I TERMINI INTRODOTTI PER ACCELERARE I PROCEDIMENTI DISCIPLINARI OPERANO NELL’INTERESSE PUBBLICO AL BUON ANDAMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE, NON NELL’INTERESSE DEL DIPENDENTE COLPEVOLE: ESSI DUNQUE NON DEVONO E NON POSSONO TRASFORMARSI IN TRAPPOLE PER PROTEGGERE QUEST’ULTIMO DALLA SANZIONE
Dichiarazione raccolta a cura di Marianna Berti per l’Agenzia di Stampa Ansa, 16 giugno 2016 – In argomento v. anche la mia relazione alla Commissione Lavoro del Senato sul decreto e le osservazioni della Commissione stessa.
La parte della riforma Brunetta del 2009 relativa ai procedimenti disciplinari, conteneva diverse norme con cui si intendeva accelerare i procedimenti stessi in funzione dell’interesse pubblico alla punizione rapida ed efficace dell’impiegato colpevole di mancanze. Queste norme, tuttavia, avevano prodotto l’effetto paradossale di attivare delle vere e proprie tagliole procedurali: se l’amministrazione lasciava scadere un termine, ciò determinava l’illegittimità della sanzione disciplinare: così una regola mirata a rendere più severo e incisivo il sistema finiva col trasformarsi in una forma di sanatoria per l’impiegato colpevole. Ora il decreto approvato dal Governo corregge questo involontario errore, stabilendo che la violazione dei termini molto stretti entro cui nel settore pubblico il procedimento disciplinare deve svolgersi costituisce, sì, un inadempimento del quale i dirigenti responsabili possono essere chiamati a rispondere sul piano disciplinare interno, ma non costituisce più causa di nullità del procedimento. Il decreto, cioè, dice esplicitamente che quei termini sono posti soltanto nell’interesse pubblico al corretto funzionamento dell’amministrazione, non nell’interesse del dipendente imputato di una mancanza, per il quale vale soltanto la protezione generale che vale anche per i dipendenti di imprese private.
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