanti) del piano formativo.
Anche le cause di rifiuto o revoca del nulla osta sono analoghe (comma 8).
Con riferimento agli stranieri in possesso di permesso di soggiorno ICT rilasciato da altro Stato membro, si ricorda peraltro che l’art. 22, § 3 della direttiva individua casi tassativi in cui gli Stati membri possono rifiutare una domanda di mobilità di lunga durata, alla luce dei quali andrebbero valutate le cause di rifiuto o di revoca previste dall’art. 27-sexies.
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Agli stranieri in “mobilità lunga” è rilasciato un apposito permesso di soggiorno rubricato “mobile ICT” (comma 9).
Nelle more del rilascio del nulla osta e del permesso di soggiorno, il permesso di soggiorno valido rilasciato da altro Stato membro da titolo allo svolgimento dell’attività lavorativa (comma 11).
Ai lavoratori in possesso di permesso di soggiorno mobile ICT si applicano le medesime disposizioni previste per i titolari di permesso ICT in materia di ricongiungimento familiare, condizioni di lavoro, sanzioni.
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Disposizioni finali
L’articolo 2 individua nel Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, l’autorità interna con le funzioni di punto di contatto con gli altri Paesi dell’Unione per lo scambio di informazioni e documentazione ai fini dell’applicazione delle disposizioni introdotte nel presente provvedimento.
L’articolo 3 dello schema di decreto in esame reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che i soggetti pubblici interessati all’attuazione del presente decreto debbano provvedere agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
L’articolo 4 prevede alcune disposizioni abrogative sia del TU, sia del regolamento di attuazione,
finalizzate ad eliminare il riferimento ai lavoratori distaccati contenuto attualmente nella disciplina generale relativa ai c.d. “fuori quota” (art. 27 TU, art. 40 regolamento).
L’articolo 5 dispone in ordine alla entrata in vigore del decreto, fissata al giorno successivo della sua pubblicazione.
Roma, 18 ottobre 2016
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