È L’UNIONE EUROPEA, NON I SINGOLI SUOI PAESI MEMBRI, CHE DEVE SAPER COGLIERE L’OCCASIONE OFFERTA DALL’EMERGENZA PROFUGHI PER VARARE UN PROGRAMMA DUREVOLE DI INVESTIMENTI NEI PAESI D’ORIGINE DEI MIGRANTI FINANZIATI DA EUROBOND: SE BEN IMPOSTATO, QUESTO PROGRAMMA NEL TEMPO SI RIPAGHERÀ DA SOLO
Articolo di Giorgio Barba Navaretti, professore di Economia Politica nell’Università statale di Milano, pubblicato sul Sole 24 Ore il 22 aprile 2016 – In argomento v. anche Un traghetto per Lampedusa (2009).
Il merito del Migration Compact è allargare all’esterno dell’Unione, verso i paesi di origine, l’orizzonte geografico della politica migratoria. E così ‘schizzare’, per quanto a grandi linee, quello che di fatto è un grande piano di investimenti sul futuro dell’Europa. Contrariamente a quanto ha scritto Juncker ieri a Renzi, è sensato che questo piano sia finanziato attraverso eurobond. Perché per essere efficace deve coinvolgere in modo collettivo e mutualistico tutti i paesi membri. E perché è un programma che, se ben eseguito, potrà generare le risorse necessarie a ripagare i bond.
Evidenziare l’interazione tra lo spazio interno e quello esterno dell’Unione permette finalmente di mettere in evidenza come le migrazioni debbano essere trattate anche con strumenti che vadano oltre l’emergenza. I rifugiati siriani o di altri paesi devastati dalle guerre sono l’esito esplosivo di eventi forse reversibili. L’esodo di popolazioni che altrimenti sarebbero rimaste a casa loro.
I flussi da molti altri paesi africani e asiatici riflettono invece trend strutturali, con profonde radici demografiche ed economiche che non possono essere gestiti con la logica dell’emergenza. Riportare la politica di cooperazione allo sviluppo e interventi mirati nei paesi di origine al centro di una strategia di lungo periodo è l’unico modo per trasformare l’esodo in un’opportunità di crescita e sviluppo sia per i paesi poveri che per quelli ricchi. Strategia che parta dalla decisione degli individui di migrare e la innesti nel fabbisogno di mano d’opera e forza lavoro di un Europa sempre più vecchia.
Questa politica, come riconosce Juncker, per essere efficace deve avere una dimensione europea. E ciò per quattro ragioni.
Primo, l’Europa nel suo complesso è destinata a diventare molto più povera se i trend demografici non riprendono a crescere. Una demografia in crescita è un ingrediente essenziale di qualunque proiezione espansiva del reddito continentale. E ciò può avvenire solo attraverso flussi migratori crescenti.
Secondo, qualunque politica nei paesi di origine è efficace solo se profondamente integrata alle politiche di accoglienza in Europa e viceversa. Politiche mirate che creino lavoro e ricchezza nei paesi più poveri possono paradossalmente avere l’effetto di aumentare i flussi migratori. Non sono mai i più poveri a partire. Il costo della migrazione internazionale è elevato, soprattutto se clandestina. Dunque è necessario perseguire allo stesso tempo l’obiettivo di creare posti di lavoro nei paesi di origine e di gestire congiuntamente i flussi migratori verso i paesi di destinazione. Con la libera mobilità del lavoro questa non può che essere una strategia europea.
Terzo, i costi e benefici dell’immigrazione devono essere condivisi. Chi alza i muri ai confini scarica i costi dell’accoglienza sugli altri. Allo stesso tempo volta le spalle ad una possibile grande opportunità di crescita e sviluppo a favore di altri, ma spesso con conseguenze assai caotiche e imprevedibili. L’opposto di un’ordinata politica migratoria.
La conseguenza, quarto punto, è l’abolizione di Shengen. Il che vuol dire buttare via l’investimento più importante che l’Europa abbia mai fatto: quello nella libera circolazione delle persone. Solo una politica europea di “investimento” sull’immigrazione può oggi evitare un ottuso “disinvestimento” sulla libera circolazione delle persone.
Per tutte questa ragioni il Migration Compact non può essere finanziato con una meschina misura recessiva come un’accisa sui consumi energetici. Dovrebbe essere invece l’occasione per un orgoglioso programma di investimento per il quale l’Europa nel suo complesso può indebitarsi a beneficio di tutti. E come per tutti gli investimenti sensati, anche se rischiosi, essere in grado di generare le risorse per ripagare il debito.
Non dimentichiamo poi che gli immigrati stessi potrebbero contribuire al finanziamento di questa misura. Miliardi di rimesse tornano ogni anno ai paesi di origine, con conseguenze molto importanti su quelle economie. Se in parte queste rimesse fossero utilizzate per finanziare gli Eurobond, questo potrebbe essere anche un meccanismo per migliorare l’impatto economico di questi flussi. Capire come, richiederà un altro articolo. Per ora solo un po’ di “cibo per pensare”, come dicono gli inglesi.
.