PERCHÉ IL REFERENDUM COSTITUZIONALE NON DEVE ESSERE “SPACCHETTATO”

AL CORPO ELETTORALE, CON IL REFERENDUM CONFERMATIVO, VIENE AFFIDATA LA STESSA FUNZIONE CHE SVOLGE L’ASSEMBLEA PARLAMENTARE AL TERMINE DELLA DISCUSSIONE DI UN PROGETTO DI LEGGE, CON LA SUA APPROVAZIONE COMPLESSIVA

Lettera pervenuta il 18 maggio 2016 – Seguono la mia risposta e quella del professor Carlo Fusaro, professore di diritto costituzionale nell’Università di Firenze.

Caro Ichino, leggendo il suo dialogo con De Bortoli mi sono convinto che, tutto sommato, abbia ragione lei. L’Italia del “no” è, a ben vedere, la stessa che è stata incapace di riformare le istituzioni per un intero trentennio: se vincesse il “no” sarebbe il trionfo di quell’Italia, con la prospettiva di rimanere fermi se non per trenta, almeno per altri dieci anni. Venti di meno perché ora incominciano a essere i problemi di sopravvivenza del Paese e della sua economia a costringerci a ritmi un poco più veloci. Detto questo, però, mi chiedo se non abbiano ragione quelli che chiedono la suddivisione del referendum in tre o quattro quesiti, in modo che sia possibile, per esempio, votare sì alla riforma del Senato, e no a quella delle competenze regionali; sì alla soppressione del CNEL, ma no alla nuova norma sull’elezione del Capo dello Stato. Mi interesserebbe molto sapere che cosa lei ne pensa. Cordialmente
L.C.

SCHEDA NELL'URNAAgli elettori, col referendum, non si chiede di “modellare” o “redigere” la riforma costituzionale, perché è difficile pensare che l’opera di redazione, già problematica in un’aula parlamentare di 300 o di 600 persone, possa essere svolta da decine di milioni di persone. Per questo al corpo elettorale si chiede soltanto un “sì” o un “no” complessivo. La stessa cosa accade in Parlamento, quando una Commissione permanente elabora un progetto di legge (non in “sede referente”, ma) in “sede redigente”, trasmettendolo poi all’Aula per l’approvazione. Si sceglie questo modo di procedere quando si preferisce evitare che il lavoro di redazione del testo legislativo sia svolto da un’assemblea composta da centinaia di persone. Quando si seglie questa procedura, all’Aula non è data la possibilità di approvare una parte dell’articolato e respingere un’altra: il voto è strettamente binario, “sì” o “no”. Anche nel caso in cui l’Aula esamina e approva il testo articolo per articolo, del resto, c’è poi un voto finale sul testo nel suo complesso, che può essere soltanto un “sì” o un “no” complessivo. Nel caso del referendum popolare confermativo di una legge costituzionale, al corpo elettorale si affida soltanto quest’ultimo atto: il “sì” o il “no” sul testo nel suo complesso. L’opportunità di questa limitazione del compito affidato al corpo elettorale appare particolarmente evidente, nel caso della legge costituzionale, se si considera che qui la fase di redazione del testo si è svolta nel corso di almeno quattro letture (nel caso della legge su cui voteremo a ottobre addirittura sei) tra Camera e Senato, e in ciascuna di queste il testo stesso è stato esaminato analiticamente sia dalla Commissione Affari costituzionali sia dall’Aula: dunque almeno otto volte (nel nostro caso dodici!). Il referendum popolare costituisce uno strumento di democrazia diretta cui si ricorre in casi ben determinati, nell’ambito di un sistema che resta pur sempre basato sul principio generale della democrazia rappresentativa; nel caso della riforma costituzionale, al corpo elettorale non si chiede dunque di partecipare alla redazione della legge (approvandola articolo per articolo), ma di “confermare” l’operato del Parlamento, con la scelta binaria sì/no, come fa l’Aula sull’operato della Commissione che ha approvato il testo “in sede redigente”.   (p.i.)

LA RISPOSTA DEL COSTITUZIONALISTA CARLO FUSARO

Carissimo Pietro, alla lettera del signor L.C. io risponderei così.
a) Prima di tutto: il procedimento di revisione costituzionale, di cui all’art. 138 Cost. , è UN UNICO procedimento: ove richiesto (se la maggioranza parlamentare è stata meno dei 2/3) chiama il corpo elettorale a dire l’ultima parola (ed ecco perché non c’è quorum: il referendum è la conclusione di UNO SPECIFICO procedimento legislativo costituzionale);
b) il Parlamento, 630 deputati e 320 senatori, si è pronunciato su UNA specifica legge: quella, non un’altra: come si può pensare che qualcuno (CHI? COME? PERCHE’ SULLA BASE DI QUALI CRITERI?) suddivida quella UNICA proposta su cui con un UNICO VOTO ciascuna delle due Camere s’è pronunciata DUE volte?
c) in ogni caso, questa è la legge 352/1970 attualmente vigente, nel pieno rispetto dell’art. 138 che al riguarda nulla dice;
d) se ne può discutere per il futuro: ma oggi come oggi sarebbe come cambiare le regole del calcio ai supplementari della stessa partita!
e) nel merito poi, è un errore: (i) perché le riforme comportano intese e accordi fra forze diverse (non si dice sempre che devono essere il più ampie possibili?): nessun accordo sarebbe possibile se poi altri potesse successivamente cogliere fior da fiore, rimettendo in discussione tutto; (ii) ma soprattutto perché una costituzione (un pezzo di costituzione) non si fa come il vestito d’Arlecchino, né come lo shopping al supermercato: prendo questo lascio quello; tutto si tiene. Esempi: io voglio il senato in un certo modo eprchè riformo le competenze legislative stato-regioni in un certo modo; io voglio il voto a data certa perché limito contestualmente la decretazione d’urgenza e viceversa; io tolgo la fiducia al Senato perché ne faccio organo rappresentativo delle istituzioni territoriali: come sarebbe mai ragionevole scegliere più o meno a casaccio una cosa e non l’altra? Non ci si rende conto che ne verrebbe un pastrocchio inapplicabile e mostruoso? Altrimenti perché non facciamo tutte le leggi con referendum internet? Ognuno sceglie l’articolo che vuole e come vuole… Ma avrebbe senso?
Alla fine, di tutto si può discutere, meno che di suddividere A COSE FATTE, DOPO CHE LE CAMERE HAN VOTATO nell’ambito di UN UNICO PROCEDIMENTO il testo di una unica legge costituzionale: sarebbe follia pura, totale illegittimità costituzionale, un vero assurdo.
Carlo Fusaro

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