SE SI AFFERMA RIPETUTAMENTE E CONVINTAMENTE UN PROGETTO, UNA LINEA D’AZIONE, POI SI SOSTIENE L’ESATTO CONTRARIO, È DOVEROSO DAR CONTO DEI MOTIVI PER CUI SI È CAMBIATO IDEA (A PROPOSITO DELLE POSIZIONI DI UN LEADER DEL FRONTE DEL “NO”)
Articolo di Carlo Fusaro, professore di diritto costituzionale nell’Università di Firenze, pubblicato sui quotidiani Trentino, Tirreno, e gli altri quotidiani del Gruppo L’Espresso l’11 ottobre 2016 .
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Sedicesima legislatura, ultima fase. Berlusconi si è dovuto dimettere, e da novembre 2011 Mario Monti somministra all’Italia la sua inevitabile cura da cavalli, imposta dallo spread a 550 punti lasciato in eredità dal Cavaliere. Mentre il governo dei tecnici (tutti non parlamentari) cerca di mettere una toppa a suon di decreti alla situazione economico-finanziaria, i partiti della larghissima maggioranza di grande coalizione che lo sorregge sono impegnati (in teoria), in Parlamento, sul tema delle riforme.
Il leader di uno dei maggiori partiti dichiara (10 luglio 2012): «abbiamo la nostra proposta… ma siamo disposti a ragionare su altre soluzioni purché garantiscano che la sera delle elezioni si sappia chi governa»; quattro giorni dopo: «i cittadini la sera delle elezioni devono saper chi governa e quindi chiediamo un credibile premio di governabilità» (14 luglio); «…non si può passare dal porcellum… ad una legge in cui la sera del voto non si sa chi governa perché sarebbe uno tsunami per l’Italia» (2 agosto); «la sera delle elezioni si deve capire chi governa, altrimenti sarebbe la palude…» (14 settembre); «noi siamo flessibili ma bisogna capire la sera delle elezioni chi governa» (3 ottobre); «sulla legge elettorale abbiamo le nostre cose da dire… Su un punto però ci fermiamo: quella sera il mondo deve capire che può esserci un governo in Italia… Non lo diciamo per il Pd, ma prima di tutto per l’Italia».
Il lettore scuserà questa ripetitività, del resto tipica delle grandi campagne politiche quando un leader insiste su un punto a martello, ripetendolo un giorno sì e l’altro pure.
Ma il bello è che l’autore di queste insistite dichiarazioni è… nessun altri che l’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani; ora Pier Luigi Bersani è lo stesso leader della minoranza Pd che in un’intervista di domenica scorsa, senza neanche aspettare la direzione Pd convocata da tempo per il lunedì successivo, ha sostanzialmente annunciato il suo ‘no’ al referendum costituzionale… a causa di una legge elettorale colpevole – secondo il Bersani 2016 – di fare esattamente quello che invocava il Bersani 2012.
Ora io capisco che in politica muta il contesto e mutano di conseguenze anche certe posizioni: ma a tutto dovrebbe esserci un limite. Come si può a distanza di poco tempo far diventare una sorta di condizione irrinunciabile (che la legge elettorale garantisca di sapere la sera delle elezioni chi governerà) in un male da evitare a tutti i costi, al punto da schierarsi contro il proprio partito nella battaglia più decisiva della sua storia? Come si fa a lamentare che la legge che traduce puntualmente il proprio programma, possa mai essere diventata – con un nuovo segretario – la sentina di tutti i mali, tale da far temere che… «si vada verso un governo del capo, che nomina sostanzialmente un Parlamento che decide tutto, anche con il 25% dei voti». Peggio: «in tutta Europa si cercano sistemi in grado di rappresentare quel magma che c’è, e noi ci inventiamo il governo del capo? C’è da farsi il segno della croce».
È fin troppo evidente che Bersani e quelli che lo affiancano cercano una prova di forza contro l’attuale maggioranza del Pd utilizzando la scusa della legge elettorale per dire ‘no’ al referendum, e il referendum per mettere in crisi, con la sconfitta del ‘sì’ che sperano di favorire, chi guida il proprio partito, in assoluto spregio dei contenuti di una riforma costituzionale che, coi sui difetti, persegue puntualmente obiettivi che il sistema politico istituzionale si è dato da qualche decennio: per di più in un momento storico in cui un paese fragile e alla mercé dei mercati avrebbe bisogno di coesione e di massima efficienza per realizzare quelle riforme strutturali che solo un sistema delle decisioni collettive ammodernato può rendere possibili.
C’è solo da sperare che questo disegno fallisca. Certo, la coerenza non è mai stata la miglior dote di certi politici: ma pensavo sinceramente che solo il senatore Renato Schifani potesse vantarsi di guidare un Comitato del no (quello di Forza Italia) dopo aver votato per tre volte tre la riforma cui ora si oppone; e in fondo mi spiace che vi si unisca Pier Luigi Bersani, figura di altro stampo, che si accinge a fare esattamente la stessa cosa: e solo per far la guerra al suo segretario.
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