SULL’IMPEGNO DEL GOVERNO PER LA LIBERALIZZAZIONE DELLA FUNZIONE SVOLTA DALLA SIAE

L’ENTRATA IN VIGORE DELLA DIRETTIVA EUROPEA E IL PARERE DELL’AUTORITÀ ANTITRUST HANNO INDOTTO IL GOVERNO A MODIFICARE NOTEVOLMENTE LA PROPRIA POSIZIONE ORIGINARIA A FAVORE DELLA CONSERVAZIONE DEL REGIME DI MONOPOLIO SIAE

Intervista a cura di Andrea Dusio pubblicata su Hi Tech Magazine, agosto  2016 – In argomento v. anche il mio intervento in Senato del 21 luglio 2016, nella discussione generale del disegno di legge n. 2345/2016 (legge di delegazione europea).
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Professor Ichino, con un’interrogazione prima e poi una serie di emendamenti condivisi trasversalmente da varie forze politiche, lei e alcuni colleghi avete chiesto che fosse eliminato il monopolio Siae. Ma nonostante la direttiva Ue e le vostre iniziative, il governo continua a opporsi alla liberalizzazione del diritto d’autore. Quali sono le motivazioni addotte dall’esecutivo?
Occorre distinguere le posizioni espresse dal Governo nella fase iniziale di questa vicenda parlamentare e quelle espresse nella fase conclusiva. Nell’audizione che si era tenuta lo scorso 30 marzo, il Ministro Franceschini aveva preso le mosse da un’interpretazione molto restrittiva della Direttiva Barnier: sosteneva che, non essendo previsto uno specifico obbligo di abolizione del regime di monopolio legale (che ad oggi, su 28 Paesi europei, è in vigore solo in Italia e nella Repubblica Ceca), la Direttiva avrebbe consentito di mantenere l’impianto della nostra legge del 1941; e che la libertà di scelta assicurata dalla direttiva al titolare del diritto si sarebbe potuta esercitare con una scelta intra-europea e non necessariamente all’interno del proprio Paese. In quell’occasione il ministro aveva anche affermato che la situazione attuale del monopolio legale italiano costituirebbe un valore positivo perché darebbe maggiore potere contrattuale alla SIAE nel negoziare gli accordi di reciprocità con le altre collecting europeo con gli utilizzatori: ciò in quanto la SIAE da monopolista disporrebbe di un repertorio molto ampio di opere, non frammentato tra diversi gestori. Poi, però, oltre alle nostre interrogazioni parlamentari, è intervenuto il 1° giugno il parere dell’Antitrust, che è valso a cambiare sensibilmente l’orientamento del Governo.

Che cosa è cambiato?
Il Governo ha insistito per il ritiro dei nostri emendamenti, motivando la richiesta con la necessità che il disegno di legge comunitaria venisse varato subito senza un nuovo passaggio alla Camera;  ma ha accolto, in cambio, un ordine del giorno nel quale si impegna a dare attuazione nel prossimo futuro a quanto chiede l’Autorità garante del mercato e della concorrenza (il 27 luglio scorso questo stesso ordine del giorno è stato approvato dal Senato quasi all’unanimità). Più precisamente, se nei prossimi mesi la gestione della Siae continuerà a tenere una gestione incompatibile con i necessari criteri di efficienza e trasparenza e le altre regole molto precise definite dalla Direttiva Barnier, il regime di monopolio verrà abolito e si aprirà alla concorrenza anche in questo settore.

L’ordine del giorno, però, non pone un termine entro il quale questo impegno dovrà essere adempiuto.
Questo è il compromesso che abbiamo dovuto accettare. Però l’ordine del giorno sancisce l’accettazione da parte del Governo del parere dell’Antitrust, quindi del principio della liberalizzazione e della contendibilità della funzione. Mi sembra che questo costituisca un risultato molto rilevante, se si considerano le posizioni espresse inizialmente dal Governo, soltanto nel marzo scorso. D’altra parte, rifiutare questo compromesso ci avrebbe portati alla probabile bocciatura degli emendamenti, in ragione del fatto che il disegno di legge deve essere varato senza dilazione. E saremmo rimasti con un pugno di mosche in mano.

