IL PARLAMENTO UE HA GIÀ ESCLUSO TASSATIVAMENTE CHE IL TRATTATO POSSA INCIDERE SUI NOSTRI STANDARD DI SICUREZZA AMBIENTALE, ALIMENTARE, DEL LAVORO E SUI SERVIZI PUBBLICI: NON PUÒ ESSERE QUESTO UN BUON MOTIVO PER RIFIUTARE IL TRATTATO
Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 391, 7 maggio 2016 – Sul TTIP v. la voce di Wikipedia, straordinariamente semplice, documentata, completa (anche nei riferimenti alle critiche) e obiettiva.
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Oggi a Roma manifestazione contro il TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership, destinato a creare una grande zona di libero scambio commerciale sulle due sponde dell’Atlantico, come già fa il Trans-Pacific Partnership sulle due sponde del Pacifico. Accusa principale: quella di attentare agli alti livelli europei di sicurezza alimentare, ambientale, dei lavoratori e degli animali, imponendo quelli statunitensi, meno rigidi. Accusa ulteriore: attentare alla sovranità degli Stati, sottraendo loro la piena facoltà di determinare il contenuto dei servizi pubblici e chi li deve svolgere.
Scommetto che nella piazza romana nessuno farà il benché minimo cenno alla risoluzione approvata l’8 luglio scorso dal Parlamento europeo con 436 voti favorevoli e 241 contrari, che impone ai negoziatori di salvaguardare nel trattato i seguenti principi inderogabili: intangibilità degli standard europei di sicurezza della salute delle persone e degli animali, degli alimenti; esclusione dei servizi pubblici dalla materia regolata; piena sovranità degli Stati circa la disapplicazione di qualsiasi disposizione del trattato per esigenze di interesse pubblico. Questo significa, con tutta evidenza, che le finalità dichiarate della manifestazione romana sono tutte già garantite dai paletti che il Parlamento di Strasburgo ha fissato circa i contenuti possibili del TTIP. Quali sono dunque le finalità non dichiarate? Siamo sempre alle solite: ansia e paura di fronte alla tendenza propria della nostra epoca all’abbattimento delle frontiere, nostalgia per le piccole sovranità locali (c.d. “sovranismo”), pregiudizio negativo contro le imprese multinazionali e ideologia regressiva del “chilometro zero”. Occhio sempre soltanto al lavoro meno produttivo che si perde, mai a quello più produttivo che si guadagna (1). Sostenere tutto questo è pienamente lecito; ma a condizione che la battaglia sia condotta in modo trasparente: non chiamando alla mobilitazione contro dei falsi nemici per nascondere quello che si considera il nemico vero.
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(1) Altro, ovviamente, è il discorso sulla necessità di indennizzare e sostenere robustamente nel mercato del lavoro i losers, quelli che perdono il vecchio lavoro e devono essere aiutati nella transizione verso la nuova attività: un capitolo, questo, che deve essere sempre al centro di tutte le politiche di apertura alla globalizzazione.
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