PERCHÉ OCCORRE LIBERALIZZARE LA FUNZIONE SVOLTA DALLA SIAE

LE RAGIONI TRATTE DALL’ESPERIENZA E QUELLA DI ORDINE GIURIDICO-ISTITUZIONALE CHE IMPONGONO IL SUPERAMENTO DEL MONOPOLIO PUBBLICO ATTUALMENTE IN VIGORE DEI SERVIZI DI TUTELA DEI DIRITTI D’AUTORE: UN MONOPOLIO CHE STA FACENDO GRAVI DANNI AL NOSTRO PAESE

Lettera di Enrico Castellano, 10 maggio 2016, in riferimento all’interrogazione presentata il 29 aprile 2016 – Segue la mia risposta.
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Caro Professore, leggo solo ora, in ritardo, la sua Newsletter n. 390, e scopro che lei è intervenuto sul tema della liberalizzazione della funzione svolta dalla SIAE. La ringrazio: non manca mai di mettere il dito nelle “piaghe” illiberali di questo disgraziato Paese. Conosco questo tema da ben 3 punti di vista:

  • quello dei cantautori (soprattutto quelli giovani), perché il mio primo figlio fa questo mestiere “da fame”, subendo pure le beffe, oltre all’iscrizione SIAE, di fare concerti gratis o quasi, perché i locali “già devono pagare la SIAE” (naturalmente, a sentir loro, “nel suo interesse”, salvo da anni non veder tornare indietro un euro);
  • Sede Siaequello dei locali dove si suona musica, perché ho fatto la pazzia di investire tutto il mio patrimonio nel trasformare un palazzo storico in un hotel di charme. Con grandi soddisfazioni morali (quasi 40 giovani assunti, grande successo con i clienti, primi nelle classifiche TripAdvisor in Piemonte), ma senza il becco di un euro di ritorno (anzi, aggiungendoci anche qualcosa di mio ogni anno). E una delle principali cause di queste difficoltà sono i troppi “costi inutili” del fare impresa, fra cui la SIAE, che taglieggia con atteggiamento da gabelliere per le TV, per la musica di sottofondo, per ogni evento;
  • quello delle startup innovative e in particolare di Soundreef che, pur non avendo avuto opportunità di investirvi (come invece ho fatto per una trentina di altre startup), conosco bene: riesce a costare ai locali il 30-50% in meno rispetto a SIAE, paga tempestivamente gli autori e fornisce informazioni analitiche a supporto dei pagamenti e soprattutto dando un servizio di valore a beneficio di chi può così essere tempestivamente informato di come le sue opere vengono fruite.

Trovo che questa vicenda sia emblematica dei problemi, prima di tutto culturali, del nostro Paese. Così un’esponente della classe dirigente quale il Presidente di SIAE Filippo Sugar può permettersi , per cercare di proteggere un monopolio “impresentabile”, di qualificare come “speculatori finanziari” imprenditori e investitori che rischiano i propri soldi per sostenere l’innovazione. E questo in un Paese dove gli investimenti nelle startup innovative si fermano (2015) a 133 Milioni contro i più di 7 Miliardi europei (per non parlare delle decine di miliardi negli Stati Uniti). E dove chi come me ha investito da 8 anni in decine di startup per ora non ha neanche recuperato il proprio capitale. Così questo stesso personaggio nella sua operazione di “captatio benevolentiae” verso un monopolio inefficiente, disorganizzato, costoso e opaco, si vanta di agire “senza scopo di lucro” e si contrappone a chi, guadagnandoci, si sottintende non faccia gli interessi di autori ed editori. Nulla deve contare il merito, l’efficienza, il servizio effettivamente reso. In qualsiasi altro Paese occidentale affermazioni di questo tipo sarebbero state sommerse da una sonora risata. E invece siamo alle solite: allo sfruttamento dei peggiori luoghi comuni e pregiudizi ideologici (profitto=sfruttamento è quello più gettonato, basti pensare alla diatriba sull’acqua pubblica o alle recenti polemiche sulle attività petrolifere). Una cultura di cui sanno approfittarsi i soliti “furbetti” che questi pregiudizi sicuramente non hanno, ma che fingono di crederci per continuare imperterriti a fare i propri affari alle spalle di un intero Paese.

