COME SI CONCILIA IL DIVIETO DI PARLARE IN PUBBLICO DEI PROCEDIMENTI DISCIPLINARI CON LA “TRASPARENZA TOTALE” CHE IL M5S ALL’ORIGINE INDICAVA COME PROPRIO PRINCIPIO FONDAMENTALE?
Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 409, 7 ottobre 2016 – In argomento v. anche Tot sidera tot sententiae, ovvero: molta confusione di idee nel M5S.
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Il regolamento che Beppe Grillo in questi giorni chiama il Movimento 5 Stelle ad approvare, attraverso una opaca consultazione in rete controllata dalla Casaleggio & Associati s.r.l., prevede cinque casi di espulsione; l’ultimo caso è, testualmente, questo: “5) se sottoposti a procedimento disciplinare, per rilascio di dichiarazioni pubbliche relative al procedimento medesimo”. Non c’è stato modo di emendare il testo prima della consultazione. Se dunque esso verrà approvato, potrà accadere che il vertice dell’organizzazione un giorno decida di espellere, per ipotesi, Luigi Di Maio, oppure Virginia Raggi, oppure – chessò – Chiara Appendino, che dunque venga contestata alla persona interessata una qualsiasi mancanza o deviazione politica rispetto alla “linea” decisa dal vertice stesso, e che non solo l’opinione pubbica, ma neppure la base stessa del Movimento ne venga informata, perché parlarne in pubblico costituirebbe di per sé causa autonoma di espulsione, anche quando la contestazione fosse totalmente infondata. La regola ricorda in modo impressionante i processi staliniani che si svolgevano tra le mura della Lubjanka: se l’imputato o un suo parente o amico ne diffondava la notizia, questo costituiva di per sé la prova della volontà dell’imputato di danneggiare il Partito o addirittura di svolgere “attività antinazionale”. Ogni partito è libero di scegliere i modellil di organizzazione che preferisce: Beppe Grillo però almeno una spiegazione la deve ai suoi iscritti, se non all’intera opinione pubblica: che fine ha fatto la “trasparenza totale”, che fino a tre anni fa sembrava essere stata eretta dal M5S a proprio principio fondamentale?
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