SE GLI UNDICI MOTIVI PIÙ ROBUSTI SELEZIONATI DA UN GRUPPO DI VALENTI GIURISTI CONTRO LA RIFORMA COSTITUZIONALE SONO QUESTI, VUOL DIRE CHE QUANDO SI ENTRA NEL MERITO DEI CONTENUTI, I FAUTORI DEL NO SONO DAVVERO IN DIFFICOLTÀ
Documento firmato da 69 avvocati triestini pubblicato il 6 ottobre 2016 – In relazione a ciascun punto del documento ho inserito una brevissima replica, evidenziata da carattere corsivo, colore blu e paragrafo rientrato .
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I sottoscritti avvocati del Foro di Trieste, in relazione al prossimo referendum avente oggetto la riforma della Carta costituzionale approvata dal Parlamento, ritengono loro dovere civico di rendere edotti i cittadini delle motivazioni, che di seguito si enumerano, per le quali intendono votare “NO” al referendum in questione. Un tanto, accantonando con il massimo rigore le personali simpatie politiche, che tra i sottoscrittori sono le più varie, ma rimanendo strettamente ancorati ad una mera valutazione tecnico-giuridica, formulata sulla scorta della rispettiva formazione culturale e sulla comune consapevolezza della funzione pubblica e sociale della professione forense.
1. La c.d. “Riforma Boschi” è una legge dal contenuto disomogeneo che sottende a tre complesse questioni di rilevanza costituzionale e che comprendono la modifica di ben 40 articoli della Carta che trattano di temi del tutto dissimili. A fronte di tale complessa articolazione l’elettore sarà chiamato ad esprimersi con un semplicistico SI o un NO, con palese violazione sia della sovranità popolare (art. 1, comma II, Cost.) e sia della libertà di voto (art. 48 Cost.).
Se è per quello, gli articoli toccati dalla riforma sono 45. Ma di questi una parte consistente viene modificata solo per un coordinamento tecnico-formale in relazione alla nuova ripartizione dei compiti delle due Camere. Quanto alle “tre complesse questioni” che la riforma intende risolvere, esse sono strettamente legate tra loro da un intendimento politico-costituzionale unitario: quello di rendere più stabile il governo e più semplice e più veloce il processo decisionale. Al termine di ciascuna delle sei letture parlamentari, questo complesso di modifiche della Carta è stato approvato da Camera e Senato con un “sì” unitario sull’intera legge. Ora tocca agli elettori compiere (o rifiutare) lo stesso atto. Questo prevede l’articolo 138 della Costituzione, che rimane invariato e che è stato rigorosamente rispettato.
2. La c.d. “Riforma Boschi” è frutto di un’iniziativa governativa e non di iniziativa parlamentare come invece avrebbe dovuto essere secondo il nostro sistema costituzionale e secondo gli insegnamenti dei nostri padri costituenti, giacché la Costituzione rappresenta la legge fondamentale dello Stato e non un atto di parte, ovvero solo di quelle parti che appoggiano un governo. Tale “tecnica” legislativa ha di fatto abbassato l’approvazione della riforma della Costituzione al livello dell’iter di una legge ordinaria, dove oggi prevalgono interessi di parte e (purtroppo) strafalcioni letterali e giuridici che rendono i testi normativi di difficile e controversa lettura anche per i tecnici del diritto.
I firmatari di questo documento dimenticano che, prima del 2014, negli ultimi quarant’anni il Parlamento italiano si era cimentato per almeno otto volte su questa riforma, senza cavare un ragno dal buco. Constatato questo insuccesso, per superare una situazione di paralisi istituzionale gravissima sfociata nella rielezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica e in un suo appello drammatico nel discorso di insediamento, nel 2013 il Governo Letta e nel 2014 il Governo Renzi hanno posto la riforma stessa al centro del programma sul quale hanno chiesto e ottenuto la fiducia del Parlamento. E lo hanno fatto entrambi cercando in tutti i modi di coinvolgere nella elaborazione e approvazione della riforma anche la parte più ampia possibile dell’opposizione (con quello che i giornali hanno battezzato come “il patto del Nazareno” con Forza Italia). Non è comunque la prima volta, nella storia della Repubblica, anzi è quasi sempre avvenuto che fosse il Governo ad assumere l’iniziativa legislativa delle modifiche della Costituzione, via via che esse si sono rese necessarie.
3. La c.d. “Riforma Boschi” (approvata dalla Camera con 361 voti su 630!) è stata decisa da un Parlamento sul quale pesano fondati dubbi di legittimazione, a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale, n. 1 dd. 13 gennaio 2014 con la quale è stata cassata la legge elettorale previgente (c.d. Porcellum) e cioè con parlamentari “nominati”, insicuri di essere rieletti e perciò esposti ad abituali cambi di casacca (in questo stralcio di legislatura i passaggi da un gruppo parlamentare all’altro sono stati 325 tra Camera e Senato per un totale di 246 parlamentari).
