LA PREVISIONE DI CRESCITA DEL PIL NEL PROSSIMO ANNO NON È L’AFFERMAZIONE DI UN FATTO, CHE PUÒ ESSERE VERA O FALSA: È L’ENUNCIAZIONE DI UN OBIETTIVO CHE IL GOVERNO RITIENE CONSEGUIBILE – SE LO SIA O NO, AVRÀ SENSO DISCUTERE SOLO QUANDO SAPREMO QUALI MISURE SONO CONTENUTE NEL D.D.L. DI STABILITÀ
Intervento svolto dal senatore Giorgio Tonini, presidente della Commissione Bilancio, in sede di dichiarazione di voto per il Gruppo PD sul rendiconto 2015 e l’assestamento di bilancio del 2016, nel corso della seduta antimeridiana del Senato del 5 ottobre 2016
.
.
TONINI (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TONINI (PD). Signora Presidente, i senatori del Partito Democratico voteranno a favore sia del Rendiconto del 2015 che all’Assestamento del 2016 e lo faremo perché riteniamo che i dati confermino la correttezza di una linea di politica economica e sociale perseguita in questi anni.
Secondo l’ISTAT proprio tra il 2014 e il 2015 si è, infatti, invertito il dato sulla crescita, passando da una fase di recessione a una di crescita (sia pur molto moderata) e anche l’occupazione è tornata a vedere il segno positivo; nello stesso tempo, siamo riusciti a tenere sotto controllo la spesa e a invertire la tendenza anche sulla pressione fiscale. Questi sono i dati sintetici. Abbiamo fatto tutto ciò in una condizione molto difficile, che a me piace paragonare al cammino di un montanaro su un crinale molto sottile e scivoloso, rispetto al quale a destra c’è il precipizio della recessione e a sinistra quello del default, della crisi del debito, dell’insolvenza dello Stato. Noi dobbiamo camminare su questo crinale molto stretto e molto difficile.
Onestamente in quest’Aula, al di là di tante piccole critiche di merito, sulle quali tornerò e che hanno tutto il diritto di essere prese in seria considerazione, dal punto di vista della strategia generale ho sentito solo qualche invito a buttarsi in un precipizio oppure nell’altro. C’è una parte che dice che dobbiamo andare più velocemente, senza porre indugio verso l’obiettivo di medio termine, cioè verso il pareggio nominale di bilancio, costi quel che costi. Noi sappiamo che, in un contesto internazionale come quello che stiamo vivendo, una politica economica che accelerasse il percorso verso il pareggio di bilancio, quindi azzerando il deficit e portandoci più rapidamente in una prospettiva di riduzione del debito, avrebbe effetti recessivi immediati. Ciò è di indubbia evidenza e, quindi, equivarrebbe a dire: buttiamoci in quel precipizio. Dall’altra parte, ho sentito qualcuno sostenere l’ipotesi opposta: chi se ne importa dei parametri europei, delle regole, dell’obiettivo di medio termine; il pareggio di bilancio strutturale è un feticcio, sfondiamo il 3 per cento come fanno altri Paesi e vedremo che la crescita riprende. Questo è l’invito a buttarsi nel precipizio opposto, cioè a tornare a rendere inaffidabile il nostro Paese sui mercati (e sappiamo che ogni anno dobbiamo vendere centinaia di miliardi di debito), e quindi ciò significherebbe tornare con lo spread al 5 per cento, dove ci siamo trovati all’inizio di questa vicenda, in una situazione finanziaria drammatica che poi metterebbe rapidamente in discussione qualunque obiettivo di crescita. A mio avviso, dobbiamo invece camminare su questo crinale, seguendo questa strada con pazienza e tenacia.
Certo, tutti noi vorremmo, a cominciare dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene, che essa venisse percorsa con più agilità e rapidità. Vorremmo rapidamente che i segni «+» buoni e i segni «-» buoni (per segni «+» buoni si intendono più crescita e occupazione e per i segni «-», altrettanto buoni, si intendono meno pressione fiscale e meno spesa, in particolare quella meno produttiva) avessero accanto non più uno “zerovirgola”, ma un bel punto rotondo, come un 1 o un 2.
Arrivare a questo obiettivo, che è poi il senso del nostro lavoro, comporta due condizioni, la prima delle quali è nelle nostre mani solo fino ad un certo punto. Entro certi limiti, però, è anch’essa entro le nostre mani: dobbiamo infatti cambiare segno alla politica economica europea. Questo è un percorso sul quale il Governo italiano è fortemente impegnato: abbiamo infatti bisogno che, accanto al lavoro di risanamento, che è necessario venga fatto dagli Stati nazionali, e che quindi accanto al fiscal compact (che non rinneghiamo, perché costituisce un principio d’ordine necessario in una federazione di Stati, che mantengono ancora una forte sovranità sulle politiche economiche e nello stesso tempo vogliono avere in tasca la stessa moneta), accanto a questo elemento di disciplina ci sia un motore espansivo che si accenda a livello federale.
