“PERCHÉ FINO AGLI ANNI 2000 CREDEVAMO CHE IL FUTURO SAREBBE STATO MIGLIORE DEL PASSATO E PERCHÈ ORA É L’OPPOSTO? DENTRO QUESTA NARRAZIONE CI STANNO GLI IMMIGRATI, L’EURO, L’EUROPA DELLE BANCHE, IL FUTURO TTIP: TANTA FUFFA MA ANCHE UN PO’ DI VERITÀ”
Messaggio pervenuto l’11 luglio 2016, in riferimento a quello di Francesco Robiglio, Gli effetti della Brexit saranno l’antidoto migliore contro il vento no-global .
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Gentile dottor Ichino, ho letto l’intelligente intervento del sig. Robiglio sulle peculiarità delle dinamiche britanniche sulla scelta Brexit. Da quel poco che capisco quel paese vive una distanza siderale tra la realtà della City e il “rest of Britain”, un solco che in tale misura non si ritrova, forse, altrove nella UE. Ma mi pare che tali peculiarità siano, in fondo, solo di facciata. In molti paesi (da ciò che leggo) ritroviamo un mucchio di persone che si considerano perdenti della globalizzazione, a torto o a ragione ma quel che conta é il sentiment, come la cattiva politica ha ben compreso. I dati sull’aumento della diseguaglianza a livello dei singoli Stati (non nel mondo; ma questo non conta nella percezione) stanno lì a certificare che, da questo punto di vista, le cose sono peggiorate, anche se magari il PIL pro capite di tali gruppi di popolazione è rimasto fondamentalmente stabile (e ho letto che, in U.K. particolarmente, la crescita della ricchezza personale é stato fortemente disomogenea e insufficiente: vivere a Londra con un lavoro é spesso un investimento in perdita!). Ma l’Europa ha fallito in quanto gruppo nella gestione dell’immigrazione e ha consentito agli isolazionisti di spostare sugli immigrati il peso delle frustrazioni che viviamo, un capro espiatorio perfetto. Anche chi sta economicamente bene ha gioco facile nel vedere in essi un movens dei propri “dolori”, soprattutto perché il più grande problema che ci unisce tutti è la mancanza di una prospettiva positiva. Perchè fino agli anni 2000 credevamo che il futuro sarebbe stato migliore del passato? Perchè ora é l’opposto? Dentro questa narrazione ci stanno gli immigrati, l’Euro, l’Europa delle banche, il futuro (?) TTIP: tanta fuffa ma anche un po’ di verità, per quel che capisco io. Se anche l’Economist ha invocato un bagno di umiltà dei liberisti che non hanno saputo governare al meglio la globalizzazione (e chi avrebbe potuto farlo?) allora è ora di muoversi. Basta proclami renziani, ammettiamo i difetti e, con un lessico diverso ed alternativo rispetto a quello dei feroci divisori, diciamo che le cose devono cambiare. Che dobbiamo aiutare i perdenti (lei questo lo dice da tempo), che indietro non si torna ma una qualche forma redistributiva é inevitabile; che l’Europa deve essere eletta e vicina (Parlamento e Commissione/Governo, basta col Consiglio); che ci sia meno NATO, che non sempre fa i nostri interessi geopolitici (ed anche noi stessi spesso non li facciamo, vedi gestione della Libia) ma un esercito europeo! che ci sia la trasparenza totale in ogni atto pubblico locale, governativo e sovranazionale (qui mi pare ci sia ancora un bel po’ da fare, ma non sono un esperto); come é possibile che tutti, anche molti economisti, parlino di eccesso di finanza e nessuno sia in grado di modularne gli aspetti negativi? Quanti altri argomenti vogliamo lasciare ai banalizzatori? E poi voi intellettuali per bene, ricordate che il mezzo televisivo é ancora (web a parte) importante nel creare la percezione del mondo e va occupato con l’onestà degli argomenti. So che la realtà é difficile da spiegare nell’era post-ideologica, io fatico a capirla compiutamente, ad organizzarla nella mia biblioteca personale. So che non è facile, oggi nulla sembra esserlo, neppure trovare un posto nel mondo del lavoro all’epoca del Jobs Act (e parlo per difficoltà personale che non vuole essere paradigma di nulla, magari é tutta colpa mia). Cari saluti
Roberto Rondoni
Il mio consenso con questo modo di guardare al “vento no-global” che sta spazzando l’Occidente è espresso sinteticamente negli editoriali telegrafici E se provassimo a non chiamarli populisti?, del 4 luglio, e Urge occuparsi dei perdenti della globalizzazione, del 17 giugno. (p.i.)
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