C’E’ UNA CONTRADDIZIONE TRA LA LINEA DIFENSIVA SEGUITA DAI LORO AVVOCATI – SECONDO CUI LA MINACCIA NON SAREBBE MAI ESISTITA, SAREBBE TUTTA UNA MONTATURA DELLA POLIZIA – E IL LORO RIFIUTO NEI CONFRONTI DELLA MIA PROPOSTA DI INCONTRARCI E RICONOSCERCI RECIPROCAMENTE IL DIRITTO DI ESISTERE E LA LIBERTA’ DI PENSIERO
Articolo pubblicato, con alcuni tagli per ragioni di spazio, sul Corriere della Sera il 14 giugno 2009, il giorno dopo la pronuncia della sentenza con la quale la Corte d’Assise di Milano ha condannato 14 imputati di associazione terroristica, oltre che alle pene previste per i reati contestati, anche a un risarcimento del danno nei miei confronti.
Nel febbraio 2003 ho scritto sul Corriere una lettera aperta ai terroristi, chiedendo loro di guardarmi negli occhi e accettare di parlarmi, anche soltanto per dirmi che le mie idee sono per loro detestabili. Già solo questo avrebbe significato per me un qualche guadagno: non essere più, per loro, soltanto un bersaglio su cui sparare, ma una persona, un appartenente alla loro stessa specie.
La stessa cosa ho proposto agli imputati nel processo di Milano, fin dall’inizio. Mi sono costituito parte civile contro di loro, perché non farlo avrebbe significato minimizzare l’enormità di quanto avevano minacciato di fare loro a me: spararmi, appunto. Ma fin dall’inizio ho chiarito, anche pubblicamente, che ero pronto a rinunciare a qualsiasi domanda contro di loro in giudizio, se solo fossero stati disposti a incontrarmi. Anche, magari, per ripetermi un’ennesima volta le loro accuse, ma accettando di ascoltare le mie ragioni, di discuterne; e riconoscendo che nessun dissenso politico, per quanto radicale, può giustificare l’aggressione fisica contro l’avversario. Il processo è durato diversi mesi, ma né da loro né dai loro avvocati ho avuto alcuna risposta. Come se essi avessero difficoltà ad ammettere che si possa lasciare tranquillamente in circolazione uno che si propone di riscrivere lo Statuto dei Lavoratori. Come se avessero difficoltà a rinunciare a questo preteso loro potere di comminare ed eseguire pene di morte.
Tra il loro rifiuto di rispondermi e la linea difensiva seguita dai loro avvocati ‑ secondo cui la minaccia contro di me non sarebbe mai esistita, sarebbe tutta una montatura della polizia ‑ c’è una contraddizione insanabile. I nuovi brigatisti non possono fingere di ignorare che con le stesse parole che essi ora pronunciano, con gli stessi riti che essi oggi celebrano davanti ai giudici e alle telecamere, nei tre decenni passati si è espressa una strategia politica terroristica che si è concretata nell’assassinio di centinaia di persone. Se davvero l’accusa che viene loro mossa – di preparare nuove aggressioni – fosse una montatura della polizia, perché mai essi rifiuterebbero di incontrarmi per prendere le distanze da quella strategia sanguinaria?
Mantengo, ovviamente, la mia proposta anche ora che la Corte d’Assise li ha condannati, tra l’altro, a un risarcimento nei miei confronti. Se la accetteranno, sarà quello il risarcimento. E sarà il miglior risarcimento che io possa ottenere: il riconoscimento della comune appartenenza al genere umano, della libertà di pensiero e di parola, per me e per chiunque altro. E, chissà, forse anche la fine di una guerra, nella quale è stato sparso il sangue di tanti miei colleghi e amici carissimi.