PER LO SVILUPPO DELLA SICILIA: PRIMO, RIDURRE L’AUTONOMIA DELLA REGIONE

COMUNQUE CAMBIARE RADICALMENTE QUESTO STATUTO SPECIALE, CHE HA PRODOTTO SOLO SPRECHI E CLIENTELE – SE I COSTI DELLA COSA PUBBLICA SICILIANA FOSSERO IN LINEA RISPETTO ALLE REGIONI PIÙ VIRTUOSE, CI SAREBBERO LE RISORSE PER FARE UN PONTE SULLO STRETTO OGNI CINQUE ANNI

Articolo di Francesco Cancellato pubblicato sul sito Linkiesta il 3 ottobre 2016

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L’ultima scoperta è che sui 15 mila addetti della Regione Sicilia 6 mila non possono essere trasferiti: 3mila di loro – uno su cinque! – perché sono dirigenti sindacali. Tremila, perché usufruiscono dei 3 giorni di permesso al mese (e dell’intrasferibilità) previste della “legge 104” per disabilità propria o di un familiare.

Sicilia 2Se vi sembra abbastanza per scandalizzarvi, tirate un bel respiro e aggrappatevi alla poltrona. La Sicilia, in fatto di spesa pubblica e sprechi, è qualcosa da Guinness dei Primati. La spesa per il personale pubblico è pari a 2 miliardi di euro, laddove il totale nazionale [del personale dipendente dalle Regioni – n.d.r.] è pari a 6. Avete capito bene: un terzo della spesa nazionale per il personale finisce sull’Isola.

Andiamo avanti: la Sicilia è l’unica regione in cui i comuni spendono più del 40% di spesa corrente per il personale. Nel resto dell’Italia la media è attorno al 20%. Ancora: la sola assemblea regionale siciliana costa circa 165 milioni di euro, laddove in Lombardia ne costa 68, in Piemonte 66, in Campania 62. Costo, questo, che oltre allo straboccante peso dei dipendenti è anche figlio di una classe politica che recentemente la Corte dei Conti ha definito come “la più costosa d’Europa”. Una classe politica che si fa rimborsare, pro capite, circa 28 caffè al giorno, per 365 giorni l’anno, festivi compresi. Che nel 2014 ha subito condanne per danno erariale pari a 39 milioni di euro (record!). E che in piena buriana da patto di stabilità si ritrova sindaci di piccoli comuni che alzano il gettore di presenza per i consiglieri comunali del 417%.

Dimenticavamo: il bilancio 2015 della Regione Sicilia è in disavanzo di 6,19 miliardi e un accordo Stato-Sicilia ha concesso all’Isola che la compartecipazione agli introiti Irpef passi dai 500 milioni del 2016 a 1,7 miliardi nel 2018. In cambio, la Regione dovrà tagliare il 3% di spesa corrente, a partire dal 2017.

Autonomia SiciliaNon sappiamo se ce la faranno. Quel che bisognerebbe mandare a memoria, piuttosto, è che quando si parla di sprechi, di spese inutili e di costi fuori controllo a proposito della Sicilia forse parlare del Ponte sullo Stretto è quantomeno fuori luogo. Un’opera cara, certo. Una cattedrale nel deserto il cui unico indotto che produrrebbe è costruirla, probabilmente. Un’opera, tuttavia, che costerebbe 8,5 miliardi di euro, più o meno cinque anni di stipendi pubblici siciliani. O, se preferite, un anno e mezzo di perdite della Regione. E che i 600 milioni di euro che si calcolano come già spesi per i lavori preliminari dal 1870 a oggi, sono più o meno pari a quel che l’Assemblea Regionale Siciliana ha speso in più di quella lombarda negli ultimi sei anni.

Tutto questo per dire una cosa: che la più grande opera pubblica che si può fare in Sicilia è abolire quell’autonomia che in settant’anni ha prodotto solo sprechi, clientele e assistenzialismo, facendo precipitare l’isola in una situazione di sottosviluppo strutturale che poco ha da spartire con le sue enormi potenzialità. E che molto ha contribuito al consolidamento del potere mafioso.

Al di là del Ponte e dell’alta velocità ferroviaria tra Napoli e Palermo, che permetterebbero di raggiungere il capoluogo siciliano da Roma in sei ore, contro le 11 attuali, si potrebbero fare un sacco di cose, in Sicilia. Filippo Romeo, il Direttore del Programma “Infrastrutture e Sviluppo Territoriale” dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, ne ha tracciato un bel quadro su Formiche, giusto ieri. Parla, Romeo, di “un hub aeroportuale, ovvero un raccordo degli aeroporti attuali, migliorati e potenziati, al centro della Sicilia per intercettare le rotte che arrivano dall’Asia e dalle Americhe per poi distribuire il traffico all’interno del Mediterraneo, verso l’Europa e verso l’Africa”. E ancora, del collegamento dei porti con le linee di alta velocità e capacità, ancora tutta da costruire. Su cui si innesta, ovviamente, anche il Ponte.

“Un tale sistema di infrastrutture logistiche integrate – conclude Romeo – consentirebbe di intercettare tutti i traffici che passano per Suez e garantirebbe alle merci ed al prodotto industriale italiano di andare sui mercati internazionali con un 25% di costo in meno”. Fosse anche la metà, sarebbe abbastanza. Investimenti costosi, certo. Ma sappiamo dov’è la spesa pubblica improduttiva e dove tagliarla, perlomeno in Sicilia. E se non facciamo niente – come Italia, non solo come Sicilia – siamo semplicemente complici del suo sottosviluppo. E del nostro declino.

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