Perché, secondo lei, il governo ha assunto quella posizione iniziale, che sembra manifestare una sua sudditanza nei confronti della Siae?
Probabilmente una componente del Governo ritiene che l’intervento più opportuno consista nel ristrutturare la SIAE per “salvare” migliaia di posti di lavoro. Il fatto è che queste migliaia di posti  sono in esubero rispetto al necessario. Inserire la Siae in un contesto competitivo la costringerebbe a evolversi e a superare le sue gravissime inefficienze attuali. Qualche suo dipendente dovrebbe cambiare datore di lavoro, certo. Ma i casi sono due: o quel qualcuno ha una competenza vera, una professionalità realmente spendibile nel settore, e allora probabilmente finirebbe coll’essere assunto da qualche altro nuovo operatore concorrente; oppure quel qualcuno è stato assunto solo perché figlio o nipote di qualcun altro che sta al vertice della Società, e allora non ci si deve rammaricare che perda il posto.

Quali sono le critiche principali che lei muove a Siae?
Vorrei chiarire preliminarmente che non può essere sottovalutato quanto la Siae ha costruito negli anni: un patrimonio di organizzazione e di conoscenze che non deve andare perduto. Va però anche riconosciuto che in questa costruzione si sono purtroppo verificate nel tempo diverse anomalie e inefficienze anche gravi: alcune delle quali l’hanno anche portata più volte al commissariamento.

In che senso lei parla di “anomalie”?
Nella categoria delle anomalie metterei innanzitutto la grave ipertrofia della struttura e i relativi costi spropositati; costituiscono, poi, una anomalia anche più grave i criteri nepotistici o clientelari con cui sono state fatte numerose assunzioni di personale dipendente. Ma il rimprovero più pesante che va mosso alla Siae riguarda l’enorme ritardo che essa, proprio perché operante in regime di monopolio e quindi non stimolata dalla concorrenza, ha accumulato sul piano tecnologico. Siamo di fronte a un mercato ormai mondializzato e prevalentemente digitalizzato, nel quale le modalità di fruizione delle opere è profondamente cambiata, così come si sono moltiplicate le modalità svariate di sfruttamento delle opere tramite la concessione di licenze on line con valenza in Paesi diversi. La SIAE non è riuscita a stare al passo con questi cambiamenti. E non è tutto.

Quali altre doglianze muovete alla Siae?
Altre doglianze nei suoi confronti hanno a oggetto non soltanto i costi di gestione eccessivi, che vengono riversati sui titolari dei diritti d’autore e sugli utilizzatori delle opere, ma anche le rendicontazioni non analitiche, cioè non basate sul numero delle utilizzazioni di ciascuna opera bensì su ripartizioni forfettarie. Alla Siae si rimproverano, ancora, i pagamenti molto tardivi e a volte anche l’assenza dei pagamenti. Le si rimprovera l’impossibilità di una vera partecipazione di tutti gli autori nel processo decisionale. Le si imputa l’opacità complessiva della gestione: oggi le informazioni devono circolare in modo costante, fluido, digitale, pervenendo ai destinatari in tempo reale. E devono essere chiare, immediatamente comprensibili: i tabulati illeggibili dovrebbero essere ormai un ricordo del secolo passato.

Non tutti gli autori, però, si attendono questi livelli di performance: si ha l’impressione che alla maggior parte di loro basterebbe anche soltanto una maggiore regolarità e congruità dei pagamenti.
È vero: la conoscenza della materia è scarsa anche da parte degli stessi titolari dei diritti. Ma questo costituisce un motivo ulteriore di insoddisfazione nei confronti della Siae: sarebbe suo compito di promuovere la cultura della trasparenza, dell’informazione chiara, tempestiva e analitica. Ma è un circolo vizioso: se i suoi rappresentati conoscessero meglio i loro diritti, conoscessero i livelli di trasparenza e completezza dell’informazione oggi resi possibili dalle nuove tecnologie, essi non consentirebbero la mala gestio dei loro interessi cui si è assistito in questi anni. Non accetterebbero mai di approvare rendiconti incomprensibili, sistemi di ripartizione dei proventi derivanti dall’utilizzazione delle opere farraginosi e burocratici.

