LA MAGGIORE CONFEDERAZIONE DELLE IMPRESE DEL TERZIARIO RIVENDICA IL PROPRIO RUOLO E LA PROPRIA RAPPRESENTATIVITÀ EFFETTIVA NEL TESSUTO PRODUTTIVO POST-INDUSTRIALE
Intervento di Francesco Rivolta, Direttore Generale di Confcommercio, in riferimento alla mia intervista sulla crisi del sistema italiano delle relazioni sindacali, a cura di Rossella Sirtori – Segue una mia breve nota nella quale, al solo fine della migliore comprensione da parte dei lettori del significato di questo intervento, riporto il passaggio dell’intervista a cui l’intervento stesso intende replicare.
La rappresentanza fa fatica anche quando si modernizza, diventa più trasparente, legge le tendenze del mercato, anticipa le esigenze delle imprese. Causa di questa difficoltà non è certo solo endogena ai corpi intermedi ma, di contesto, esogena.
Traducendo e semplificando, il ruolo dei corpi intermedi negli ultimi anni ha subìto diversi tentativi di essere prima by-passato, poi compresso, dopo ridimensionato, in seguito marginalizzato e, ultimamente, attaccato attraverso un processo di disintermediazione continuo, sistematico, verticistico e diffuso che ha trovato una sponda naturale nella deriva populista in atto. In ogni caso, al netto di tutto ciò, non si può ignorare, né derubricare che le parti sociali, con alterne stagioni, rappresentano un pezzo del Paese e della sua storia. E proprio nei momenti più difficili di questa storia hanno assicurato la tenuta dell’Italia.
Associarsi è un diritto “costituzionale”, non è un’ambizione corporativa. E gli interessi reali, quando sono ben organizzati e opportunamente argomentati, costituiscono un valore che arricchisce una democrazia compiuta e sana tramite un confronto con la politica, il Governo e i sindacati con l’obiettivo di tenere insieme e connettere le imprese, il territorio, il Paese.
Confcommercio, la più grande rappresentanza d’impresa in Italia per numero di associati, firma il più importante contratto nazionale che ha fatto più volte da apripista alla stessa legislazione, ha introdotto sistemi di trasparenza, come il bilancio sociale, sta ristrutturando il proprio sistema associativo, ha sottoscritto l’accordo sulla rappresentanza con Cgil, Cisl e Uil (al cui interno ne sono definiti indicatori, pesi e misure, si concordano regole e obiettivi e ci si riconosce anche reciprocamente quali parti rappresentative, insieme responsabili verso le imprese e i lavoratori) e quello sulla governance degli enti bilaterali, ha avanzato proposte insieme alla Confindustria sulla sanità integrativa, ha elaborato idee e progetti sui temi del lavoro e del welfare, ha qualificato le proprie analisi economiche diventando punto di riferimento per la comunità economica e istituzionale. Tre esempi su tutti: il Forum di Cernobbio, il Convegno sul Fisco e il Forum sui Trasporti.
Ma soprattutto Confcommercio non solo non ha perso la rappresentanza della grande distribuzione, perché molti gruppi della Gdo sono ancora associati, ma ha cambiato e allargato i suoi ambiti di rappresentanza, tanto che oggi oltre il 60% degli associati appartiene al settore dei servizi e la gran parte dei trasporti e della logistica aderisce al sistema Confcommercio. E l’efficacia della sua attività di lobby può essere facilmente misurata dalle iniziative realizzate nel corso di questi anni, documentate dal livello quali-quantitativo delle pubblicazioni prodotte e degli articoli di giornali e dei servizi radio-televisivi che ne hanno dato notizia.
Sorprende, dunque, che una persona avveduta e attenta come il Senatore Ichino non abbia contezza di questi fatti e dell’evoluzione di Confcommercio in questi anni.
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Solo al fine di facilitare la comprensione dell’intervento sopra riprodotto, riproduco qui di seguito il passaggio della mia intervista cui l’intervento stesso intende replicare.
Ultima domanda: come si spiega la rilevanza che Confindustria ha sempre avuto come interlocutore privilegiato tra tutte le altre associazioni datoriali nei rapporti con il sindacato ma anche con i governi e in generale con i poteri forti?
Alla fine degli anni ’50 il nostro tessuto produttivo era costituito per circa due terzi dall’industria, e solo per il terzo restante da terziario, servizi e agricoltura. E la grande impresa era tipicamente, se non esclusivamente, un’impresa del settore industriale. Alla fine del secolo scorso il rapporto quantitativo si è invertito; ma questo è accaduto anche per effetto dell’esternalizzazione da parte delle grandi imprese di numerose attività appartenenti al settore dei servizi e a quello dell’economia immateriale. Sta di fatto, comunque, che Confindustria ha ampliato l’area rappresentata per ricomprendervi questi ultimi settori. Sull’altro versante, invece, la Confcommercio si è sempre caratterizzata soprattutto come associazione di imprese di dimensioni piccole o medie; e ultimamente ha addirittura perso la rappresentanza della grande distribuzione. Questo può forse spiegare la sua minore influenza come interlocutore del Governo e delle confederazioni sindacali maggiori, quando si è trattato di discutere di temi di interesse generale.
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