LA DEMOCRAZIA E IL PESO DELLE SECONDE PREFERENZE

È VERO CHE AL BALLOTTAGGIO SI PUÒ ARRIVARE ANCHE CON IL 30% DEI VOTI, E IN QUALCHE CASO ECCEZIONALE ANCHE MENO, OTTENUTI AL PRIMO TURNO; MA È FALSO CHE SI VINCANO LE ELEZIONI CON IL 30% DEI VOTI: PER VINCERE AL BALLOTTAGGIO OCCORRE AVERNE PIÙ DELLA METÀ

Editoriale di Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore del 4 settembre 2016

D'Alimonte

Roberto D’Alimonte, politologo, direttore del dipartimento di Scienze Politiche della LUISS “Guido Carli”

Si moltiplicano di questi tempi i segnali che il ballottaggio sia il vero problema dell’Italicum. Pochi lo dicono apertamente ma molti pensano che con questo meccanismo si consegnerà il governo nazionale al M5s.A questo riguardo è emblematica l’intervista rilasciata il 20 luglio scorso al direttore de Il Foglio da Giorgio Napolitano. In tema di possibile revisione dell’Italicum il suggerimento dell’ex presidente della Repubblica è di «non puntare a tutti i costi sul ballottaggio che rischia, nel contesto attuale, di lasciare la direzione del Paese a una forza politica di troppo ristretta legittimazione al primo turno».

Naturalmente Napolitano non dice nulla a proposito di chi possa essere la forza politica poco rappresentativa che potrebbe vincere le elezioni al ballottaggio. Ma il vero timore di molti che condividono l’affermazione dell’ex presidente è che quella forza sia il Movimento. Per fermarlo la soluzione “perfetta” è la decapitazione dell’Italicum con l’eliminazione del secondo turno. E questo è certamente vero.

Qui però non ci interessa l’esegesi delle parole di Napolitano né vogliamo discutere le probabilità di vittoria del M5s alle prossime elezioni e tanto meno la legittimità di una riforma elettorale fatta per impedire la vittoria di una parte. Quello che ci interessa analizzare è l’argomento utilizzato dall’ex presidente per giustificare l’eliminazione del ballottaggio, e cioè il fatto che con l’Italicum, in un contesto tripolare, possa prevalere una forza politica poco rappresentativa. Il risultato sarebbe quindi poco democratico. Con questa affermazione Napolitano fa propria una tesi largamente diffusa, specie tra i giuristi. Nel suo caso fa più impressione perché viene da persona che non è pregiudizialmente contraria alle riforme del premier.

Nessuno è così ingenuo da pensare che sarà lo stesso Matteo Renzi a farsi promotore di una riforma della sua legge elettorale tale da stravolgerla completamente abolendone l’elemento essenziale che è per l’appunto il ballottaggio. Qualcun altro però potrebbe farlo per lui. È la Corte costituzionale. Il 4 ottobre, sollecitata da un ricorso contro l’Italicum, potrebbe approfittare dell’occasione per far fuori il ballottaggio dichiarandolo incostituzionale proprio sulla base dell’argomento usato da Napolitano. E così – pensano molti – toglierebbe le castagne dal fuoco allo stesso Renzi. Senza il ballottaggio avremmo alla Camera un nuovo sistema elettorale a un turno. Se una lista arriva al 40% dei voti avrebbe il 54% dei seggi. Se nessuno arriva alla soglia del 40% i seggi verrebbero distribuiti in maniera proporzionale. Visto che di questi tempi è estremamente improbabile che qualcuno arrivi al 40% non ci sarebbe nessun vincitore e i governi si farebbero dopo il voto come ai bei tempi della prima repubblica. L’importante è che non si corra il rischio di una vittoria dei cinque stelle. Meglio l’instabilità.

Non osiamo credere che la Corte possa giudicare incostituzionale il ballottaggio. Ma a quanto pare corrono insistentemente voci che il rischio esista. Ne parla con dovizia di particolari proprio il direttore de Il Foglio nel suo editoriale di un paio di giorni fa. Ma è solo un segnale tra i tanti. E allora occorre essere assolutamente chiari su una questione così delicata. La tesi che il ballottaggio non vada bene in un contesto tripolare come il nostro è totalmente sbagliata. È vera invece la tesi contraria. Il ballottaggio è lo strumento più adatto per risolvere efficacemente e democraticamente la questione del governo in un contesto tripolare.

Lo è perché mette in campo le seconde preferenze degli elettori e non solo le prime. In un sistema a doppio turno il primo turno è una specie di primaria. Gli elettori sono chiamati a esprimere una preferenza per il partito o il candidato che piace di più. I primi due passano il turno. Al secondo turno gli elettori dei candidati esclusi possono astenersi o possono esprimere un secondo voto che rappresenta una seconda preferenza. Tra i due candidati ammessi al ballottaggio votano per quello piace di più o dispiace di meno. È il sistema utilizzato in Francia e nei nostri comuni. È un sistema che esalta la democrazia. Sono gli elettori a decidere chi vince. E chi vince al ballottaggio vince con il 50% dei voti più uno.

È vero che al ballottaggio si può arrivare anche con il 30% dei voti o meno ottenuti al primo turno. Ma è falso affermare che chi vince, vince con il 30% dei voti. Per vincere al ballottaggio occorre avere il 50% dei voti. E questo vuol dire che chi vince al secondo turno partendo dal 30% del primo è riuscito a conquistare voti che in prima battuta non aveva. Ed è riuscito ad allargare la sua base di partenza conquistando le seconde preferenze di tanti elettori. E dove sta scritto che le seconde preferenze contano meno delle prime? In base a quale criterio si può dire che una vittoria conquistata con le seconde preferenze è incostituzionale?

Sono domande la cui risposta non è nella pagine di Kelsen sulla quali si sono formati i nostri giuristi, ivi compresi quelli che siedono alla Consulta, ma in quelle di Condorcet e di Arrow che purtroppo fanno parte del bagaglio culturale di pochi nel nostra paese. Troppi da noi non conoscono i fondamenti logico-matematici della moderna teoria della democrazia. Né quelli empirici. Eppure dei loro giudizi sono piene le pagine dei giornali e quelle dei talk show televisivi. Incrociamo le dita. La strada per battere i Cinque stelle non passa dalla Consulta ma dalle urne.

 

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