A) 361 voti costituiscono il 57,3 per cento dei voti degli aventi diritto; la Costituzione ne richiederebbe, per la validità dell’atto legislativo, il 50 per cento più uno; dove sta dunque l’irregolarità? B) La stessa sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014 ha chiarito non soltanto la piena legittimazione del Parlamento in carica (non avendo l’abrogazione parziale della legge elettorale effetti giuridici retroattivi), ma anche – richiamando sentenze precedenti della medesima Corte in questo senso – il preciso dovere del Parlamento stesso, nella sua attuale composizione, di provvedere agli adeguamenti necessari del sistema istituzionale.
4. La c.d. “Riforma Boschi” viola il diritto di elettorato attivo come forma di esercizio della sovranità popolare (art. 1, comma 2, Costituzione), giacché la Costituzione garantisce l’elettività diretta delle assemblee legislative, e non prevede affatto l’interposizione di elezioni di secondo grado e/o indirette come disposte dalla riforma tramite i c.d. “grandi elettori regionali”. Per tacere del fatto che la nomina a senatore dei sindaci (sulla quale la riforma nulla dice) collide con il principio di ragionevolezza, posto che non è dato di capire come sia possibile adempiere con “disciplina ed onore” (Cost. art. 54) alle due assorbenti funzioni in contemporanea.
A) La norma costituzionale che prevede l’elezione a suffragio universale di entrambe le Camere è proprio una di quelle che vengono modificate: checchè ne pensino gli avvocati firmatari del documento, è evidente dunque che essa non può essere invocata per invalidare la norma che la sostituisce. B) Gli stessi firmatari dimenticano che già oggi i rappresentanti delle Regioni vengono a Roma almeno un paio di volte al mese per una sessione della Conferenza Stato-Regioni: organo sostanzialmente costituzionale ma non previsto dalla vecchia Costituzione, istituito nel 1988 per l’indispensabile coordinamento tra attività legislativa e amministrativa delle Regioni con quella del Governo centrale. Con la riforma, questo funzione di coordinamento verrà svolta dal Senato per la parte legislativa, con maggiori garanzie di chiarezza istituzionale e di trasparenza. E ovviamente con sessioni di lavoro compatibili con gli impegni dei senatori nelle regioni d’origine: si riunirà probabilmente per sessioni di alcuni giorni all’incirca ogni due settimane, comunque non certo in modo permanente come il Senato (dovendo duplicare l’intero lavoro della Camera dei Deputati) fa oggi.
5. La c.d. “riforma Boschi”, in nome di una pretesa semplificazione dell’iter legislativo, aumenta i procedimenti legislativi di approvazione delle leggi dagli attuali tre (procedimento normale, conversione decreti legge, procedimento di riforma costituzionale) in otto (cfr. artt. 70, 71, 72, 73, e 77 Cost.) con conseguente fondato rischi di complicare in pejus la tempistica dei provvedimenti.
Non è così: i procedimenti legislativi previsti sono due e solo due. Per uno dei due – quello applicabile alla grande maggioranza delle leggi – il procedimento si semplifica drasticamente: la legge sarà approvata dalla sola Camera dei Deputati, con riesame da parte della stessa Camera nel solo caso in cui il Senato ritenga, entro un termine molto ridotto, di segnalare errori o necessità di integrazioni. L’altro procedimento – applicabile soltanto alle leggi costituzionali, a quelle riguardanti le autonomie locali, a quelle riguardanti la ratifica di trattati internazionali e l’attuazione di direttive europee, e a poche altre – resta sostanzialmente identico all’attuale. Determina soltanto uno sveltimento del primo procedimento la possibilità che viene data al Governo – per consentire una riduzione dratstica dei casi in cui viene posta la fiducia – di chiedere alla Camera di decidere entro un termine breve, che non potrà comunque essere inferiore a 70 giorni. Viene, per converso, regolato in modo più restrittivo il ricorso del Governo al decreto-legge. Se consideriamo l’insieme delle leggi approvate dal Parlamento in questa legislatura, il 95 per cento di esse rientra pacificamente nella categoria cui si applicherà il procedmento ordinario, mentre solo il 5 per cento rientra nella categoria per la quale sarà richiesta anche l’approvazione del Senato. Se poi si vuole confrontare il nuovo regime con quello oggi vigente, non si può ignorare che anche i procedimenti legislativi attuali conoscono numerose varianti (v. in proposito il paragrafo “Le fonti specializzate” nel manuale di diritto costituzionale A. Barbera-C.Fusaro, 2015, pp. 139-141).
