LA PRETESA DI UN GRUPPO DI CONTESTATORI DI TOGLIERE LA LIBERTÀ DI PAROLA A UN PROFESSORE, SOLO PERCHÉ SOSTIENE UNA TESI A LORO SGRADITA, È UNA PREPOTENZA A CUI SI DEVE RISPONDERE IMPEDENDO CON FERMEZZA IL BLOCCO DELLA DIDATTICA, MA ANCHE CON UNA OFFERTA DI DIALOGO SERIO, PUR SE DESTINATA A ESSERE RESPINTA
Intervista a cura di Federico Del Prete pubblicata dal Resto del Carlino il 24 febbraio 2016..
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Professore, che effetto le ha fatto vedere di nuovo un professore contestato durante una lezione all’università?
Mi ha fatto tornare indietro di quattro o cinque decenni. Dal ’68, per almeno un decennio, in università questi atti di piccolo squadrismo accadevano con grande frequenza.
Che cosa intende con “piccolo squadrismo”?
Intendo la pretesa di un gruppo di impedire di parlare, o almeno intimidire, intellettuali non graditi. Anche a me è accaduto più volte.
E lei come reagiva?
Quando si proponevano di impedire lo svolgimento della lezione, proponevo di mettere ai voti la proposta di sostituire la lezione con il dibattito sui temi che interessavano ai contestatori. Solitamente i contestatori non consentivano che gli studenti votassero; ma così si evidenziava ancora di più la loro prepotenza. In altri casi mi impegnavo a partecipare a incontri organizzati da loro.
Poi ci andava davvero?
Ci sono sempre andato. E non me ne sono mai pentito.
Anche nel caso del professor Panebianco non si tratta del primo episodio: quanto si rischia a sottovalutare azioni di questo genere?
Devono essere condannate – soprattutto in Università – per il loro contenuto di prepotenza e intolleranza. Ma nella mia esperienza erano molto più pericolosi quelli che non venivano allo scoperto, ma organizzavano le aggressioni armate. Due militanti del gruppo delle Nuove B.R. che stava facendo gli appostamenti sotto casa mia erano miei studenti; e non mi risulta che si mescolassero ai contestatori chiassosi.
Esiste un diritto alla contestazione?
Certo, se lo si intende come un corollario della libertà di espressione del pensiero. E negli atenei non mancano gli spazi e le occasioni per esercitare questo diritto. Ma esso non può spingersi alla pretesa di interrompere un corso di lezioni: questo è un reato.
Dobbiamo temere un rischio di escalation di fatti come questi?
Credo che anche il collega Panebianco concordi sul punto che questa non è l’emergenza più grave dell’università italiana.
Come vanno affrontati?
Contro questi episodi l’arma migliore, insieme alla fermezza nell’impedire il blocco della didattica, è sempre la ricerca del dialogo tra il docente e i contestatori.
Nelle scorse settimane, era emersa la proposta di un Daspo per gli studenti che si rendono protagonisti di contestazioni violente: sarebbe d’accordo? Queste persone vanno espulse dall’Ateneo?
Per un singolo episodio di interruzione delle lezioni, l’espulsione dall’ateneo mi parrebbe eccessivo. Il discorso cambia se si arriva davvero alla violenza. E anche se la pretesa di interrompere i corsi diventa un’abitudine.
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