SIAEPurtroppo, da quel che mi dicono quelli più coinvolti, il Ministro competente è schierato a difendere il monopolio. Affermando (cito a senso) che “bisogna rendere più efficiente la SIAE, non distruggerla”. Io mi chiedo: se si ha paura che l’ingresso di una nuova, giovane impresa distrugga un player consolidato che ha tutti i possibili vantaggi di posizione, a partire dall’essere accettato da molte delle sue vittime con una sorta di “sindrome di Stoccolma”, non vuol forse dire che si sa benissimo che non si è in grado di portare un vero miglioramento in questo carrozzone (peraltro molto ben descritto da Sergio Rizzo sul Corriere)?

Su questo tema, stimolato da uno dei suoi soliti slogan (“vogliamo essere un Paese del merito e non della rendita”) in una recente “eNews” ricevuta, ho scritto a Renzi. Non mi illudo che legga/risponda, ma sono convinto che questo caso potrebbe per lui essere un’occasione per dare un segnale contro i monopoli che va oltre al tema specifico e che può avere grande valore perché si fa capire da tanti, in particolare i giovani (in questo senso prese di posizione di autori popolari, trasgressivi ma intelligenti e innovativi come Fedez ed Elio sono un bel segnale). Il mio messaggio voleva anche essere politico: chi in Italia è vittima della SIAE, chi, se informato, sarebbe in grado di capire i comportamenti in campo, o non vota, o sicuramente non vota PD, e una scelta coraggiosa farebbe loro capir meglio chi sta lavorando seriamente per il futuro e per gli outsider. Come ho scritto a Renzi, una scelta convinta significherebbe lottare perché anche in Italia i “giovani imprenditori” siano finalmente i giovani che studiano, che hanno nuove idee, che rischiano e “ci provano”, non i figli dei “vecchi imprenditori”, messi “da papà” in posizioni di potere a difendere i propri privilegi.

Questa vicenda è anche un esempio di come queste scelte monopolistiche danneggino l’economia del Paese. Il mercato comune europeo non consente infatti all’Italia di impedire a una società straniera di raccogliere i diritti d’autore, e Soundreef ha potuto “entrare” perché ha costituito la sua azienda a Londra (su questo diritto esistono già due sentenze del Tribunale di Milano che, nella prima e nella seconda fase cautelare, nell’ottobre 2014 ha dato ragione a Soundreef in una causa che le era stata intentata). Il rifiuto di recepire la direttiva europea consente invece all’Italia di impedire che nel nostro Paese nascano concorrenti di SIAE. Al di là del fatto che Soundreef svolge le sue attività operative dando lavoro in Italia e che ha anche raccolto finanziamenti Italiani, la situazione attuale favorisce quindi paradossalmente l’economia di altri Paesi a discapito di quella del nostro.

La vicenda mi ricorda, mutatis mutandis, quella famosa dell’acquisto di Alfa Romeo: come lei ci ha spesso ricordato, se allora si fosse approfittato dell’occasione per far insediare in Italia un altro concorrente, oggi le auto prodotte nel nostro Paese sarebbero probabilmente molte di più.

 

Mi scuso per la prolissità su un tema che mi appassiona sia perché, come dicevo, lo conosco bene, sia perché lo considero rappresentativo di vizi strutturali italiani contro i quali dobbiamo lottare. Sono sicuro che lei non mollerà, come ha saputo fare per altre battaglie non certo meno difficili e anche pericolose. E mi auguro che il suo esempio trascini anche altri (ho paura che ci siano molti che capiscono e condividono, ma che sono preoccupati di “non pestare i piedi al Ministro”).

Un caro saluto

Enrico Castellano

 

Siae2Concordo pienamente con E.C. E ai suoi fortissimi argomenti tratti dall’esperienza quotidiana ne aggiungo uno di carattere strettamente giuridico-istituzionale: la Direttiva 2014/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio “sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso on line nel mercato interno” stabilisce che

“I titolari dei diritti devono essere liberi di poter affidare la gestione dei propri diritti a entità di gestione indipendenti”

(§ 15, dove nella traduzione ufficiale il should originario è tradotto, impropriamente a mio avviso, con un “dovrebbero”, mentre la traduzione più corretta è al modo indicativo). Tanto basta per affermare che per questo aspetto l’ordinamento italiano, rimasto al 1942, è inadempiente rispetto all’ordinamento sovraordinato europeo. Non occorre comunque il riferimento al diritto europeo per trovare un fondamento al principio della contendibilità della funzione, che in questo caso implica con tutta evidenza la libertà di scelta, in capo al titolare del diritto d’autore, dell’agenzia cui affidare la protezione del diritto stesso.   (p.i.)

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