LA SUA CAPACITÀ DI COGLIERE ESIGENZE VITALI (E TRASVERSALI) DEL PAESE PRIMA E MEGLIO DI TANTI ALTRI GLI HA CONSENTITO DI VINCERE ALCUNE GRANDI BATTAGLIE DI LIBERTÀ; MA IL SUO LIMITE È CONSISTITO IN UNA INGUARIBILE VOCAZIONE MINORITARIA
Editoriale telegrafico nel giorno della morte di Marco Pannella, 19 maggio 2016 – Sul mio scontro con lui dell’autunno 2010, ai tempi della nostra battaglia comune per la riforma elettorale nel segno dell’uninominale maggioritario, v. Un ruvido carteggio con Marco Pannella, dal quale emerge direttamente il suo orrore per qualsiasi iniziativa che comportasse il coinvolgimento di (e dunque in qualche misura la discussione e il compromesso con) forze politiche diverse .
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La grandezza e insieme il limite grave di Marco Pannella sul piano politico sono sempre consistiti nel suo sostanziale rifiuto della politica parlamentare. Certo, il suo Partito Radicale è stato più volte e in varie forme presente in Parlamento; ma sempre, volutamente, come un corpo estraneo. La sua idea della politica è sempre stata quella dell’appello diretto alla gente, agli elettori, in polemica con i partiti che li rappresentavano in Parlamento. Questo gli ha consentito di “vedere” in modo geniale temi politici trasversali rispetto agli schieramenti, che per questo sfuggivano all’establishment dei partiti; e così di mettere a fuoco prima e meglio di tanti altri la possibilità di vincere le grandi battaglie referendarie sul divorzio e sull’aborto. Ma lo ha anche portato ad assolutizzare lo strumento referendario, finendo col renderlo inutilizzabile. Per altro verso lo ha portato a orientare il suo partito, di volta in volta, secondo il vento che tirava, alla ricerca di un consenso effimero: flirtando ora con gli estremisti di sinistra, ora con i verdi ed ecologisti, ora con il berlusconismo trionfante; candidando come capilista del partito da lui fondato ora Toni Negri, ora Ilona Staller in arte Cicciolina, ora persino Licio Gelli (se non fosse stato per l’intervento provvidenziale di Leonardo Sciascia che lo ha impedito in extremis), sempre alla ricerca di un refolo di opinione pubblica “anti-regime” che gonfiasse la vela almeno un po’, almeno per un po’. Col risultato che non ha mai costruito un partito capace di candidarsi credibilmente a governare il Paese. Perché a ben vedere non lo ha mai voluto: si può ben parlare, a questo proposito, di una sua marcata vocazione minoritaria. Ha allevato singole figure politiche eccellenti – prima fra tutte Emma Bonino – alcune delle quali hanno svolto in modo esemplare incarichi parlamentari o di governo; ma il suo egocentrismo dittatoriale lo ha portato per lo più a scontrarsi violentemente coi propri discepoli fino a rompere con loro ogni rapporto personale e politico. A suo modo è stato un grande della politica italiana, di cui ci accadrà di sentire la mancanza; forse era necessario che lo fosse in questo modo; certo, dietro di sé lascia molte macerie.
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