Quando il nostro Presidente del Consiglio invita a fare come in America, intende esattamente questo. Negli Stati Uniti d’America gli Stati che compongono l’Unione hanno il dovere del pareggio di bilancio: se non hanno il bilancio in pareggio vanno in default e nessuno li assiste. Allo stesso tempo, però, c’è il motore federale che si accende e c’è un’enorme spinta alla crescita, dovuta al fatto che l’azione del Governo federale e il Tesoro americano favoriscono la crescita. Questo è il compromesso su cui si reggono gli Stati Uniti, che certamente ha i suoi problemi e i suoi limiti, ma i dati ci dicono che, pur con tutti i suoi problemi, sta funzionando molto meglio del compromesso europeo, che spinge gli Stati a rispettare il rigore di bilancio, ma poi non ha il motore federale che si accende. É quindi stata inventata la flessibilità, che è quella che ci tiene in vita in questo momento.
Ho ascoltato, come sempre con attenzione, le parole del senatore Azzollini: se ci togliamo questo ossigeno, soffochiamo. Altro è dire che questo ossigeno, quel poco che c’è, va usato in maniera intelligente. Qui le parole chiave sono due: una è la parola «riforme», l’altra è la parola «investimenti».
Le riforme sono necessarie, perché sono gli scarponi che usiamo per camminare su quel crinale così sottile e scivoloso. Se indossiamo scarpe con le suole lisce, è facile scivolare e precipitare; se abbiamo i ramponi, è più facile camminare con passo sicuro e possiamo anche accelerare il ritmo del nostro passo. Fuor di metafora vuol dire che gli 800 miliardi di euro di spesa pubblica devono essere riqualificati, posto che non possono crescere, ma semmai devono diminuire un po’. Per farli diminuire un po’ e produrre crescita e uguaglianza sociale, li dobbiamo riqualificare, ristrutturando la spesa pubblica, attraverso le riforme, cominciando dall’alto, ovvero dal Parlamento. Se infatti il Parlamento non funziona, non funziona lo Stato e, se non funziona lo Stato, l’economia va a farsi benedire. (Applausi dal Gruppo PD).
Questo è un concetto di normale buon senso. Poi possiamo discutere sul merito di come si organizzano il Parlamento, il Governo di un Paese e lo Stato. Dire però che questo sarebbe un diversivo non ha senso, perché sarebbe come dire: chi se ne frega degli scarponi che indossiamo mentre stiamo camminando su quel crinale, avendo due precipizi, uno alla destra e l’altro alla sinistra.
Altra cosa sono gli investimenti e raccolgo tutte le provocazioni che sono state fatte su questo argomento. Parliamo allora di attualità, così introduciamo la discussione sul punto successivo, ovvero sulla Nota di aggiornamento al DEF. Che cosa ci hanno detto l’altro ieri gli auditi in sede di Commissioni bilancio congiunte di Camera e Senato? Il rappresentante della Banca d’Italia ci ha detto che l’obiettivo dell’uno per cento è ambizioso: non ha detto che non è realistico, ma ha detto che è ambizioso.
Quando un deputato dell’opposizione gli ha chiesto in termini più stringenti se ciò significasse che l’obiettivo non è raggiungibile, il dottor Signorini ha risposto che, se avesse voluto usare un altro aggettivo, lo avrebbe fatto, mentre ha scelto di usare l’aggettivo «ambizioso». Il rappresentante dell’Ufficio parlamentare di bilancio a sua volta ha detto che, senza conoscere il contenuto della manovra, non può validare l’obiettivo di crescita dell’1 per cento. Questo è quanto ha detto l’UPB. Ieri il Ministro ha risposto che, quando conosceremo il contenuto della manovra, vedremo che l’1 per cento è un obiettivo realistico. Ci troviamo in questo stato, quindi.
Personalmente penso che intanto noi tutti dobbiamo essere contenti del fatto che si è aperta una discussione di merito a partire da dati certi. Questo è il merito principale di aver costituito l’Ufficio parlamentare di bilancio. Mi fa piacere che oggi l’Assemblea, e in particolare le opposizioni, plaudano a scena aperta al fatto che abbiamo finalmente un’autorità indipendente che certifica il bilancio. Ebbene, questo è quello che abbiamo voluto quando abbiamo varato il nuovo articolo 81 della Costituzione: avere un’autorità indipendente che certifichi il bilancio e che introduca un elemento di dialettica concreta, realistica e non ideologica nel nostro confronto.
Il problema, adesso, è che possiamo chiudere la contraddizione in due modi, e concludo, signora Presidente. Il primo è quello che ci ha chiesto ieri in sede di audizioni l’onorevole Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, ovvero abbassare gli obiettivi di crescita. Ma vi sembra che possiamo dire al Paese: «Cari italiani, sapete che c’è di nuovo? Noi tutti, maggioranza e opposizione, abbassiamo gli obiettivi di crescita; cioè, programmaticamente vogliamo crescere meno dell’1 per cento».
L’altra strada per chiudere la contraddizione è dire che dobbiamo fare una manovra che renda realistico l’obiettivo dell’1 per cento. La scommessa sulla quale il Governo si spende – e la maggioranza con lui – è che noi renderemo realistico questo obiettivo. Faremo crescita e faremo occupazione dentro il quadro di competitività europeo. (Applausi dal Gruppo PD).
.