IL CANDIDATO DEL CENATRO-DESTRA A MILANO È UNA PERSONA DEGNISSIMA E COMPETENTE; MA, SE VINCESSE, SAREBBE CONDANNATO A GOVERNARE CON UNA MAGGIORANZA CHE COLTIVA PULSIONI CONTRARIE ALLA PROIEZIONE MONDIALE E ALLA VOCAZIONE COSMOPOLITA DELLA CAPITALE ECONOMICA D’ITALIA
Articolo di Benedetto Della Vedova pubblicato su Strade.it, 27 aprile 2016.
Il valore personale di Stefano Parisi non è in discussione, ma quello della sua candidatura a Sindaco di Milano è decisamente discutibile. Politicamente, vista la compagine che rappresenta, Parisi è un avversario di chi vuole che la capitale economica e morale del paese rimanga una città campione della società aperta e della cultura liberale.
Era evidente che un centro-destra che si fosse presentato con una faccia a immagine e somiglianza di quella dell’azionista di controllo della coalizione, e con un programma anti-tutto, ferocemente ostile a ogni contaminazione “straniera”, non avrebbe potuto essere competitivo in una città che è grande e vincente proprio perché profondamente internazionalizzata, e grazie a questo non solo competitiva ed efficiente, ma bella e civile, aperta e vitale.
La scelta di un candidato con una biografia e un profilo diverso da quello ormai mainstream nel centrodestra italiano è stata abile e in qualche modo obbligata. Ma non sarà Parisi a poter invertire una rotta intrapresa oltre cinque anni fa, che ha portato il centrodestra italiano a una lenta ma inesorabile subordinazione culturale, poi politica e ora elettorale, alla Lega e ad altri raggruppamenti, come Fratelli d’Italia, sostanzialmente affini al Carroccio.
La Milano di Parisi, politicamente e culturalmente guidata da Salvini e Meloni, non avrebbe “il cuore in mano”, ma “la ruspa in mano”. Sarebbe, inevitabilmente, la Milano dei muri e del lepenismo in salsa meneghina, no-euro e no-Europa. Il centrodestra ha scelto ormai di abbandonare la promessa della rivoluzione liberale per farsi guidare dal vento del populismo nazionalista e reazionario che soffia forte e miete successi elettorali in tutta Europa. Questo è un connotato profondo, strutturale e non congiunturale, che non potrà essere cambiato da Palazzo Marino ma che, al contrario, cambierebbe in peggio Palazzo Marino e il destino di Milano quale che fosse il sindaco di questa maggioranza.
Salvini ha il pregio della schiettezza quando definisce i vertici della Repubblica italiana “complici e finanziatori di una nuova e violenta occupazione straniera, servi di una Unione Europea che ci sta rubando lavoro, diritti, sicurezza e speranza nel futuro”: sono chiare indicazioni programmatiche che in un voto politico come quello milanese non ammettono vie di fuga, si possono solo osteggiare o accettare.
Parisi è una persona di qualità, subordinato politicamente ad una coalizione senza qualità, un manager e un imprenditore di successo alla testa di una compagine che fa del vittimismo e dello sconfittismo (due inclinazioni assai poco milanesi) il cuore della propria minacciosa retorica e che avversa tutto ciò che ha permesso a Milano di diventare grande: l’integrazione economica, la globalizzazione dei mercati, l’apertura al nuovo, una tolleranza esigente e inclusiva, una laicità rigorosa anche quando non estranea al sentimento religioso.
La Milano dell’Expo potrebbe essere rappresentata da chi corre al Brennero per tifare per il ripristino “armato” di una frontiera, che non fermerebbe l’immigrazione straniera, ma le nostre esportazioni? Da chi odia la cancelliera Merkel, saluta in Austria i successi del candidato heideriano Hofer, fa di Putin un punto di riferimento strategico, in funzione anti-europea e tifa apertamente Trump? Il grande hub degli scambi dell’industria manifatturiera italiana e la piattaforma di lancio del Made in Italy nel mondo potrebbero essere impersonati da un candidato ufficiale di quel super-partito protezionista e nazionalista, che propone come soluzione al declino l’auto-isolamento autarchico? Che fa il tifo per la Brexit e propone l’Italexit?
Il centro dell’innovazione economico-finanziaria del Paese potrebbe essere guidato da un fronte politico reduce dalle barricate no-triv e dalle sbornie “decresciste” del piccolo-è-bello? La città che attraverso la moda, la cultura, l’arte, la comunicazione e la stessa trasformazione della propria immagine ha guidato la modernizzazione del costume italiano può diventare una sorta di Vandea del pregiudizio anti-omosessuale, xenofobo, proibizionista? Ovviamente no.
Per questo Parisi finisce per essere una maschera sul volto altrui, il garante della presentabilità di una coalizione che non vuole e non può rinnegare nulla di quello che profondamente oggi è. Parisi guida il fronte della chiusura, con differenza di stile, non di sostanza, perché i voti e il profilo programmatico, cioè la sostanza politica della coalizione, non sono suoi. Se la scommessa è l’economia della conoscenza e dei talenti, una società intollerante e chiusa non riesce a essere attrattiva né di idee, né di investimenti. Quello di chiudersi fuori dal mondo e dall’Europa è l’unico rischio che Milano non può permettersi, se vuole rimanere Milano.
La Milano di Sala e della sua coalizione non sarà esente da contraddizioni, ma continuerà con energia e passione a muoversi guardando avanti e all’Europa, per far crescere ancora una Milano liberale aperta al mondo, in cui vuole restare protagonista. I milanesi lo sanno.
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