L’EDITORIALE DELL’AUTOREVOLE SETTIMANALE REGISTRA IL MUTAMENTO CHE HA SUBITO LA DIALETTICA POLITICA NEGLI USA E IN EUROPA: ORA IL SUO SPARTIACQUE È QUELLO CHE DIVIDE CHI ACCETTA LA SFIDA DELLA GLOBALIZZAZIONE DA CHI INTENDE BLOCCARLA; SINISTRA E DESTRA DIVENTANO DECLINAZIONI DI QUESTA SCELTA FONDAMENTALE
Editoriale pubblicato dal settimanale britannico The Economist il 30 luglio 2016 sotto il titolo: La globalizzazione e la politica: il nuovo spartiacque – Del testo in lingua inglese propongo di seguito la traduzione in italiano della parte iniziale e di alcuni brani ulteriori – Il mutamento del sistema politico qui puntualmente descritto è lo stesso che su questo sito è stato proposto negli ultimi anni in diversi articoli, tra i quali si segnalano: Una mappa per capire che cosa sta accadendo nella politica italiana, riflessione grafica del 6 ottobre 2013; Sta nascendo un bipolarismo diverso rispetto al passato, editoriale telegrafico del 27 ottobre 2014; In Grecia destra e sinistra estreme unite contro la strategia dell’Unione Europea, editoriale telegrafico del 29 gennaio 2015; Il nuovo bipolarismo della politica italiana, intervento di Alessandro Maran, vicepresidente del gruppo dei senatori PD, pubblicato sul sito Formiche.net il 15 novembre 2015; Perché nel vecchio continente salta la dialettica tradizionale fra destra e sinistra, mio articolo pubblicato sul quotidiano Il Foglio il 9 dicembre 2015; La svolta buona che ora serve al Governo (e all’Italia), articolo pubblicato sul quotidiano il Foglio il 12 gennaio 2016 a firma di otto parlamentari PD: Roberto Cociancich, Giampaolo Galli, Pietro Ichino, Linda Lanzillotta, Alessandro Maran, Gianluca Susta, Irene Tinagli, Giorgio Zanin
.
.
Scarica il testo in lingua inglese dell’editoriale
La globalizzazione e la politica: il nuovo spartiacque
Addio destra/sinistra. Il confronto che conta, ora, è tra apertura e chiusura
Come teatro politico, le convenzioni dei partiti americani non hanno eguali. Gli attivisti di destra e di sinistra si riuniscono per scegliere i loro candidati e celebrare l’opzione conservatrice (i repubblicani) e quella progressista (i Democratici). Ma quest’anno è andata diversamente, e non soltanto perche Hillary Clinton è divenuta la prima donna candidata alla Presidenza degli U.S.A. da un grande partito. Le convenzioni hanno evidenziato un nuovo spartiacque politico: non più tra destra e sinistra, ma tra apertura e chiusura. Donald Trump, il candidato repubblicano, ha riassunto la questione andando, come è solito, diritto al sodo: “Americanismo, non globalismo, sarà il nostro credo”, ha dichiarato. E le sue tirate anti-liberalizzazione dei mercati hanno trovato eco nei discorsi dell’ala del Partito Democratico che fa riferimento a Bernie Sanders.
In questo l’America non è sola. In giro per l’Europa i politici più sull cresta dell’onda sono quelli che presentano il resto del Mondo come cattivo e pericoloso, sostenendo che le nazioni sagge devono costruire muri per tenerlo fuori da casa propria. Questi argomenti hanno fatto vincere le elezioni e andare al governo gli ultranazioalisti ungheresi, e anche quelli polacchi, i quali propongono una miscela trumpiana di xenofobia e di indifferenza per i principi costituzionali. I partiti populisti e autoritari europei, siano essi di destra o di sinistra, oggi vantano un seguito elettorale all’incirca doppio rispetto a quello che avevano nel 2000, e sono al governo o in una coalizione di governo in nove Paesi. Fin qui la decisione britannica di uscire dall’Unione Europea costituisce la vittoria più importante conseguita dagli anti-globalizzazione: nel referendum di giugno gli anti-globalizzazione hanno fatto vincere la scelta britannica di abbandonare il club che ha realizzato il libero scambio nel modo più efficace, lisciando il pelo agli istinti isolazionisti degli elettori, ottenendo di spaccare l’elettorato dei due partiti maggiori.
Notizie che rafforzano l’appeal degli anti-globalizzazione arrivano quasi ogni giorno. Il 26 giugno due uomini che proclamavano fedeltà allo Stato Islamico hanno sgozzato un sacerdote cattolico di 85 anni in una chiesa vicino a Rouen. Ed è stato solo l’ultimo episodio in una serie di atrocità terroristiche verificatesi in Francia e in Germania. Il rischio è che un senso di insicurezza crescente possa portare a ulteriori vittorie elettorali per i sostenitori del mondo chiuso. Questo è il rischio pià grave che il mondo libero sta correndo, dopo quello comunista. Nulla oggi conta di più che difendersi da questo rischio.
Muri pià alti, standard di vita più bassi
Incominciamo col ricordare che cosa è in gioco. Il sistema multilaterale di istituzioni, regole e alleanze che ha negli U.S.A. il proprio Paese-guida ha sostenuto la crescita della prosperità globale per sette decenni. Esso ha consentito la ricostruzione dell’Europa nel dopo-guerra, l’isolamento del mondo chiuso del comunismo sovietico, e, mettendo in comunicazione la China con l’economia globale, ha realizzato la più grande operazione di riduzione della povertà nella storia umana.
Un mondo di costruttori di muri sarebbe più povero e più pericoloso. Se l’Europa si spacca trasformandosi in un insieme di frammenti litigiosi e l’America si ritira in una sua cuccia isolazionista, il vuoto verrà riempito da poteri molto meno benevoli di quelli che oggi ci governano.
[…]
In difesa dell’apertura
Un contrasto politico efficace della propaganda dei costruttori di muri richiederà da parte dei pro-global una maggiore capacità di narrazione e argomentazione, politiche più incisive e tattiche più efficaci. Incominciamo dalla capacità di comunicazione: i difensori di un mondo aperto e delle sue regole devono sviluppare il loro discorso in modo più diretto. […] Devono anche riconoscere, peraltro, che cosa manca perché la globalizzazione funzioni bene. La liberalizzazione degli scambi commerciali va diverse vittime, e i flussi intensi di immigrazione possono scardinare le comunità locali. […]
[…]
.
.