IL GIUDIZIO DI FIORELLA KOSTORIS (ISAE) SUL DECRETO BRUNETTA

GRAVEMENTE DIFETTOSA LA PARTE DEL DECRETO RELATIVA ALL’AUTONOMIA DEGLI ORGANI PREPOSTI ALLA TRASPARENZA E ALLA VALUTAZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE. BUONA LA PARTE DEL DECRETO SULL’INCENTIVAZIONE DELLA PERFORMANCE E SULLE PARI OPPORTUNITA’

Intervento della prof.ssa Fiorella Kostoris nel corso dell’audizione davanti alle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Lavoro della Camera dei Deputati – 17 giugno 2009

Lo schema di Decreto Legislativo n. 82, in attuazione della Legge Delega n. 15 del 4 marzo 2009, oggi in discussione, consta di 5 Titoli. Il primo è composto di un unico articolo descrivente l’oggetto e le finalità. Il II concerne “misurazione, valutazione e trasparenza della performance” nella Pubblica Amministrazione (artt. 2-15). Il III riguarda “merito e premi” (artt. 16-30). Il Titolo IV tratta delle norme del “lavoro alle dipendenza nelle amministrazioni pubbliche” (artt. 31-71) e il V delle norme transitorie e finali. Personalmente, mi limiterò ad esaminare le parti sulla valutazione e la trasparenza, nonché sui premi e le sanzioni della performance nella Pubblica Amministrazione, il che in pratica significa che non terrò in conto il Titolo IV di questo Decreto, se non per le sezioni rilevanti al mio obiettivo, in particolare quelle sulla “dirigenza pubblica” (Capo II, artt. 36-46) e sulle “sanzioni disciplinari” (Capo IV, artt. 65-71).

Gli strumenti fondamentali introdotti in questo Decreto Legislativo, e prima ancora nella Legge Delega, con lo scopo di conseguire un miglioramento della performance ed un incremento dell’efficienza e della produttività nella Pubblica Amministrazione sono 3:

a.      la trasparenza;

b.      la valutazione;

c.      i meccanismi premiali e sanzionatori.

Si ritiene che essi siano gli assi portanti, ai fini di un aumento della qualità e quantità dei servizi pubblici prodotti – a parità di costi -, in assenza di un mercato e di un sistema concorrenziale, che pure a mio giudizio andrebbe promosso nel settore dei consumi collettivi più di quanto non appaia oggi possibile nel nostro Paese.

a)     La trasparenza.

L’ottica è quella della customer satisfaction. Nel sistema principale-agente, il primo – il principale – è il cittadino contribuente (lavoratore, produttore, imprenditore, consumatore e così via), mentre l’agente è l’apparato pubblico nel suo insieme. La trasparenza diviene perciò un mezzo significativo, affinché tutti gli stakeholders possano ottenere un controllo diffuso di quanto il pubblico impiego realizza per loro conto. Il mio giudizio su questa parte dello schema di Decreto Legislativo è molto positivo. Intanto la trasparenza è intesa in senso di accessibilità totale, di full disclosure, in ogni fase del ciclo di gestione della performance.  E perciò nel testo si precisa che essa non possa venir limitata da ragioni di privacy e che debba intendersi come “livello essenziale delle prestazioni” ai sensi dell’art. 117, II comma, lettera m della Costituzione. Perciò la sua determinazione è competenza esclusiva dello Stato, da garantire su tutto il territorio nazionale. In aggiunta, l’art. 11 dello schema di Decreto Legislativo stabilisce che “in caso di mancata adozione e realizzazione del Programma triennale per la trasparenza… o mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione… è fatto divieto di erogazione dell’indennità di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti”.

b)  La valutazione.