Oltre a dette stringate ma assorbenti ragioni, si ravvisano nella riforma altre contraddizioni che, per motivi di economia espositiva, vengono qui evidenziate in modo sintetico:
6. La violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza a fronte della macroscopica differenza tra il numero dei deputati (630) con quello dei senatori-sindaci e/o consiglieri regionali (95).
Questo rilievo è davvero sconcertante: proprio perché si supera il biacameralismo perfetto, le due Camere vengono investite di funzioni molto diverse, anche da un punto di vista soltanto quantitativo. Il nuovo Senato sarà chiamato a rappresentare venti Regioni e 8000 Comuni in relazione alle loro specifiche funzioni, mentre la Camera continuerà a rappresentare 60 milioni di italiani in relazione alla totalità dei loro interessi. Sta di fatto che nella RFT la sproporzione è maggiore: 630 membri del Bundestag e 69 quelli del Bundesrat (che corrisponde, nel nuovo regime, al nostro nuovo Senato). Negli U.S.A. i membri della Camera sono 450, quelli del Senato 100.
7. L’inspiegabile allargamento ai senatori-sindaci e/o consiglieri regionali del privilegio dell’immunità.
Quando sia ben chiaro che l’autorizzazione a procedere non riguarda l’imputazione penale e lo svolgimento del relativo processo, bensì soltanto l’arresto, sarebbe inspiegabile non l’estensione ai senatori di questa protezione costituzionale, ma la loro esclusione da essa. L’arresto altera la composizione dell’organo costituzionale: il principio dell’indipendenza reciproca fra legislativo e giudiziario giustifica che al Senato si attribuisca un controllo sull’arresto di un proprio membro da parte di un qualsiasi magistrato. In ogni caso questo privilegio è limitato ai reati commessi dal senatore nell’esercizio della propria funzione di senatore: ne resta dunque escluso, per esempio, un reato connesso con l’esercizio dell’attività di sindaco, o di consigliere o assessore regionale.
8. Il travaso inorganico di competenze legislative dalle Regioni ordinarie allo Stato per una cinquantina di materie affastellate in 21 lettere dalla a) alla z), con rischio di un perenne conflitto di attribuzioni.
L’eliminazione delle aree di competenza legislativa e amministrativa concorrente tra Regioni e Stato non può, evidentemente, che ridurre quel conflitto. Non può certo aumentarlo. La c.d. clausola di unità nazionale contenuta nel nuovo articolo 117, comma 4, funge comunque da norma di chiusura, tagliando la testa al toro.
9. L’inspiegabile ed illogico riparto dei numeri dei senatori in riferimento alle singole regioni (p. es.: 14 senatori alla Lombardia e 2 al Friuli Venezia Giulia nella quale le minoranze linguistiche rischiano di rimanere fuori gioco (art. 6 Cost.).
Negli U.S.A. ci sono Stati con decine di milioni di abitanti, come la California o il Texas, che eleggono al Senato lo stesso numero di senatori – due – del Rhode Island, il quale ha solo un milione di abitanti. Analoghe sproporzioni rispetto alla distribuzione regionale della popolazione si registrano nel Bundesrat tedesco e nel Senato francese. Esse sono coessenziali al concetto di rappresentanza delle autonomie locali (affidata al nuovo Senato), come concetto diverso da quello di rappresentanza del popolo sovrano (che resta affidata alla Camera).
10) L’aumento da 50.000 a 150.000 firme per l’iniziativa legislativa popolare.
I firmatari del documento dimenticano (?) di menzionare l’altra parte della nuova norma costituzionale: quella che obbliga la Camera a esaminare la proposta di legge di iniziativa popolare entro un termine ragionevole, che deve essere fissato nel regolamento della stessa Camera (obbligo oggi inesistente, col risultato che i disegni di legge di iniziativa popolare finiscono regolarmente in un cassetto e ivi restano sena speranza). L’iniziativa legislativa popolare non viene dunque indebolita, ma al contrario potenziata: perché per un verso la si disinflaziona, per altro verso le si attribuisce il potere di obbligare il Parlamento a pronunciarsi.
11) La contraddittoria compresenza di due forme di referendum abrogativo in base al numero dei proponenti e dei votanti, con la trasparente mira di seppellire definitivamente tale guarentigia costituzionale.
