UN ITINERARIO SPETTACOLARE, CHE NEL SUO PRIMO TRATTO, FINO AGLI “ALBERGHI”, È ACCESSIBILE A TUTTI; FINO AI RUDERI DELLE CASE CARPANO, SULLA CRESTA SUD DEL MONTE CAVALLO, È ALLA PORTATA DI ESCURSIONISTI MEDIAMENTE ALLENATI, MENTRE NELLA PARTE PIÙ ALTA È RISERVATO AI PIÙ ESPERTI
Le indicazioni sull’itinerario sono corredate con foto dell’8 agosto 2016 e del 29 agosto 2017 – Il Gitario è una rubrica di mountain bike e trekking sulle Alpi Apuane e dintorni – L’ultimo articolo, del 23 luglio 2016, è Un percorso molto facile e breve per il Passo degli Uncini – Gli articoli precedenti della rubrica, pubblicati sul mensile Versilia oggi, sono reperibili nell’Archivio dei miei scritti, sezione Articoli, mediante la funzione “Cerca”, utilizzando le parole-chiave Gitario (per tutti gli articoli), Garfagnana (per i soli articoli relativi ai percorsi sul versante garfagnino), Versilia (per quelli relativi al versante marino), oppure Apuane (per quelli relativi a percorsi su questa catena montuosa, ben distinta dal punto di vista geologico, morfologico e faunistico da quella appenninica)
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DALLA VALLE DEGLI ALBERGHI AL RIFUGIO ARONTE
Il punto debole di questa gita è la partenza: lasciata l’auto o la bici in località Biforco (m 376 slm), al termine della strada asfaltata che sale da Massa, tocca prendere una marmifera polverosa, a tratti ripida, che sale verso una cava in piena attività. Questo primo tratto del percorso, soprattutto se fatto col sole, non presenta proprio alcuna attrattiva (i bikers più forti possono farlo in bici, per risparmiarsi di farlo a piedi al ritorno). Dopo un chilometro si incontra un segnavia che indica a sinistra l’itinerario per il Monte Rasore, sulla cresta che unisce il Monte Sagro al Grondilice, e la Capanna Garnerone (segnavia 168); a destra quello di cui parliamo oggi (segnavia 167).
Il sentiero che si stacca dalla marmifera verso destra è quel che resta di una antica via di lizza che scendeva dalla Valle degli Alberghi. Ha il difetto di essere molto sassoso, ma il merito di mostrare frequenti reperti di archeologia industriale (in particolare i grandi fori nel marmo, tondi o poligonali, in cui venivano innestati i “piri”, per lo più di legno, intorno ai quali si facevano scorrere le funi che trattenevano nella discesa a valle il blocco di marmo, legato su di una specie di slitta: la “carica”). Il sentiero sale nel bosco verso destra, abbandonando per un tratto l’antica via di lizza soltanto per ridurre la pendenza del percorso con qualche zig-zag laterale; questo tratto della salita, per circa 300 metri di dislivello, si conclude con l’ingresso scenografico ed emozionante nella Valle degli Alberghi (circa a quota 700 slm): una splendida conca, chiusa verso nord dalla imponente parete sud del Monte Contrario, di marmo bianchissimo; verso est dalla cresta erbosa che scende dal Monte Cavallo, dove si trovano i ruderi delle Case Carpano.
Ora è ben visibile, circa 150 metri più in alto, proprio al confine tra il costone erboso e la parete di marmo bianco del Contrario, il casone degli “Alberghi”: un edificio che offriva ricovero ai cavatori nella prima metà del secolo scorso e che oggi è divenuto una grande stalla per capre semiselvatiche.
Qui il sentiero, divenuto quasi pianeggiante, sempre molto ben segnato, corre lungo il letto di marmo bianco di un torrente, per ricominciare poi a salire nell’erba, verso est. Poco dopo l’inizio della salita si trova un bivio: a sinistra si sale verso il casone degli “Alberghi” (poco oltre questo edificio, per chi sceglie questa direzione, ha inizio la bellissima ferrata del Monte Contrario, che superando un dislivello di 700 metri interamente su marmo bianco, porta a un valico che dà accesso alla vallata dell’Orto di Donna e al Rifugio Donegani). La sola fonte d’acqua si trova a cinque minuti dal casone degli “Alberghi”, dove incomincia il greto.