Ogni Amministrazione Pubblica è tenuta a misurare e valutare le performance di tutti i singoli dipendenti, delle unità organizzative e del complesso degli uffici, secondo modalità definite nelle linee guida di un organo di valutazione indipendente centrale, chiamato Commissione. Ogni Amministrazione Pubblica deve documentare tale performance in una Relazione Annuale sui “risultati organizzativi e individuali raggiunti” con indicatori precisi, quantitativi e qualitativi, e con illustrazione degli eventuali scostamenti rispettivo agli obiettivi programmati, questi ultimi evidenziati in un documento programmatico triennale a cura delle stesse Amministrazioni. In entrambe le loro Relazioni, oggetto di full disclosure, sono descritte – oltre che la misurazione e la valutazione della performance assoluta e relativa rispetto agli standard nazionali e internazionali – anche la correlazione fra gli obiettivi e gli strumenti, in termini di risorse disponibili, nonché il collegamento con i conseguenti sistemi premiali (ma si tace di quelli sanzionatori), secondo criteri di merito (ma nulla si dice dell’eventuale demerito) nel ciclo di gestione della performance. Complessivamente tale ciclo è ben costruito, è completo ed è rilevante: non si può che plaudere anche a questa parte del Decreto, perché, per la prima volta, esisterebbe nel nostro Paese una valutazione non generica ma specifica, non opaca ma chiara e trasparente su ogni singolo dipendente pubblico, quale premessa per distinguere la sua particolare produttività, efficienza, la sua capacità di raggiungere risultati programmati, donde deriverebbe il trattamento accessorio a questi commisurato.

Ho invece numerose perplessità sul modo in cui nello schema di Decreto oggi all’esame è stato pensato l’organismo centrale di controllo e valutazione chiamato Commissione (artt. 13 e 28). Fermo restando che esso è indispensabile componente del sistema di valutazione, almeno tanto quanto quelli interni alle Amministrazioni Pubbliche, e che ad esso deve essere assicurata “piena indipendenza e autonomia” non certo minore di quella garantita agli organi di controllo interno, secondo quanto scritto nella Legge Delega, personalmente ritengo che, nella traduzione offerta dal presente Decreto Legislativo, questa garanzia sia debole per l’una e per gli altri. In aggiunta, i poteri di cui dispone la Commissione non consentono di lasciare certi della sia efficacia.

Per quanto riguarda il primo punto, rilevo che, pur ribadendosi all’art. 13 del Decreto Legislativo che la Commissione “opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio … e con il Ministro dell’Economia” (formula di per sé già carica di varie ambiguità), essa deve in pratica (i) sottoporre i propri regolamenti “concernenti il [suo] funzionamento e l’autonoma gestione finanziaria” all’approvazione del Ministro dell’Economia (comma 3); (ii) non è libera di scegliere le “modalità di organizzazione”, in quanto esse “sono stabilite” – così recita il comma 10 – con Decreto del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, di concerto con il Ministro dell’Economia”, da cui sono anche “fissati i compensi per i componenti”; (iii) inoltre, la Commissione si vede “dettate” (al comma 11), senza poter esprimere nemmeno un parere, “le disposizioni per il raccordo tra le attività [sue] e quelle delle esistenti Agenzie di valutazione”. Che si tratti di una traduzione debole del principio stabilito nella Legge Delega di “piena indipendenza e autonomia” dell’organismo centrale di controllo, è dimostrato dal fatto che, in una prima versione del Decreto Legislativo predisposta dal Ministro per la Pubblica Amministrazione – versione evidentemente uscita stravolta dopo una serie di passaggi al Preconsiglio e al Consiglio dei Ministri – si leggeva, al contrario, che “l’Autorità definisce con propri regolamenti le norme concernenti l’organizzazione interna, il funzionamento e l’autonoma gestione finanziaria e determina altresì i contingenti di personale di cui avvalersi. […] Con uno o più Decreti del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, di concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, previo parere dell’Autorità, sono dettate disposizioni per il raccordo tra le attività di quest’ultima e quelle delle Agenzie di Valutazione”. Per fortuna rimangono nello schema di Decreto Legislativo oggi in discussione alcune delle garanzie della “piena indipendenza e autonomia” di quella che non a caso nella prima bozza del Decreto veniva chiamata Autorità, oggi (forse non solo lessicalmente) declassata ad una Commissione. In particolare, resta quanto già illustrato nella Legge Delega, e cioè soprattutto che i 5 membri della Commissione sono nominati con D.P.R., previa delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la Pubblica Amministrazione di concerto con quello per l’Attuazione del Programma, “per un periodo di 6 anni e previo parere favorevole delle competenti Commissioni Parlamentari, espresso a maggioranza dei 2/3 dei componenti”.