Anche per questo aspetto la riforma – se confermata dal voto referendario – produce l’effetto esattamente opposto a quello denunciato dai firmatari del documento triestino. La nuova disposizione, infatti, lascia intatta la possibilità di indizione del referendum abrogativo richiesto da 500.000 elettori, aggiungendo a questa una possibilità ulteriore, costituita dal referendum abrogativo richiesto da 800.000 elettori, favorendo l’iniziativa referendaria in questo secondo caso, col ridurre il quorum dei voti necessario per la validità della consultazione: in questo caso non è necessario il 50 per cento degli aventi diritto al voto, ma soltanto il 50 per cento dei votanti alle ultime elezioni politiche. Lungi dal “seppellire tale guarentigia costituzionale”, dunque, la riforma la rafforza.
Infine, ultimo ma non ultimo, il potenziale esplosivo che rischia di sviluppare la “Riforma Boschi” se valutata in uno con la nuova legge elettorale (il c.d Italicum). Il connubio legislativo (Riforma Boschi – Italicum) rischia di far si che nella scontata ipotesi di ballottaggio, il potere si concentri tutto nelle mani della sola forza politica che raccolga meno del 40% dei votanti e cioè, atteso il dilagante fenomeno dell’astensione, che rappresenti solo il 25% del corpo elettorale.
Non è così: i firmatari del documento non considerano che proprio il ballottaggio ha la funzione di costringere la forza politica che non abbia superato il 40 per cento dei voti (nel primo turno) a conquistare almeno il 50 per cento al secondo turno. Stupisce che i detrattori dell’Italicum continuino a proporre questo argomento assurdo, per accogliere il quale occorrerebbe considerare antidemocratico il sistema elettorale francese e occorrerebbe dimenticare gli effetti eccellenti prodotti dalla nostra legge elettorale per i consigli comunali, anch’essa basata sul ballottaggio.
Questioni e rischi questi per i quali si sono già spese le critiche di costituzionalisti di indiscusso spessore, al di fuori e al di sopra di ogni speculazione partitica, e ai quali gli scriventi fanno qui riferimento, contestando il merito della “Riforma Boschi” che, col preteso stimolo e collegamento con le esigenze di modernità e asserita governabilità del Paese, rischia invece di provocare guasti insanabili al nostro ordinamento democratico che costituisce patrimonio di noi tutti e che tutti siamo chiamati a difendere.
Seguono 69 firme di avvocati triestini: pochi rispetto al Foro giuliano. Colpisce, però, che ben 69 seri professionisti del diritto abbiano firmato questo documento, evidentemente senza prendere cognizione diretta del contenuto della riforma: altrimenti non avrebbero potuto non vedere le gravi omissioni e gli errori evidenti della lettura che nel documento ne viene proposta. Oportet, comunque, ut scandala eveniant. Se nessuno degli 11 argomenti escogitati da 69 esimi giuristi a sostegno del NO regge a una verifica immediata, questo costituisce una conferma non trascurabile delle buone ragioni del SÌ. (p.i.)
I 69 AVVOCATI FIRMATARI DEL DOCUMENTO
Elisa ADAMIC, Stefano ALUNNI BARBAROSSA, Renzo BALDO, Matteo BELLI, Bogdan BERDON, Janez BERDON, Franco BERTI, Gabriella BERTI, Carlo BERTI, Andrea BITETTO, Jose BITEZNIK, Nicoletta BONINA, Maurizio BRAIDA, Fabio CAMPANELLA, Antonio CARAGLIU, Alessandro CARBONE, Massimo CARRETTI Martina CHIAPOLINO, Andrea COMMISSO, Sandro CONTENTO, Alessandro CUCCAGNA, Antonia D’AMICO, Raffaella DEL PUNTA, Andrea DI ROMA, Umberto ERCOLESSI, Guido FABBRETTI, Mario FAMULARO, Angela FILIPPI, Andrea FRASSINI , Gabriella FREZZA, Lara LAKIC , Raffaele LEO, Domenico LO BUONO, Giuliano LOIUDICE, Dario LUNDER, Alberto KOSTORIS, Marco MELONI, Peter MOCNIK, Micol MINETTO, Giuseppe MUSCOLO, Fabio NIDER, Fabia NOVAJOLLI, Francesco OLIVA, Sara PECCHIARI, Cesare PELLEGRINI, Lorenzo PISTACCHIO, Alberto POLACCO, Andrea POLACCO , Carmine PULLANO , Mirella PULVENTO, Giulio QUARANTOTTO, Mitja OZBIC, Sandra RACCHI, Antonio REGAZZO, Mario REINER, Gianluca ROSSI, Pierpaolo SAFRET, Mirta SAMENGO, Giuseppe SBISA’, Cesare STRADAIOLI, Gianluca TEAT , Francesca TODONE, Cinzia TORRE, Daniela TRIOLO, Augusto TRUZZI, Giuliana VASCOTTO, Giovanni VENTURA, Fulvio VIDA, Sergio VIDA, Gianni ZGAGLIARDICH
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