NEL 2014 E 2015 L’ITALIA HA RECUPERATO CIRCA METÀ DEL MILIONE DI OCCUPATI PERSI NEI 4 ANNI PRECEDENTI DI CRISI GRAVISSIMA, MA LI HA RECUPERATI SOLO NELLA FASCIA DEGLI ULTRACINQUANTENNI, MENTRE L’OCCUPAZIONE GIOVANILE È RIMASTA STABILE A UN LIVELLO BASSO: QUESTO È OGGI IL PROBLEMA CUI OCCORRE DARE PRIORITÀ ASSOLUTA
Articolo di Gianpiero Dalla Zuanna, senatore Pd e professore di demografia all’Università di Padova, pubblicato il 13 luglio 2016 sul sito Neodemos, dove si possono vedere anche le tabelle con le serie complete dei dati a cui l’articolo fa riferimento – Sulla questione della disoccupazione giovanile v. anche Perché i Neet (e di chi è la colpa) – Sull’andamento generale dell’occupazione nel primo anno dopo la riforma, v. Come vanno letti i (buoni) dati sull’occupazione .
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La pubblicazione dei dati Istat di maggio sulle forze di lavoro permette di fare il punto sull’occupazione nel nostro paese ragionando su quanto è accaduto dall’inizio della crisi. Concentriamoci sui valori assoluti degli occupati, ossia su dati che meglio permettono di dare una misura della capacità del sistema Italia di creare (o di distruggere) lavoro .
Nel 2008, prima della crisi, il numero di occupati toccò un picco, superando 23 milioni di unità. La crisi ha provocato una grande distruzione di lavoro: in cinque anni, più di un milione di posti sono andati perduti, quasi equamente ripartiti fra lavoro dipendente e indipendente (tabella 1).
Dopo il 2013 le cose cambiano in meglio: nel giro di tre anni vengono recuperati mezzo milione di posti di lavoro, ossia metà di quelli perduti nei cinque anni precedenti. Questa volta si tratta esclusivamente di lavoro dipendente: +400 mila a tempo indeterminato e +200 mila a tempo determinato, mentre i lavoratori autonomi continuano lentamente a declinare. Nel maggio del 2016, il recupero del lavoro dipendente è completato, perché i posti di lavoro di questo tipo sono gli stessi del 2008, mentre i lavoratori autonomi sono mezzo milione in meno rispetto a otto anni prima.
Grandi sono le modifiche della composizione per età dei lavoratori. Nel giro di appena otto anni (dal 2008 al 2016) i lavoratori con meno di 35 anni diminuiscono del 28% e quelli in età centrale del 6%. Al contrario, nello stesso periodo i lavoratori ultracinquantenni aumentano del 39%. In questo breve arco di tempo il rapporto fra lavoratori giovani e lavoratori maturi si inverte: da 7/5 a 5/7.
In questi andamenti si legge in controluce la demografia degli ultimi decenni, specialmente il baby boom del ventennio 1950-70 e il crollo delle nascite successivo al 1980. Ma l’aumento dei lavoratori anziani è legato anche alla riforma Fornero del 2012, che ha innalzato bruscamente l’età alla pensione, mentre la diminuzione dei lavoratori giovani è legata anche all’incremento degli studenti.
Alla fin fine, la differenza di età la fa da padrona. L’incremento di 500 mila lavoratori fra il 2013 e il 2016 è frutto della combinazione fra la diminuzione di 500 mila lavoratori in età 15-49 e l’incremento di un milione di lavoratori ultracinquantenni. Il tasso di occupazione di questi ultimi è aumentato rapidamente (15 punti percentuali in più dal 2004 al 2016!), mentre quello dei lavoratori più giovani è diminuito drammaticamente nel quinquennio 2008-13, restando poi costante negli anni successivi.
La rapidità dei mutamenti appena descritti aiuta a comprendere come mai il notevole incremento di posti di lavoro dell’ultimo triennio è stato percepito, nel nostro paese, solo in misura parziale. Infatti, esso non si è tradotto in un incremento del tasso di occupazione dei giovani, mentre lavorare di più non è certo vissuto dagli adulti maturi come una conquista sociale …
Una lettura superficiale di questi dati potrebbe suggerire che l’unica strada per aumentare l’occupazione giovanile è agevolare, in qualche modo, la fuoruscita degli anziani dal mercato del lavoro. Le cose però non sono così semplici, e non solo a causa dell’inevitabile squilibrio che ciò genererebbe in un sistema pensionistico ancora in sofferenza, a causa delle scelte dissennate del passato.
Il vero problema è che la sostituibilità degli anziani con i giovani è assai problematica. Infatti, mentre gran parte dei nuovi pensionati fa lavori manuali, gran parte dei giovani che si affacciano sul mercato del lavoro vorrebbero fare lavori non manuali, visto che hanno acquisito un titolo di studio superiore.
Quindi non ci sono scorciatoie. L’occupazione dei giovani può aumentare solo se vengono creati ex-novo buoni posti di lavoro qualificati. Altrimenti, i giovani questi lavori andranno a cercarseli all’estero. Qualcosa si è mosso in questi ultimi anni, tanto che fra il maggio del 2015 e il maggio del 2016 i lavoratori in età 15-34 sono passati da 4 milioni e 900 mila a 5 milioni e 100 mila, aumentando per la prima volta dal 2004 (ossia da quando esistono le serie mensili degli occupati). La strada è quella giusta, ma la sfida è solo all’inizio.
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