Così pure (ovviamente) rimangono nel presente Decreto Legislativo i compiti specificatamente assegnati alla Commissione dalla Legge Delega: di “indirizzare, coordinare e sovrintendere alla valutazione”; di “garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione”; di “assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici”. Di conseguenza, secondo le norme del Decreto Legislativo, la Commissione predispone le linee guida con “i parametri e i modelli di riferimento del sistema di misurazione e valutazione”; “definisce i requisiti per la nomina dei componenti dell’organismo” di valutazione interna ad ogni Amministrazione Pubblica; “gestisce il portale della trasparenza”; “promuove iniziative di confronto” con tutti gli stakeholders; “verifica la corretta predisposizione del Piano e della Relazione sulla performance” da parte delle Amministrazioni Centrali e, a campione, analizza quelli degli Enti Territoriali, formulando “osservazioni e specifici rilievi”; “redige la graduatoria di performance delle Amministrazioni Statali e degli Enti Pubblici Nazionali…; a tal fine svolge adeguata attività istruttoria e può richiedere alle Amministrazioni dati, informazioni, chiarimenti”; essa stessa “predispone una Relazione Annuale sulla performance delle Amministrazioni Centrali”.

Questa breve lettura virgolettata delle principali competenze della Commissione già lascia intendere perché poco fa ho accennato ad un secondo suo limite in termini di efficacia, in parte derivante dal primo, a sua volta legato alla non piena indipendenza e autonomia dell’organismo centrale di valutazione. L’efficacia mi sembra minata su due fronti, che chiamerei di widening e di deepening (estensione e approfondimento). Come appare chiaro dalla mia illustrazione delle norme, alla Commissione non è dato il potere di redigere una graduatoria di performance ed una Relazione sulla performance di tutte le Pubbliche Amministrazioni, ma solo di quelle Centrali. Nei confronti delle Amministrazioni a carattere non nazionale, essa non ha alcun potere istruttorio. La Commissione può verificare solo a campione la corretta predisposizione delle Relazioni sulla performance svolte da ciascuno degli Enti Territoriali, sicché lo stesso valore di livello essenziale delle prestazioni assegnato alla piena trasparenza della valutazione nella Pubblica Amministrazione ne viene largamente circoscritto. Tale forte limite nel widening dell’azione della Commissione – che ad esempio non si riscontrava nel Disegno di Legge del PD di pari oggetto (il 746 presentato al Senato il 5 giugno 2008, primo firmatario Pietro Ichino) – dipende dal fatto che la Commissione è un organo statale e non è un’Authority indipendente: quest’ultima, invece, sarebbe capace di divenire “espressione – come scrive la Relazione di accompagno del Disegno di Legge Ichino – delle diverse articolazioni territoriali della Repubblica”, sarebbe atta, quindi, a “svolge[re] le sue funzioni anche nei confronti degli Enti Territoriali autonomi, Regioni ed Enti Locali, nel rispetto dei principi costituzionali, i quali richiedono che funzioni di dimensione nazionale (come l’indirizzo e il supporto dell’attività di valutazione)… siano svolte da Autorità indipendenti, di ambito necessariamente nazionale”. Proprio in  questa ottica, nel Disegno di Legge Ichino, così come nel suo immediato antecedente della passata legislatura – il Disegno di Legge Polito-Turci – si prevedeva che gli Enti Territoriali fossero presenti “nella composizione [dell’Autorità]… mediante l’attribuzione della designazione di 2 componenti su 5 da parte del sistema delle Autonomie Territoriali”.

Per quanto concerne, poi, i limiti di efficacia dell’azione della Commissione in termini di deepening, personalmente li vedo nel fatto che il suo conclamato obiettivo di sovrintendere a tutti gli esercizi di valutazione nella Pubblica Amministrazione non trova mezzi adeguati nelle norme: la Commissione può solo “definire” i requisiti per la nomina dei componenti del controllo interno, senza però poterne garantire l’indispensabile indipendenza; è in grado di dare istruzioni alle Amministrazioni Pubbliche, osservandone i risultati, ma con pochissimi poteri di intervento. Infatti, a norma dell’art. 28, la Commissione può solo “proporre” alla Presidenza del Consiglio, con riferimento alla qualità dei servizi pubblici nazionali, “le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità,… i criteri di misurazione… le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all’utenza per mancato rispetto degli standard”. E, “per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle Regioni e dagli Enti Locali”, la Commissione ha analogo potere solo di proposta alla Conferenza Stato-Regioni. Per il resto, essa non dispone né di strumenti proattivi nei confronti di eventuali omissioni, errori o colpe accertati degli organi di valutazione interna, dei dirigenti responsabili o dei dipendenti pubblici, né tanto meno è in grado di avvalersi, a tale scopo, di poteri ispettivi ministeriali.

c) I meccanismi premiali e sanzionatori.

