QUESTO ERA PARSO DALLE PRIME NOTIZIE SUL RINNOVO DEL LORO CCNL; MA UNA LETTURA ATTENTA DELL’ACCORDO MOSTRA CHE LE COSE NON STANNO COSÌ – RESTA IL FATTO CHE QUESTI SINDACATI PUNTANO SOLTANTO ALL’INAMOVIBILITÀ DI CHI È GIÀ “DENTRO” E IGNORANO LE TECNICHE DI PROTEZIONE NUOVE, CHE POTREBBERO APPLICARSI A TUTTI
Messaggio pervenuto il 13 luglio 2016 – Seguono il testo del Protocollo di Intesa 13 luglio 2016, il mio commento e un commento di A.M. Orazi – In argomento v. anche Il § 6 di Domande e risposte politiche sul contratto a tutele crescenti e la mia risposta sul tema Perché negoziare l’articolo 18 nel cambio di azienda non è la soluzione più conveniente .
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Senatore Ichino, la notizia del protocollo per il rinnovo del contratto c ollettivo per il settore della rimozione dei rifiuti urbani, contenente una clausola di “recupero” dell’articolo 18, è stata commentata così dal suo collega Sacconi, presidente della Commissione Lavoro del Senato: “[le clausole in questione] sembrano modi con cui sbarrare la strada a possibili outsiders nella gestione dei servizi di pubblica utilità. Le chiusure corporative non aiutano l’evoluzione dei rapporti di lavoro e la maggiore qualità di servizi che sono spesso stati resi inefficienti dai lunghi periodi di monopolio”.
Se il bel tempo si vede dal mattino… che cosa dobbiamo attenderci dai prossimi rinnovi contrattuali anche in altri settori? E che dire di questa categoria non benemerita (v. lo stato delle nostre città del centro-sud assediate dai rifiuti) che pensa soltanto a garantirsi la propria inamovibilità? Mi interesserebbe sapere che cosa ne pensa lei.
S.M.
Scarica il testo del Protocollo di intesa 12 luglio 2016 in formato pdf
Si tratta del “Protocollo di Intesa” stipulato ieri, 12 luglio, dalla sezione Rifiuti Urbani della FiseAssoambiente con FP-Cgil, Fit-Cisl, UilTrasporti e Fiadel, che stabilisce i contenuti essenziali del rinnovo del contratto collettivo nazionale di settore, destinato ad applicarsi fino al giugno 2019. Nel § 3 del protocollo si prevede l’inserimento nel nuovo contratto di una “disposizione transitoria” che recita testualmente: “Passaggio di appalto – In via sperimentale per la vigenza del c.c.n.l. è recepita la normativa di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970, come modificata dalla legge n. 92/2012, anche nei casi di passaggio di appalto, in favore dei lavoratori in forza alla data di stipulazione dell’accordo di rinnovo i quali erano in forza nel settore anche alla data del 6 marzo 2015“. In sostanza, questa clausola fa sì che si consideri come assunto prima del 7 marzo 2015, quindi assoggettato alla disciplina dei licenziamenti previgente (e non al c.d. Jobs Act) anche il lavoratore che è stato assunto dopo quella data, ma a seguito di un “cambio di appalto”, per assorbimento degli organici dell’appaltatore precedente da parte del nuovo appaltatore. Si tratta di norma transitoria, non soltanto perché viene qualificata formalmente come tale nel Protocollo, ma anche perché essa pone come requisito per l’applicazione della vecchia normativa il fatto che il “cambio di appalto” sia avvenuto prima di questo rinnovo del ccnl: ciò significa, per converso, il riconoscimento esplicito da parte delle organizzazioni sindacali dell’applicabilità della nuova disciplina dei licenziamenti in tutti i casi di “assorbimento” di dipendenti da parte del nuovo appaltatore nei “cambi di appalto” che avverranno da oggi in poi. Così stando le cose, mi sembra che l’episodio non possa essere classificato come un atto di “ribellione” del sistema delle relazioni industriali alla riforma legislativa: la disposizione transitoria si limita a neutralizzarne gli effetti per i soli cambi di appalto avvenuti nell’ultimo anno, riconoscendo però esplicitamente la sua applicabilità per i cambi di appalto futuri.
Certo, colpisce il fatto che in questo Protocollo non compaia un solo accenno alla necessità del miglioramento qualitativo di un servizio che non brilla certo per i suoi standard medi. E colpisce l’atteggiamento di questi sindacati dei lavoratori che si arroccano in difesa dell’inamovibilità di chi è già “dentro”, invece che spendere il proprio potere contrattuale per rafforzare le protezioni di nuova generazione per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla data di assunzione: avrebbero potuto, per esempio, negoziare un trattamento complementare di disoccupazione (che avrebbe goduto dell’esenzione fiscale prevista dall’ultima legge di stabilità per il c.d. “welfare aziendale”) e rafforzare il diritto dei lavoratori ai servizi di assistenza intensiva nel caso di perdita del posto per motivi economici od organizzativi: ma di questo nell’accordo non c’è nulla. Questo Protocollo è il frutto di una battaglia di retroguardia, della quale finiscono col beneficiare soltanto gli insiders di oggi: nessun progresso sul piano della sicurezza generale dei lavoratori nel mercato del lavoro, della migliore allocazione delle risorse umane nel tessuto produttivo. E nessun impegno per il miglioramento della qualità di un servizio pubblico essenziale che versa in condizioni di grave sofferenza. Una occasione perduta. (p.i.)
IL SINDACATO È UNA ASSOCIAZIONE PRIVATA: È NORMALE CHE FACCIA SOLTANTO L’INTERESSE DEI PROPRI ASSOCIATI
Caro professore, a proposito delle clausole di garanzia del nuovo contratto rimozione rifiuti, bisognerebbe rammentare sempre che, pur nelle forme anomale che sappiamo, il sindacato è una organizzazione a base volontaria, anche ovviamente per la contribuzione economica… quindi il sindacato, come qualunque bottegaio, è portato a conservare, tutelandoli, i vecchi clienti già acquisiti, piuttosto che pensare ai nuovi, possibili, clienti da acquisire; anche a costo di attardarsi, con miopia, nella retroguardia di un esercito destinato a sparire, nella sua dimensione usata, insieme a loro. Infatti sappiamo bene che la storia non ha mai premiato le retroguardie.
Mentre il sindacato potrebbe risorgere se si ponesse, invece, all’avanguardia della trasformazione del lavoro, spostando il focus delle tutele dall’interno del rapporto di lavoro al suo esterno, ovvero al mercato, nell’ambito del quale perseguire una assoluta parificazione di diritti e doveri di tutti i prestatori d’opera: subordinati, parasubordinati, autonomi; privati e pubblici. Perché se il futuro del lavoro è oggettivamente incerto nessuno, pur con le tutele del caso, dovrebbe essere lasciato indenne dall’incertezza. Sapendo bene che questa incertezza è mitigabile con la cura dell’accrescimento continuo delle competenze professionali di ciascun lavoratore, anche nella sua dimensione di persona umana.
Cordialmente
A.M. Orazi
D’accordo. Purché però il sindacato che segue questa logica non abbia la pretesa di parlare a nome di tutti i lavoratori. (p.i.)
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