A destra, invece, prosegue il sentiero 167, che sale verso la cresta erbosa, traversando verso la sinistra orografica del vallone. Superato un dislivello di altri 300 metri dal fondo della Valle degli Alberghi, si arriva al tratto pianeggiante della cresta dove si trovano le Case Carpano, antico riparo per i cavatori (m 1047 slm). Qui, accanto ai ruderi delle due casette di pietra, si trovano ancora gli ultimi massi di marmo, che fecero a tempo a essere riquadrati perfettamente in forma di parallelepipedo, ma non a essere fatti scendere a valle. Qui incomincia ad aprirsi una vista splendida sul mare.
Dalle Case Carpano – che possono a pieno titolo costituire il punto d’arrivo panoramicissimo di una gita alla portata di chiunque sia mediamente allenato – si può prendere il sentiero 170 che scende sull’altro versante della cresta, portando alla Foce Vettolina e da lì a Resceto (m 485 slm, da dove parte la famosa settecentesca Via Vandelli per il passo della Tambura), oppure, con il sentiero n. 36, di nuovo a Biforco dove si è lasciata l’auto o la bici. I più allenati e tecnicamente provveduti possono invece continuare a salire lungo la cresta sud del Monte Cavallo, seguendo i segni bianchi e rossi (abbondanti e visibilissimi), lungo un sentiero che poco dopo abbandona la cresta per tenersi sulla sua destra (sinistra per chi sale), sempre facile ma con qualche passaggio un po’ esposto. Intorno a quota 1.300 il sentiero scavalca la cresta e prende verso destra, per incominciare la traversata verso la Forcella di Porta. All’inizio, nell’erba alta, la funzione di indicare la via è affidata ad alcuni picchetti, ben visibili. Poi riprendono i segni bianchi e rossi, sempre ben visibili. Via via che si sale il panorama verso il mare diventa sempre più ampio e grandioso.
La traversata, per tracce di sentiero ma sempre ben segnata, con qualche passaggio di roccia sempre molto facile, si compie in un ambiente selvaggio, aereo, lontano da ogni abitato, regno di capre selvatiche che non sembrano temere l’uomo e si lasciano avvicinare. Un percorso del tutto fuori dell’ordinario anche rispetto ai più straordinari tra gli itinerari delle Apuane. Si sale per circa un’ora, a tratti ripidamente a tratti meno, fino a raggiungere una prima forcella, a quota 1680, dalla quale si individua facilmente, verso ovest, il percorso che porta in breve alla Forcella di Porta (m. 1740).
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Dalla prima forcella a quella che costituisce il punto più alto della traversata, il percorso non richiede più di 15-20 minuti. All’arrivo alla Forcella di Porta si spalanca davanti agli occhi uno spettacolo impressionante: in primo piano il bianco accecante delle pareti di marmo del Passo della Focolaccia, occupato da una cava, dal quale si diparte la stupenda cresta del monte Tambura (m. 1895).
Dalla Forcella si scende in breve per un prato ripido al Passo della Focolaccia e al Bivacco Aronte (m. 1620), che prende il nome dall’aruspice etrusco di cui Dante colloca l’abitazione rupestre sui monti sopra Carrara, là dove si vede insieme il mare e il cielo (“Aronta è quel […]/che ne’ monti di Luni, dove ronca/lo Carrarese che di sotto alberga,/ebbe tra ‘ bianchi marmi la spelonca/per sua dimora; onde a guardar le stelle/e ’l mar no li era la veduta tronca”: Inferno, XX, 46-51).
Il problema è che dal bivacco Aronte, se si vuole scendere sul versante marino e non verso la Garfagnana, il sentiero 166 e la variante del 166bis (quest’ultima è la famosa via di lizza “del Padulello”, forse la più ripida e lunga delle Apuane) consentono di arrivare soltanto a Resceto (ci sarebbe il sentiero 170, che consente di raggiungere dall’Aronte il punto di partenza di Biforco, attraverso la Foce della Vettolina; ma comporta una risalita, dunque un percorso molto più lungo). Ne consegue che, se non si dispone di un amico che compassionevolmente venga a prenderci a Resceto per riportarci a Biforco, dove è rimasta l’auto o la bici, l’unica soluzione – assai precaria – per recuperare il mezzo con cui si è saliti al punto di partenza della gita è affidarsi all’autostop.