Come ho ricordato nella mia introduzione, il terzo asse portante, volto al miglioramento della performance della Pubblica Amministrazione, è il sistema dei meccanismi premiali e sanzionatori, coerenti con il merito e il demerito verificato con trasparenza totale e valutato con l’intervento dei due già citati organismi di controllo indipendente (uno centrale, gli altri periferici), nonché con l’apporto dei dirigenti della Pubblica Amministrazione e dell’organo di indirizzo politico di ogni Amministrazione Pubblica. Gli articoli 19-26 dello schema di Decreto Legislativo individuano le varie tipologie di premio assegnate a coloro che mostrano le più elevate performance “sulla base di una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale e… non dirigenziale”. Non si può che applaudire al fatto che venga introdotta una graduatoria, individuo per individuo, perché per la prima volta questo consentirà di eliminare quella mortificante omogeneizzazione delle retribuzioni e delle carriere, differenziate solo per anzianità o, peggio,  per ragioni di opaca discriminazione, che è stata davvero causa non ultima della selezione avversa nel pubblico impiego e delle peggiori inefficienze della nostra Pubblica Amministrazione. Personalmente apprezzo anche che il Decreto Legislativo oggi in discussione ponga paletti relativamente poco derogabili dalla contrattazione collettiva o dalla decisione dei dirigenti pubblici, circa la distribuzione dei trattamenti accessori legati alla performance, visto che in passato quei contratti collettivi e quell’autonomia hanno portato all’uso assolutamente distorto della componente della retribuzione correlata ai risultati. Basti dire che oggi, tra i dipendenti a tempo indeterminato della Pubblica Amministrazione, le indennità accessorie non fisse, né derivanti dagli straordinari, risultano nel Conto Annuale ultimo pubblicato dalla Ragioneria Generale dello Stato (RGS-IGOP), pari mediamente soltanto a 2.459 euro annui su una retribuzione media complessiva di 31.594 euro (cfr. Tabella 1); dunque non arrivano nemmeno all’8% (o nemmeno al 10% se si includono gli straordinari). Certo, per coerenza con le leggi dell’ultimo quindicennio e con alcuni principi enunciati  in questo stesso  Decreto  Legislativo, le  norme  non  dovrebbero  così limitare l’autonomia  delle  parti  contraenti:  in  un  mondo  pubblico  ideale,


bisognerebbe lasciare tali decisioni alla libera negoziazione degli interessati, nonché all’esercizio della responsabilità dirigenziale, al pari di quanto avviene nel settore privato; ma nel mondo concreto del pubblico impiego, il datore di lavoro spesso non si atteggia a vera controparte dei sindacati dei lavoratori, né di fatto subisce le conseguenze dei suoi errori anche lievi, o di sue negligenze di rilievo disciplinare o di colpe sue gravi con risvolti erariali e penali (e, tuttavia, si deve ricordare che l’art. 40 del presente schema di Decreto Legislativo, emendando l’art. 21 del Testo Unico 165 del 2001, va nella giusta direzione, stabilendo che il dirigente incapace di raggiungere gli obiettivi programmati di performance veda revocato il suo incarico e sia messo a disposizione, mentre una colpevole violazione dei suoi doveri di vigilanza sul personale assegnatogli rispetto agli standard qualitativi e quantitativi fissati dall’Amministrazione Pubblica, conformemente agli indirizzi della Commissione, comporta la riduzione della retribuzione di risultato fino all’80%, essa stessa, non si dimentichi, dovendo arrivare, secondo questo Decreto Legislativo, al 30% del totale).

