UNA GIORNATA NELLA QUALE I LAVORATORI NON SCOMPAIANO, MA AL CONTRARIO SI PRENDANO DAVVERO LA SCENA
Articolo pubblicato sul quotidiano il Foglio del 3 maggio 2016 – In argomento v. anche Primo Maggio: non è ancora una festa di tutti gli italiani: ivi i link ad altri documenti sul tema.
Mi sarebbe tanto piaciuto che l’altro ieri, per il Primo Maggio, il ministero del Lavoro fosse rimasto aperto. Per festeggiarlo davvero, il lavoro, recuperando almeno uno dei trecento giorni di ritardo con cui quell’amministrazione prevede di adempiere un debito che lo Stato ha assunto verso tutti coloro che il lavoro lo stanno cercando: il debito di mettere in funzione l’ANPAL. È l’agenzia istituita dal Jobs Act, con la missione di assicurare a chi il lavoro non l’ha servizi efficaci per trovarlo o ritrovarlo: a sette mesi di distanza ancora insabbiata in sonnacchiose pastoie burocratiche indegne di un Paese civile, atte soltanto a garantire regolarità formale, irrilevanti o dannose per l’efficienza sostanziale. In tema di lavoro c’è poi un altro debito inadempiuto dallo Stato: l’assegno di ricollocazione destinato ai disoccupati. È lo strumento promesso loro per pagare i servizi di assistenza nel mercato svolti dalle agenzie private che essi stessi potranno scegliere tra quelle accreditate: secondo il Jobs Act, avrebbe dovuto incominciare già nel settembre scorso a essere erogato a chi è disoccupato da più di quattro mesi, ma la macchina non si è ancora messa in moto.
D’accordo, dall’Istat vengono buone notizie: l’occupazione e le retribuzioni nell’ultimo anno sono cresciute, la disoccupazione è diminuita, è aumentata la quota delle assunzioni stabili; ma questo è merito in parte del ritorno alla crescita, in parte della riforma legislativa. La parte che avrebbe dovuto svolgere l’amministrazione ancora non si è vista. Governo e legislatore hanno bruciato le tappe, ma l’amministrazione non li sta proprio assecondando. Così stando le cose, qualcuno mi sa dire che cosa avessero da festeggiare, il Primo Maggio scorso, i 7.172 impiegati e, soprattutto, i 159 dirigenti del ministero del Lavoro?
La Festa del Lavoro è stata anche quest’anno festa soltanto di chi questo bene prezioso ce l’ha, e se lo tiene stretto. In cento piazze i sindacati di chi ce l’ha hanno fatto i loro comizi: dovunque li si sono sentiti denunciare le retribuzioni troppo basse, rivendicare il rinnovo del contratto che tarda, paventare la chiusura di questa o quell’azienda, invocare la “politica industriale”, intesa sempre soltanto come rilancio degli investimenti statali (mai che si chiedano quale politica industriale possano fare loro, i sindacati stessi, contribuendo ad aprire il Paese ai piani industriali migliori, guidando i lavoratori alla scommessa comune su quei piani con le multinazionali che li propongono). Ma, se si esclude la voce isolata di un dirigente della Cisl, non c’è stata una sola piazza in cui un leader di prima grandezza, ma neppure uno di seconda o di terza, abbia speso una parola sullo stato di abbandono e inefficienza totale in cui – tranne poche lodevoli eccezioni – versano i Centri per l’Impiego. Fino a ieri gestiti (si fa per dire) dalle Province, ora dalle Regioni, ma quasi sempre privi di direzione, di formazione, di attrezzature, persino della carta per la stampante del computer, quando pure ne hanno uno che funzioni. Del resto, si è mai sentito di uno sciopero, o anche soltanto un sit-in promosso da un sindacato, per i servizi nel mercato del lavoro? Neanche uno in mezzo secolo.
Ma poi, a ben vedere, quale festa e di quale lavoro? Quando a uno il Primo Maggio tocca comunque di lavorare – che sia all’azienda del gas, in un ristorante, in un cinema o altrove – sono guai: se il turno incomincia al mattino, a fine giornata non ha l’autobus o la metropolitana per tornare a casa; se incomincia di pomeriggio o di sera, è messo ancora peggio. Si può andare con la propria auto, ma se accade un incidente è impossibile trovare un vigile. Se poi nell’incidente ci si frattura un femore, festa del lavoro significa camere operatorie chiuse: un giorno in più di sofferenze infernali o di morfina.
Assentarsi dal lavoro il Primo Maggio è un diritto, non un obbligo. Mi piacerebbe che qualcuno incominciasse a celebrare la Festa del Lavoro non facendolo sparire, il lavoro, ma riappropriandosene e rendendolo più visibile, magari regalandolo alla cittadinanza, a chi ne ha più bisogno. Nulla impedirebbe, per esempio, che i conducenti dei mezzi pubblici festeggiassero il Lavoro andando al lavoro, previo accordo con l’Azienda municipale sulla circolazione gratuita dei cittadini per tutta la giornata. Che i vigili urbani quel giorno stupissero la cittadinanza presidiando strade, piazze e musei fino a tarda notte. Che i chirurghi lo festeggiassero aprendo le sale operatorie anche se il Primo Maggio cade di domenica; i dipendenti di un pastificio donando il frutto della loro giornata di lavoro ai campi profughi; i dipendenti del ministero del lavoro mostrando, col lavorare un giorno di più, di essere consapevoli degli intollerabili ritardi della propria amministrazione, proprio ai danni del lavoro che si festeggia; tutti i dipendenti pubblici regalando alla cittadinanza sportelli aperti mattina e pomeriggio, invece delle solite striminzite quattro ore mattutine, e facendo registrare, almeno quel giorno, un tasso di assenza per malattia pari a quello del settore privato.
Vuoi mettere quanto si sentirebbero più festeggiati, in questo modo, il lavoro e tutti i lavoratori, forse persino quelli che finora ne sono stati esclusi? Vuoi mettere con quanto maggiore interesse la gente ascolterebbe i resoconti della festa nei giornali radio e tv, invece che sentir parlare dei soliti concertoni, del solito sventolio di bandiere, dei soliti cortei sempre più autoreferenziali e sparuti dietro i loro striscioni, dei soliti comizi, dai toni tanto più stentorei quanto più flebili sono gli applausi che li concludono?