Lei sta tracciando un quadro molto fosco, pieno di ombre. Non vede nessuna luce?
Qualche piccola luce c’è: l’atteggiamento della Siae, anche in conseguenza delle vicissitudini che l’hanno vista protagonista o parte in causa, è cambiato in meglio. Però non comprendo questa ostinata difesa da parte sua dell’articolo 180 della legge del 1941, cioè del regime di monopolio: il più delle volte, come la storia delle telecomunicazioni insegna, all’abolizione di un monopolio legale segue un momento di stabilizzazione e successivamente di aggregazione del mercato intorno a due o tre operatori efficienti, uno dei quali potrebbe certamente essere la stessa Siae. L’effetto della liberalizzazione per SIAE non sarebbe dunque catastrofico: essa, con ogni probabilità, sopravviverebbe alla fine del regime di monopolio; ma sarebbe costretta a diventare più efficiente. E questo sarebbe salutare da molti punti di vista. A me sembra che essa dovrebbe, dunque, dimostrarsi fin d’ora più aperta a valutare opzioni che rendano contendibile la sua funzione, avendo come scopo prioritario non l’autoconservazione del suo apparato attuale, ma la tutela dei suoi associati. Questi resterebbero comunque, in gran parte, legati alla struttura che conoscono da anni, anche quando fosse data loro la possibilità di scegliere un altro organismo di gestione collettiva; ma proprio questa possibilità darebbe loro più potere, maggior peso nell’esigere l’efficienza a cui hanno diritto. Per dirla con Hirschman, darebbe loro, oltre che una più forte opzione voice in seno alla struttura, anche l’opzione exit, che oggi in Italia è loro negata.

Da alcune parti sembra profilarsi l’ipotesi che il recepimento della direttiva UE possa essere attuato non con una liberalizzazione, ma limitandosi a riformare la Siae. Lei crede che sia un’ipotesi percorribile?
Accogliendo l’ordine del giorno presentato da me con un folto gruppo di altri parlamentari al Senato, il Governo si è impegnato a cambiare linea rispetto al passato anche recente. Nel panorama europeo la SIAE è un unicum: non esistono altre collecting che accentrino la gestione dei diritti relativi a categorie diverse di opere: non solo le musicali, di cui oggi maggiormente si discute, ma anche le cinematografiche, le teatrali, le opere d’arte, ecc. Persino nella Repubblica Ceca, che è rimasta con un regime di monopolio analogo al nostro, vi sono quattro collecting diverse in relazione ad altrettanti settori di opere da tutelare. Accogliendo il nostro ordine del giorno e facendo proprio il parere dell’Antitrust, comunque, il Governo ha sostanzialmente preso atto che, nel contesto europeo attuale, non c’è più l’alternativa tra liberalizzare si e liberalizzare no, bensì soltanto la questione circa il come liberalizzare il settore.

Vuole dire che la sola ristrutturazione di Siae potrebbe non bastare?
Certo che non basterebbe. Ma, sia ben chiaro, potrebbe non bastare neppure l’apertura del mercato, la liberalizzazione, se essa non fosse disciplinata correttamente. L’esperienza dei Paesi che hanno costruito sistemi aperti potrebbe insegnarci molto. Con l’accoglimento del nostro ordine del giorno il Governo si è impegnato innanzitutto a vigilare in modo molto penetrante sul come la SIAE si adeguerà ai nuovi livelli essenziali di qualità del servizio, in termini di efficienza, trasparenza, informazione e partecipazione della base associativa alle decisioni, ivi incluse quelle su come destinare gli introiti non distribuiti, che nella gestione Siae presente e passata sono di entità assai rilevante. Ma si è impegnato anche a promuovere efficacemente l’evoluzione dell’ordinamento secondo quanto indicato nel parere dell’Antitrust del 1° giugno: all’orizzonte, dunque, a breve o medio termine, c’è la liberalizzazione. Anche perché, altrimenti, dovremmo far fronte a una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea.

Nella scorsa legislatura una commissione parlamentare ha affrontato la questione della Siae, analizzandone a fondo i problemi di funzionamento. Perché al termine dei lavori di quella commissione non si è proceduto a mettere mano all’assetto attuale della gestione del diritto d’autore?
La Commissione parlamentare che affrontò la questione nella passata legislatura era stata chiamata ad analizzare una situazione particolare di SIAE: quella che avrebbe portato poi al commissariamento. E all’epoca non c’era ancora la direttiva Barnier, che è stata emanata nel 2014 ed è entrata in vigore nell’aprile di quest’anno, e che indica in modo inequivoco la via dell’apertura alla concorrenza del mercato dei servizi per la tutela dei diritti d’autore.