LA TRAVERSATA DELLA TAMBURA E LA VIA VANDELLI
Chi a questo punto dell’escursione possa permettersi ancora un’oretta di salita, non esiti a scegliere un’ottima alternativa – per la discesa dall’Aronte a Resceto – rispetto alle due ripide vie di lizza indicate dai segnavia 166 e 166-bis: raggiungere la vetta della Tambura (m. 1895) per la cresta nord, scendere lungo la cresta sud al Passo omonimo (m. 1620) e da qui prendere la Via Vandelli. Questa è una vera e propria strada lastricata, costruita dall’Abate Vandelli alla fine del ‘700 su commessa della Duchessa di Modena e Massa per unire queste due città senza passare per il Granducato di Toscana, e per questo tratto in gran parte perfettamente conservata. Indicata ora nella segnaletica del CAI col segnavia 35, dalla cresta della Tambura essa scende con andamento maestoso a Resceto (m. 550).
La traversata della Tambura costituisce, tra i percorsi alla portata di tutti dal punto di vista tecnico e privi di pericoli, il più spettacolare ed emozionante delle Alpi Apuane. Lungo tutta la salita e la discesa, che si compiono sul marmo bianco, la vista spazia verso nord dal Monte Pisanino (la vetta più alta della catena) al Cavallo, al Contrario, al Grondilice, al Sagro; verso est dalla Roccandagia alla Penna di Sumbra, alla Pania, al Sella e all’Altissimo; verso ovest dal Golfo della Spezia a Porto Venere e alle isole della Palmaria e del Tino; verso sud dall’Elba alla Capraia e alla Gorgona, dietro le quali nei giorni più limpidi si vede distintamente il “dito” settentrionale della Corsica.
Dal Passo della Focolaccia, il segnavia di questo percorso è il 148, che porta molto rapidamente sulla cresta nord della Tambura: uno spigolo di marmo bianco che diventa sempre più acuto via via che si sale, fattibile quasi tutto senza neppure appoggiare le mani. Due rilievi della cresta danno l’illusione di essere arrivati in cima già dopo mezz’ora di cammino, ma alla vetta si arriva – con un passo non particolarmente veloce – dopo circa un’ora dalla partenza dalla Focolaccia.
La discesa dalla vetta al Passo della Tambura avviene lungo la cresta sud, simile per struttura alla cresta nord, ma con una maggiore apertura del panorama sul mare, sulle isole dell’Arcipelago Toscano e su alcuni tratti della costa. In una ventina di minuti si raggiunge il Passo, dal quale si prende, sul versante ovest, la via Vandelli; e in un’altra ventina di minuti si raggiunge, a quota 1410, il Rifugio Conti, collocato in prossimità di due caratteristiche guglie chiamate “Campaniletti”.
Da lì la Via Vandelli scende per qualche chilometro, facendosi ammirare per l’arditezza del suo tracciato e dei manufatti che la sorreggono lungo la parete scoscesa. Una lapide ricorda il luogo – intorno a quota 1100 metri slm – dove alle origini era stato collocato il “Casone”: un rifugio che consentiva ai viaggiatori di pernottare dopo il primo giorno di cammino da Massa, o dopo la traversata dal Passo delle Radici a quello della Tambura per chi arrivava da Modena o dalla Garfagnana. Più in basso un’altra lapide ricorda la località “Le Teste”, così chiamata perché in quel tratto della Via venivano esposte, appese ad appositi uncini, le teste mozzate ai banditi dalle guardie ducali, a monito per altri malintenzionati che evidentemente infestavano la zona. La Vandelli infine, attraversando un ponte sopra un canyon di marmo bianchissimo, un chilometro circa prima di Resceto si ricongiunge con la via di lizza indicata dal segnavia 166, che scende direttamente e molto più ripidamente dalla Focolaccia.
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