In definitiva, mi sembra estremamente opportuno che le norme oggi in discussione stabiliscano (all’art. 19) per i dipendenti pubblici 3 fasce di merito: il migliore 25%, che ottiene il 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale; il secondo scaglione del 50% dei dipendenti, che prende il residuo 50% delle risorse; il peggiore 25%, cui non è data alcuna retribuzione aggiuntiva di risultato. Il comma 4 dell’art. 19 consente deroghe a tali soglie e temo fortemente che l’irresponsabilità sindacale, da un lato, e datoriale, dall’altro, comportino un contenimento dell’ultima fascia del 25% del personale, fino a trasformarla in una quota irrisoria, con parallelo ingrossamento di quella intermedia. Spero ovviamente di sbagliarmi.

Infine, vorrei sostenere che, se i meccanismi premiali del presente schema di Decreto Legislativo sono complessivamente apprezzabili (purché lo sia la valutazione a monte, su cui ho espresso però qualche dubbio), al contrario i meccanismi sanzionatori sembrano peccare di insufficienza e insieme di eccesso. Sono forti, troppo forti le sanzioni previste per negligenze e colpe e perciò rimangono difficilmente applicabili, come lo sono sempre state quelle già enunciate nel Testo Unico del pubblico impiego: ad esempio, il procedimento disciplinare che deve proseguire e concludersi anche in pendenza del procedimento penale; la privazione della retribuzione per più di 10 giorni, fino ad un massimo di 15; le sanzioni più severe fino al licenziamento in caso di (art. 55 quater) falsa attestazione di presenza in servizio o di documenti prodotti per l’assunzione e la carriera, di assenza ingiustificata per più di 3 giorni in un biennio, di ingiustificato rifiuto del trasferimento per motivate ragioni di esuberi collettivi. Quel che manca, a mio avviso, sono, invece, le sanzioni lievi. Ad esempio, per “una valutazione di insufficiente rendimento… dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione… per un arco temporale non inferiore al biennio”, è “disposto” nientemeno che “il licenziamento”. La norma è eccessiva e perciò non enforceable. Al contrario, non è ipotizzato né nel Testo Unico sul pubblico impiego, né in questo schema di Decreto Legislativo, che , per insufficienza nella qualità della prestazione, il dipendente pubblico possa semplicemente essere soggetto a mobilità, come avverrebbe nel settore privato.

Nel concludere, vorrei sottolineare che, nelle norme oggi all’esame, appaiono luci e ombre, queste ultime probabilmente imputabili ai compromessi che il Ministro Brunetta ha dovuto accettare, su richiesta dei colleghi Ministri e della burocrazia pubblica, piuttosto che all’originario disegno suo personale e della Legge Delega n. 15. Vi è però un aspetto ulteriore su cui credo che il presente schema di Decreto Legislativo vada molto elogiato: perché vi emerge un’attenzione alle pari opportunità, maggiore di quanto si potesse sperare non solo sulla base della Legge Delega n. 15 e del Testo Unico n. 165 (che pure include il noto art. 57), ma anche sulla base dei Disegni di Legge dell’opposizione di pari oggetto (il Polito-Turci e l’Ichino), del tutto silenti e colpevolmente indifferenti a questa problematica di genere. Per citare solo alcuni degli elementi rilevanti del presente schema di Decreto, sotto questo profilo, ricordo che nei principi generali (art. 3) si stabilisce che la valutazione e la valorizzazione del merito vanno perseguite “in un quadro di pari opportunità”, ribadendosi all’art. 8 la necessità del “raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità”. Poiché la discriminazione contro le donne italiane sul lavoro si consegue sia trattandole in modo diseguale a parità di tutto il resto, sia trattandole da eguali quando non lo sono, diviene poi giusto quanto è disposto all’art. 9, e cioè che “nella valutazione di performance individuale, non [siano] considerati i periodi di astensione obbligatoria per maternità o congedo parentale”. All’art. 10, poi, si richiede che la Relazione sulla performance prodotta da ogni Amministrazione Pubblica presenti “il bilancio di genere realizzato”. In tale prospettiva, infine, si contestualizzano meglio non solo la disposizione, già presente nella Legge Delega 15, secondo cui i 5 componenti della Commissione debbono essere scelti “nel rispetto del principio delle pari opportunità di genere”, ma anche lo stesso compito assegnato alla Commissione di favorire la  “cultura delle pari opportunità, con relativi criteri e prassi applicative”.

 

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