L’I.M.A.I.E. (Istituto per la Tutela dei Diritti degli Artisti Interpreti ed Esecutori – n.d.r.), però, è stato messo in liquidazione.
In quel caso il fallimento, in senso tecnico, dell’ente ha reso inevitabile una presa di posizione drastica da parte del Governo: il quale ha dunque scelto la strada della liberalizzazione. Per SIAE si è scelta invece, in un primo tempo, la via della ristrutturazione dell’ente, con il cambiamento del management. Ora, però, lo scenario è cambiato: è entrata in vigore nell’aprile scorso una norma europea che garantisce ai “titolari dei diritti … il diritto di scegliere liberamente l’organismo di gestione collettiva”. E questo cambiamento del contesto ordinamentale europeo si combina con l’esigenza che viene sottolineata da Bruxelles, di una riforma dell’intero sistema del copyright. L’insieme di queste circostanze ci obbliga a por mano alla sostituzione radicale della nostra vetusta legge del ’41 su questa materia.

C’è chi sostiene che i problemi sollevati dalla liberalizzazione dei “diritti connessi” dovrebbero indurre a una certa prudenza in tema di cancellazione del monopolio sul diritto d’autore. Lei ritiene che per la Siae sia auspicabile un ruolo di controllo su di un mercato liberalizzato, come sembra indicare la proposta di legge dei 5 Stelle?
La fase di transizione da un regime di monopolio a un regime di concorrenza deve sempre essere regolata e controllata con molta attenzione, soprattutto per evitare abusi di posizione dominante di cui sovente, in questa fase, fanno le spese i new entrants, poiché le reti e i dati di coloro che hanno operato per decenni non sono replicabili in tempi brevi. L’idea che la funzione di vigilanza e controllo sul processo di liberalizzazione venga affidata proprio all’ex-monopolista mi sembra davvero poco sensata. Mi sembra invece che la scelta più appropriata sia quella di assegnare questa funzione al suo titolare naturale: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Se il ministro Franceschini non è convinto delle modalità che deve assumere il recepimento della direttiva UE, perché a suo parere non ha aperto un tavolo tecnico?
Non escludo che il Ministro ci stia pensando. Un tavolo tecnico, però, ha senso se vi partecipano tutti i soggetti coinvolti, compresi i titolari dei diritti che si intendono tutelare. Oggi presso il ministero è in funzione un organo di questo genere: il Comitato Consultivo Permanente per il Diritto d’Autore; ma questo comitato ha una composizione non totalmente rappresentativa (non vi sono rappresentati gli utilizzatori e i fornitori delle tecnologie). Del resto, la sua costituzione risale al ’41 e il suo funzionamento è ancora disciplinato dall’articolo 191 della legge sul diritto d’autore. È invece indispensabile il coinvolgimento anche degli utilizzatori, che sono i finanziatori diretti dell’intero sistema. Il gruppo trasversale di parlamentari firmatari dell’ordine del giorno accolto dal Governo si farà promotore di un “tavolo” più rappresentativo.

In queste ore molti artisti di punta, tra musicisti, cantanti e autori cinematografici, hanno firmato un appello in difesa della Siae, come se senza di essa la tutela del diritto d’autore fosse destinata a venir meno. Cosa direbbe a questi artisti per spiegare loro che le cose non stanno così?
In questo come in moltissimi altri campi noi italiani dovremmo imparare a sfruttare meglio l’unico vantaggio di cui gode un Paese arretrato: la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio l’esperienza accumulata dai Paesi più avanzati, dove le cose funzionano meglio. La comparazione internazionale consente di conoscere e discutere di una ampia gamma di modelli alternativi rispetto al nostro attuale: e non mi riferisco soltanto alle alternative disponibili sul piano della disciplina del mercato, ma anche a quelle disponibili sul piano della strumentazione tecnica. Nell’era della rete non possiamo continuare ad avvalerci soltanto dei bollini SIAE apposti sui CD. Apertura alla concorrenza significa anche consentire la sperimentazione di tecniche nuove: penso per esempio a tecnologie come quelle utilizzate da Spotify, Deezer e altre piattaforme che sono avanti anni luce rispetto alla strumentazione oggi utilizzata dalla Siae. Così stando le cose, le affermazioni del tipo “senza SIAE siamo indifesi” appaiono letteralmente fuori del mondo. Anche il Governo dovrebbe investire in una campagna volta a far comprendere agli artisti le novità tecnologiche, oltre che quelle attinenti alla disciplina europea e nazionale della materia, a far conoscere meglio i loro diritti derivanti da una normativa necessariamente complessa, destinata comunque a evolvere rapidamente con lo sviluppo del mercato unico digitale.

 

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